giovedì 26 novembre 2009

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 11. La nostra piccola odissea

Vathy, 26/08/09
Pare che Ulisse ci abbia impiegato dieci anni a rientrare ad Itaca. Oggi con i trasporti va decisamente meglio: in mezz’ora da Sami si raggiunge la costa occidentale dell’isola in località Piso Aetos, ovvero un molo, la biglietteria della Strinzis Ferries e poco altro. Qui non ci sono Proci ad attenderci, ma un bus che ci porta a Vathy, sulla sponda opposta dell’isola.
Il profilo della petro
sa Itaca dal mare sembra quasi la schiena di un cammello che emerge dall’acqua; due grosse gobbe montuose collegate da una stretta striscia di terra che in autobus impieghiamo una manciata di minuti ad attraversare.
La nostra piccola odissea consiste nel trovare un posto per la notte. Dopo aver percorso Vathy in lungo e in largo, finiamo col sistemarci in una modesta camera con angolo cottura in un vecchio edificio a schiera che si affaccia direttamente su una delle stradine che dal lungomare salgono verso le colline dell’interno. La padrona di casa è un’anziana signora circondata di marmocchi schiamazzanti che suppongo siano i nipotini. Mi ricorda mia zia Teresina una decina di anni fa.

Bisogna che lo affermi chiaramente che certo non appartenevo al mare… così canta Guccini in “Odysseus”. E certo al mare non appartengo nemmeno io, cresciuto nella Bassa Padana, in quella pianura attraversata dal Grande Fiume che al mare ci arriva, prima o poi, ma prendendosela comoda, divagando, perdendosi in anse, curve e controcurve, in tutta calma, insomma. Ma esiste davvero una ragione precisa per cui veniamo al mondo in un determinato posto? Non può essere dettato tutto da una lunga serie di coincidenze? Non può essere il frutto di una delle infinite combinazioni, delle innumerevoli possibilità, delle scelte compiute o del destino capitato ai nostri genitori, e prima ancora ai nostri nonni, ai nostri avi, e così via risalendo fino alla notte dei tempi? Non può essere che il nostro posto sia in realtà altrove? Che il paese natale sia solo un punto di partenza? O un punto in cui tornare, prima o poi? O tutte e due le cose insieme? Quando si è interamente assorbiti da un viaggio, i luoghi dove viviamo normalmente la nostra vita sembrano così lontani; ed io ora mi sento al mio posto navigando tra un’isola e l’altra, decidendo il programma di giorno in giorno, di ora in ora, di minuto in minuto.

La percezione della minaccia del fuoco, che in questi giorni cinge d’assedio numerose zone della Grecia, è data anche dai numerosi elicotteri che sorvolano la zona per monitorare la situazione, e che stamane ci hanno dato il buongiorno durante la colazione in terrazza. Prima di congedarci da Cefalonia ci siamo fatti un ultimo bagno nella spiaggia sotto il nostro appartamento, ci siamo tolti il sale con una rapida doccia, abbiamo salutato la padrona di casa e i suoi gatti, abbiamo consumato uno spuntino e ci siamo presi un caffè greco sul lungomare in un locale al cui interno facevano bella mostra di se diverse foto di Nicolas Cage sul set de “Il mandolino del capitano Corelli”, pellicola girata a Cefalonia una decina di anni fa che ha contribuito a promuovere l’immagine dell’isola nel mondo (è stata anche creata una catena caffè, dedicata proprio al capitano Corelli).
Al momento di salire sulla nave ci ha preso un po’ di malinconia. Non siamo riusciti a visitare il lago di Melissani, proprio nei pressi di Sami, dove riemerge l’
acqua marina entrata nel sottosuolo vicino ad Argostoli ed arrivata fin lì attraverso le cavità di tipo carsico del sottosuolo. Non siamo nemmeno entrati nelle grotte di Diograti, suggestivo sito che si trova pochi chilometri più all’interno, considerato a rischio per l’eccessiva affluenza di turisti (forse organizzarci dei concerti non è esattamente un’idea geniale). Abbiamo lasciato Cefalonia nonostante queste lacune, perché sentivamo che era il momento di cambiare e perché Itaca all’orizzonte ci stava chiamando. Le mancanze potrebbero essere un giorno il pretesto per un ritorno.

Ci sediamo ai tavoli di una taverna ad un centinaio di metri dalla nostra camera, nel centro della capitale di Itaca, affaticati per la strada percorsa zaino in spalla alla ricerca di un posto in cui trascorrere la notte. Ci godiamo alla grande la melitzanosalata (una crema a base di melanzane) ed il vino rosso della casa. Non abbiamo ancora idea di come ci muoveremo sull’isola. Vedremo di perderci, in qualche modo.

martedì 24 novembre 2009

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 10. I giorni dei fuochi

Sami, 25/08/09
La Grecia in questi giorni è scossa dalle immagini degli incendi estivi trasmesse da tutti i canali e riproposte dai giornali nazionali con copertine dall’effetto scioccante. L’Attica va a fuoco; come già accadde pochi anni fa, gli incendi sono arrivati ad una ventina di chilometri da Atene e c’è il rischio che alcuni quartieri periferici debbano essere evacuati (anche se le ultime notizie dicono che l’allarme è per ora rientrato). Pare che ci siano alcuni incendi anche nella vicina Zacinto, che depenniamo definitivamente dalla lista delle possibili mete. Ne mai più toccheremo le sacre sponde; perlomeno, non quest’anno.
Oggi passiamo proprio nel bel mezzo di quella macchia mediterranea che ogni estate sembra trasformarsi in una polveriera pronta ad esplodere da un momento all’altro. Percorriamo un sentiero che da Sami, attraverso boschi, antiche rovine, uliveti, muretti a secco, greggi di capre e mandrie di mucche porta ad Antisamos, una delle spiagge più rinomate di Cefalonia. La baia è piuttosto attrezzata; si può dire che è la più “turistica” tra le spiagge dell’isola (evidenziando l’utilizzo delle virgolette). Qui ci fermiamo per un bagno ed un pasto frugale a base di prosciutto locale e fichi bianchi appena colti per la strada. Mangiare la frutta presa direttamente dall’albero da una gioia quasi infantile.
Al ritorno percorriamo la strada asfaltata che segue la costa, tra odore di mirto selvatico e di carogna, panorami mozzafiato e carcasse di lavatrici arrugginite e auto abbandonate. I contrasti di questo crudele, meraviglioso, incorreggibile Mediterraneo.

Henry Miller definì le donne greche con l’aggettivo “regali”. Sara mi c
hiede di dare un’interpretazione a quel termine. Mi viene da pensare ad un’eleganza, direi quasi ad un vago senso di superbia che fa implicitamente riferimento ad un grandioso passato; niente a che vedere però con atteggiamenti snob o altezzosi. A passeggio per le strade di Sami cerco conferma di tutto ciò. A Cefalonia è più facile riconoscere le donne greche, perché il turismo interno è più significativo che a Corfù, e perché oltre ai greci la nazionalità più rappresentata è quella italiana. I turisti italiani sono immediatamente riconoscibili ancor prima che aprano bocca. A conferma di ciò il fatto che quando mi trovo all’estero – non solo qui in Grecia – i locali mi si rivolgono spesso in italiano, anticipando il mio goffo inglese. Con Sara solitamente c’è qualche attimo di esitazione in più.
In questa stagione il numero dei turisti supera ancora nettamente quello degli abitanti, ma perlomeno la presenza di numerosi turisti greci ci da l’occasione di osservare meglio questo popolo. Se non altro il primo saluto quando incontriamo qualcuno è yassou, non più hello come a Corfù; solo successivamente si passa all’inglese o al
l’italiano.
Per quanto riguarda le donne, si distinguono per quell’aria vagamente orientale data dal colore olivastro della pelle, dal taglio degli occhi e da altri piccoli particolari (ma forse sono solo mie suggestioni). Piuttosto rispondente all’im
magine tipo della donna greca che mi sono costruito in questi giorni è la nostra padrona di casa, che incontriamo casualmente entrando nel suo negozio di souvenir. Dopo il saluto rimaniamo a guardarci imbarazzati perché vorremmo parlare, anche solo per scambiarci qualche frase di cortesia, ma lei parla “mono greek”, come ci ha spiegato scusandosi la prima sera. Mi chiedo come faccia a vivere di turismo senza spiaccicare nemmeno una parola né di inglese, né di italiano, né di qualsiasi altra lingua straniera.
Quello della lingua è s
tato, a suo modo, un problema che ci ha accompagnato in questi giorni. Si comunica prevalentemente in inglese, che però non è madrelingua nostra né dei nostri interlocutori. Questo spesso ci impedisce di approfondire quanto vorremmo il confronto con gli abitanti locali. Ci affidiamo perciò molto alle impressioni, così come sono solo impressioni quelle che riporto nei miei appunti, senza la pretesa di avere in tasca tutte le verità sulla Grecia dopo solo una decina di giorni di permanenza qui.

Ora me ne sto sulla terrazza ad ascoltare il vociare in
greco dalla strada, dalle finestre aperte, dalle televisioni. L’inquilino del piano di sopra mangia rumorosamente qualcosa di acquoso, probabilmente un’anguria. Dall’altra parte della baia il baluginare di luci raggruppate sul mare, luci che poi proseguono ad intervalli regolari disposte su una linea retta lungo la costa o salendo a zig-zag verso la montagna. Più lontano, nel buio della notte, si staglia appena la sagoma di Itaca. Domani a quest’ora saremo già là.

martedì 17 novembre 2009

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 9. Asini, pergolati, retsina

Sami, 24/08/09
Il nome di Cefalonia per noi italiani è legato indissolubilmente alla strage dei nostri soldati compiuta dalle truppe tedesche nel corso della seconda guerra mondiale. Più volte, durante la nostra permanenza sull’isola, mi sono soffermato a pensare a come deve essere la morte a vent’anni in questa terra inondata di luce. Molti turisti transitano ignari per le sue strade, si coricano sulle sue spiagge, mangiano nei ristoranti sul lungomare; Cefalonia rimane lì, come impregnata di tutta la sua storia, ricchezza e povertà, vita e morte, e lì rimarrà anche dopo la loro e la nostra partenza, per l’eternità. Questo è l’effetto che mi fa Cefalonia: la certezza che rimarrà sempre al suo posto, una sorta di promemoria, monito, avvertimento.
Ad Argostoli ci
sono un monumento ed un museo dedicati alla Divisione Acqui, sterminata dai soldati tedeschi dopo l’otto settembre del ’43. Per andarci rischio di ribaltarmi con lo scooter divincolandomi nel traffico del centro; ma quando arriviamo al museo lo troviamo chiuso. Monday 21-23, dice il cartello alla porta, dalla quale tentiamo di dare un’occhiata di dentro. Per dare un senso alla nostra sosta ad Argostoli entriamo in un negozio di souvenir dove, in memoria del nostro incontro di ieri, acquistiamo un magnete a forma di tartaruga caretta caretta, che finirà sulla caldaia della casa grumellese accanto ad un altro simbolo greco: l’asinello raffigurato sul magnete comprato a Fiskardo.

A proposito dei caratteristici asini greci, per le strade di Corfù ne abbiamo incontrati parecchi, carichi di bisacce ed accompagnati dai loro padroni; mentre a Cefalonia sono più numerose le capre, che si incontrano un po’ ovunque. Anche a Castelbuono, in provincia di Palermo, hanno pensato bene di recuperare l’asino alla sua funzione di bestia da soma, utilizzandone un paio per effettuare la raccolta differenziata dei rifiuti porta a porta. Pare che, superata l’iniziale sorpresa, i due singolari addetti alla raccolta (che si inerpicano per le ripide e strette vie del centro meglio di qualsiasi camioncino) abbiano riscosso la simpatia degli abitanti. Non manca mai il fieno per loro davanti alle case (un po’ come avviene dalle mie parti per l’asinello di Santa Lucia!) e, cosa più importante, la percentuale di raccolta differenziata, che fino a poco tempo fa era ferma a pochi punti percentuali, ha registrato un notevole incremento. Credo che se si riuscisse in qualche modo a coniugare l’efficienza del nord Europa con la creatività mediterranea, il mondo sarebbe un posto migliore.

Ci rimane la sete di cultura. Avendo perso l’appuntamento con la storia andiamo a quello con le scienze naturali. A Davgata, villaggio dell’entroterra, c’è un museo che offre una panoramica piuttosto completa sulla storia, la geologia, l’ambiente, la flora e la fauna dell’isola.
Il sole a picco ci suggeri
sce che è l’ora di un bagno. Ritorniamo sulla costa procedendo in direzione di Asos e Fiskardo. Seguendo l’istinto svoltiamo in una stradina che ci porta in una piccola spiaggia di ciottoli dove non c’è quasi nessuno. Intorno a noi solo una coppia di greci. Alle nostre spalle una chiesa, una casetta, una baracca ed un paio di barche. Di fronte a noi la penisola su cui sorge Lixouri. Decidiamo di dirigerci là, riprendendo la strada principale e girando subito a sinistra, inerpicandoci per le montagne rocciose e scendendo in picchiata verso il fondo del golfo di Argostoli, dove la spiaggia diventa limacciosa. Alla nostra destra infatti c’è una zona umida che si estende fino alle cave situate ai piedi delle montagne che ci separano dal golfo di Myrtos. Scendendo verso Lixouri il dolce paesaggio collinare e la costa circondata dai canneti sono in netto contrasto con la sponda opposta del golfo, così irta e scoscesa.
Arrivati a Lixouri ci rendiamo conto che si è fatto troppo tardi per esplorare la parte più occidentale della penisola. Ci fermiamo per un caffè greco e decidiamo di riavvicinarci a Sami ripercorrendo la strada a ritroso. Svoltiamo verso il paese di Zola, situato su una suggestiva terrazza sul mare. Scendiamo a farci un bagno nel golfo di Myrtos, che separa la parte più settentrionale della penisola di Lixouri dalla costa nord-occidentale dell’isola.
Il ritorno è uno spettacolare susseguirsi di visuali a picco sul mare inondato dalla luce del tramonto e villaggi fatti di muri bianchi, case color crema, persiane colorate, gradini, terrazze, orti, pergolati, caprette, vecchiette sdentate. Nei piccoli e semplici giardini e nei poveri orti alberi di noce, limoni, palme; ulivi tra i muretti a secco, platani nelle piazze, agavi tra le pietraie. E una specie di pino, diffusa anche nel sud Italia, dalla forma regolare e con gli aghi raccolti in piccoli gruppetti rivolti verso l’alto, di cui ignoro il nome.
La Grecia è il paese
dei pergolati, e già questo potrebbe farne il mio posto ideale. La vegetazione poi è meravigliosa. Fichi, melograni, oleandri, bignonia, basilico greco; a casa ho un giardino tipicamente greco e non lo sapevo nemmeno! Certo, si tratta di specie diffuse in tutto il Mediterraneo e forse è solo che ultimamente osservo la vegetazione con maggiore attenzione. Però anche in questo caso ho la sensazione che la Grecia mi stesse aspettando.
La sera facciamo quattro passi e ci fermiamo a bere qualcosa in un locale del lungomare di Sami. Un quartetto sta improvvisando alcuni pezzi popolari: potrebbe essere rembetika, ma non ne sono sicuro. I musicisti ci sanno fare, ed ogni tanto qualcuno si alza dai tavolini ed accenna qualche passo di danza. Verso mezzanotte siamo gli u
nici stranieri rimasti. Credo sia un buon segnale. Ordino un bicchiere di retsina (il tipico vino bianco greco, aromatizzato con la resina di pino) e me ne portano mezzo litro. Un bicchiere va giù volentieri, ma non riesco a finire la bottiglia perché il sapore dolciastro dopo un po’ mi viene a noia. L’effetto è combinato con quello della robola (vino bianco prodotto proprio qui a Cefalonia) che ho bevuto a cena. Domani per depurarci faremo un bel trekking.

mercoledì 11 novembre 2009

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 8. Kiriakì

Sami, 23/08/09
Kiriakì. Ovvero, domenica. Ci svegliano i canti provenienti dalla chiesa ortodossa, che irrompono nell’aria appena Sara apre le imposte azzurre facendo entrare il sole mattutino nella stanza, fino a questo momento velata dalla luce color indaco filtrata dalle persiane. Le melodie hanno qualcosa di vagamente orientale e si diffondono per tutta la cittadina; mi torna in mente Sarajevo e i risvegli al canto dei muezzin.
Percorriamo la strada tra Sami ed Argostoli, che taglia l’isola passando attraverso montagne più verd
i di quelle incontrate ieri lungo il tragitto per Fiskardo. Pochissime case lungo questo tratto di strada, solo minuscole cappelle, con funzione analoga alle nostre santelle ma simili a vere e proprie riproduzioni in miniatura delle tipiche chiese ortodosse.
Parcheggiamo lo scooter e raggiungiamo Argostoli a piedi, attraversando il vecchio ponte che collega la costa occidentale dell’isola con la penisola su cui sorge la capitale formando una laguna che è stata dichiarata zona protetta. La città è stata quasi interamente ricostruita dopo il terremoto del ’53 e non offre particolari attrattive. Il nostro colpo di fortuna è la sosta in un kafeneio. Mentre ce ne stiamo seduti su un tavolino di fronte alla laguna vedo un gruppetto di persone riunito sul ponte. Un ragazzo indica qualcosa che si muove sott’acqua. Ci avviciniamo e vediamo per la prima volta una tartaruga Caretta caretta. Sapevo che incontri di questo genere sono frequenti sull’isola di Zacinto, dove le tartarughe sono però minacciate dalla cementificazione e dal turismo di massa che interessano particolarmente la baia nella quale depongono le uova. Per la seconda volta – dopo l’incontro con il delfino – ci pervade per qualche istante un gioia quasi infantile. Questo secondo incontro era insperato, anche perché difficilmente andremo a Zacinto. Un po’ per mancanza di tempo e un po’ per il timore di finire in un’altra Kavos; siamo ancora in agosto, dopotutto.
I turisti a Cefalonia sono piuttosto di
fferenti da quelli incontrati a Corfù, non solo per fascia di età (famiglie e giovani coppie hanno sostituito le comitive di adolescenti) ma anche per nazionalità: meno inglesi e tedeschi, più greci ed italiani. Un napoletano al kafeneio ci sente parlare in italiano e mi chiede di fare una foto a lui e alla moglie; poi nel salutarmi mi dice “hai fatto ‘bbene”. Allude alla maglietta che indosso, quella che porto sempre con me nello zaino quando vado all’estero. Quella con la scritta “io non ho votato Berlusconi” riprodotta in svariate lingue straniere. Ci tengo a farlo sapere, visto che all’estero ultimamente si stanno facendo delle grasse risate alle nostre spalle, a causa dell’individuo che ci dovrebbe rappresentare.
Anche i g
reci d’altra parte hanno i loro problemi, pur senza raggiungere il nostro livello farsesco. Il governo di Nuova Democrazia è fortemente contestato ed è tra i pochi schieramenti di destra ad avere perso le elezioni europee di tre mesi fa. I socialdemocratici del PASOK ed i comunisti del KKE sono anch’essi bersaglio delle manifestazioni di piazza che da parecchi mesi (cioè dal giorno dell’uccisione del giovane anarchico Alexis da parte della polizia) stanno mettendo a ferro e fuoco Atene ed altre città della Grecia. Molta gente ormai non si sente più rappresentata da nessuno; un po’ come in Italia, per certi versi, anche se a quanto pare noi la pazienza non l’abbiamo ancora persa e pur lamentandoci continuiamo a sorbirci tutte le panzane televisive. In Grecia si stanno arrabbiando. A noi sembra che vada bene così. Almeno per ora.

Sulla strada che da Argostoli porta verso sud si incontrano le indicazioni per Agios Georgos, con le sue chiese e i resti del castello, conservati sicuramente meglio di altre rovine incontrate finora. Dalla sommità della fortezza, che offre un suggestivo panorama su questa parte dell’isola, individuiamo la nostra prossima meta; la baia di Lourdata, una dozzina di chilometri di spiaggia caratterizzati da ciottoli bianchi e da un mare dello stesso azzurro limpido di Myrtos. Tutta la costa fino a Skala è un’alternarsi di sabbia e ciottoli che scivolano in un azzurro stupefacente.
Ci fermiamo per il pieno. La TV nel gabbiotto del distributore trasmette le immagini degli ormai consueti incendi estivi. Scendendo verso Skala stiamo incontrando diverse aree – fortunatamente di estensione tutto sommato limitata – colpite da incendi anche recenti. Nella zona di Markopulo l’odore di terra bruciata ci entra nelle nari
ci.
Grecia, Italia, Spagna. Ogni anno la stessa storia. Il caldo torrido che favorisce lo svilupparsi degli incendi, certo. Ma non credo più di tanto alla storia dei turisti distratti che gettano dal finestrino i mozziconi di sigaretta, né ai piromani, ovvero a quei folli che si divertono ad appiccare il fuoco nei boschi. Credo di più alla speculazione. L’obbligo di mantenere la destinazione boschiva nelle aree colpite da incendi in Italia c’è già. Quello di identificare le aree boscate segnalando quelle che sono state distrutte dal fuoco anche. Il discorso è sempre lo stesso: le regole ci sarebbero anche, occorrerebbe farle rispettare.

Da Skala a Poros la costa diventa più selvaggia e aspra, in un susseguirsi di calette rocciose e spiagge di ciottoli. Non c’è altro da fare che scegliere un posto e fermarsi per l’ultimo bagno della giornata. La strada da Poros a Sami attraversa l’entroterra in un paesaggio diversificato, tra spoglie distese di rocce e boschi piuttosto fitti. Vorremmo fermarci ogni cento metri a scattare foto, fare due passi nei villaggi o camminare in mezzo ai boschi, ma si sta facendo tardi. Vogliamo arrivare all’appartamento per farci una doccia e poi uscire di nuovo. Stasera abbiamo deciso di cenare fuori.
Andiamo a Pouleta, paese dell’interno a pochi chilometri da Sami. Il Rombolis offre un menù a base di carne proveniente dagli allevamenti di proprietà del gestore. Non sono un gran carnivoro, ma devo riconoscere che è davvero ottima. E soprattutto, a chilometro zero!
Rientrati a Sami ci fermiamo ad un concerto proprio vicino al nostro appartamento: una specie di festa paesana con musica pop-folk, o qualcosa di simile. An
ziani, giovani, uomini e donne ballano insieme passandosi le braccia sulle spalle, nel tipico schieramento delle danze greche. Non capiamo esattamente quello che ci sta capitando intorno. Ma è entusiasmante.

mercoledì 4 novembre 2009

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 7. Libertà di movimento

Sami, 22/08/09
La strada sale, a tratti un po’ rattoppata, come certi vecchi maglioni usurati. Curve e controcurve, un tratto di discesa, poi un altro strappo in salita. Alla nostra destra una pietraia scoscesa, interrotta giusto da qualche timido arbusto. Di tanto in tanto qualche tratto di strada più ombreggiato, dove ritorna la presenza di pini marittimi e cipressi; il beneficio dato dalla frescura è immediato. Qualche piccolo villaggio, una manciata di case qua e là, per la strada solo qualche viandante e gli anziani riuniti all’ombra del pergolato davanti a qualche taverna. Qualche casa diroccata, parecchi orti, pochissimi negozi. Immagini che passano davanti ai nostri occhi per un minuto o poco più, poi è nuovamente pietraia che scende a strapiombo verso il mare, tra muretti a secco che delimitano a volte i piccoli orti al limitare dei villaggi, a volte gli uliveti, a volte non si capisce bene che cosa perché nel loro perimetro non si vede altro che rocce. Ancora macchie di cipressi che svettano in lontananza sopra gli altri alberi con portamento austero, quasi volessero distinguersi. Qualche strada scende verso la costa, ma si tratta per lo più di sentieri da capre. E non è un modo di dire; lungo la strada ne incontriamo parecchie. Capre e mucche. Stiamo percorrendo la strada che collega Agia Evfymia e Fiskardo. Oggi esploreremo la parte settentrionale dell’isola.
Credo che il motorino sia il modo migliore per visitare Cefalonia. La sensazione di libertà che stiamo provando è qualcosa che ci inebria. Libertà di improvvisare, di decidere tutto ad un tratto di cambiare percorso, di effettuare una sosta fuori programma; questi sono i viaggi che amo, e la Grecia sembra fatta apposta per questo. Libertà di movimento. Non ho ancora visto nemmeno un cartello di proprietà privata. Certo, siamo su un’isola relativamente piccola e la criminalità è quasi inesistente, come ci hanno riferito alcuni abitanti; sulla terraferma la situazione è senza dubbio diversa. Ma per contrasto mi viene in mente come l’Italia sia invece diventato il paese dei divieti d’accesso, delle proprietà private, degli “attenti al cane e al padrone (con tanto di pistola disegnata di fianco), dei divieti assoluti di passaggio ai non autorizzati. Per lavoro sono spesso in campagna e mi trovo continuamente la strada sbarrata da messaggi minatori di questo tipo. Anche i nostri fiumi, che dovrebbero essere un patrimonio di tutti, sono spesso irraggiungibili perché le strade sono chiuse in quanto attraversano fondi privati. Sarà la cosiddetta “emergenza sicurezza”, sfruttata spesso demagogicamente per motivi politici e amplificata dai media, che assume talvolta i connotati di una paranoia pura. Tutto questo va al di là della legittimità della proprietà privata; è l’emblema di un mondo formato da sempre più persone che si interessano solo delle loro quattro mura, in un’ottica di chiusura mentale caratterizzata dalla filosofia “questa è casa mia e faccio quello che voglio; di quello che succede fuori, chi se ne fotte”. Una società di questo tipo non può andare lontano.
Un altro aspetto, strettamente collegato a quant
o detto finora, è la mercificazione del territorio. Il mare italiano somiglia sempre di più ad un supermarket, e bisogna pagare per fare qualsiasi cosa. In Italia ormai la maggior parte delle coste è diventata una distesa di ombrelloni colorati. Il bagno 1 coi suoi cinquanta metri di ombrelloni blu, il bagno 2 coi suoi cinquanta metri di ombrelloni rossi, e così via. Ogni tanto compare come per miracolo una spiaggia pubblica, solitamente stipata di gente e poco pulita, magari in prossimità di qualche rigagnolo che sfocia in mare portando con se gli scarichi del paese e delle industrie a monte. In Grecia è il contrario: anche nelle spiagge più rinomate si trova al massimo un bagno con le sdraio ed i servizi necessari per gli anziani, le famiglie con bambini, e per chi semplicemente preferisce starsene più comodo. Il resto della spiaggia è completamente libero. Quasi sempre si trova anche una piccola doccia per togliersi il sale di dosso; chiunque la può utilizzare. Dimenticavo: è gratis.

La costa tra Sami ed Agia Evfymia è piena di minuscole spiagge. Più a nord si trovano solo calette raggiungibili via mare o tramite strade che scendono dall’interno. Questo fino a Fiskardo, dove ci fermiamo a fare un bagno e a mangiare un panino all’ombra di un uliveto. Lo stesso tipo di costa si trova sul versante opposto dell’isola, tra Fiskardo ed Asos. Nei pressi di quest’ultimo villaggio si trova la celeberrima spiaggia di Myrtos, considerata una delle più belle di tutta la Grecia. Fare il bagno nelle sue acque limpide al termine di una calda giornata è davvero una bella soddisfazione. E le caprette che si inerpicano tra le pietraie ad una decina di metri dalla spiaggia conferiscono al paesaggio un aspetto più popolano e, proprio per questo, più reale. Questi non sono i Caraibi: questa è la Grecia.
Fiskardo e Asos sono le due cittadine di Cefalonia che hanno maggiormente conservato il loro aspetto originario anche dopo il distruttivo terremoto del ’53. Fiskardo è situato sull’estremità settentrionale dell’isola, intorno a una graziosa baia lungo la quale si suss
eguono i bar e i negozi di souvenir. Asos, una ventina di chilometri più a sud, si sviluppa su una lingua di terra che collega l’isola con un promontorio sulla cima del quale sorgono le rovine di un forte veneziano, accessibile solo a piedi. Il percorso per raggiungerle non è brevissimo (ci si impiega circa un quarto d’ora - venti minuti) ma fortunatamente è piuttosto ombreggiato e salendo si gode un meraviglioso panorama.
Per quanto riguarda il resto dell’isola, la maggior parte dei centri abitati è stata interamente ricostruita dopo il sisma. Alcune cittadine, come la stessa Sami, sono piuttosto turistiche; nulla a che vedere però con la confusione di Kavos. Si tratta più che altro di camere in affitto, appartamenti, ristoranti, caffè e negozi di souvenir, che occupano le strade principali. La ricostruzione nel complesso è stata portata avanti con un certo criterio: sono pochi gli edifici di recente costruzione che spiccano per la loro bruttezza. Anche qui, come a Corfù, si notano molte costruzioni ad un piano con i ferri delle armature dei pilastri che fanno capolino dalla copertura, in previsione di un eventuale ampliamento. Ci sono diverse case abbandonate, spesso perché il terremoto le ha rese inagibili. L’elemento di maggiore impatto è costituito soprattutto dagli scheletri in calcestruzzo di edifici mai terminati; nel più classico dei paesaggi mediterranei decadenti. D’altra parte tutto il Mediterraneo, terra di antiche civiltà del passato e di miserie del presente, è inevitabilmente decadente.La Grecia incarna perfettamente quest’immagine di Mediterraneo. Ma sulle rive del Mare Nostrum può considerarsi in buona compagnia.

lunedì 2 novembre 2009

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 6. Un gatto fortunato

Sami, 21/08/09
Il sonno sulla nave per Patrasso è piuttosto agitato, in parte per il vento che soffia feroce sul ponte ed in parte a causa di orde di barbari che nel cuore della notte di tanto in tanto passano cantando a squarciagola nel loro idioma teutonico. Le navi greche finora ci hanno sorpreso per la loro inattesa puntualità: alle sei in punto siamo a Patrasso. La biglietteria però apre alle nove e la nave parte a 12:30, come ci dice l’anziano signore dell’ufficio informazioni. “Italia? Where do you come from? Roma? Napoli? Milano? Torino?”: il classico inizio di conversazione tra un greco ed un italiano. “My parents from Torino”, ci dice, ma non parla una parola di italiano e l’inglese non va molto meglio. Si limita a scrutarci con aria enigmatica, ma alla fine capiamo di riuscirgli simpatici.
Al di là della ruffianeria nei confronti dei turisti stranieri, le nostre prime impressioni sembrano confermare il famoso detto “una razza, una faccia”, a rappresentare l’opinione diffusa che gli italiani in Grecia siano tutto sommato benvoluti (“Italiano? No problema” è un altro inizio di conversazione ricorrente). Forse i difetti tipici degli italiani all’estero sono accettati più di buon grado dagli altri popoli mediterranei, inevitabilmente più vicini a noi come mentalità. Eppure gli italiani in Grecia sono stati anche degli invasori. Per trovare una spiegazione a questa apparente contraddizione può essere utile riguardars
i “Mediterraneo” di Salvatores, che pur idealizzando a tratti in maniera troppo semplicistica la questione, credo si avvicini alla realtà. Probabilmente le popolazioni delle isole occupate dagli italiani durante la seconda guerra mondiale hanno capito che, al di là dei proclami mussoliniani, la maggior parte dei soldati italiani non aveva intenzione di spezzare le reni a nessuno. Agli occhi dei greci quei ragazzi malamente attrezzati che non sapevano nemmeno perché si trovavano in quel posto dovevano essere dei poveracci, così come lo erano loro. Con i tedeschi le cose andarono diversamente. La digressione non è fuori luogo perché la nostra prossima meta è Cefalonia.
Ne parliamo con Zvoran, un ragazzo sloveno che ha appena concluso un giro attraverso le Isole Ionie simile al nostro, utilizzando però la sua mountain bike come mezzo di trasporto e dormendo sulle spiagge o nelle case abbandonate. Ammette candidamente di avere avuto un po’ di paura, anche solo per autosuggestione, ma dovendo risparmiare “meglio farlo sui pernottamenti che sul cibo
”. Parliamo di Grecia (anche per lui è la prima visita), Italia, Istria. Zvoran è di Nova Gorica, la parte della città di Gorizia che sorge in territorio sloveno; poco distante dai luoghi in cui ho trascorso le estati della mia infanzia e dove torno ancora quando ne ho l’occasione. La baia di Sistiana, Trieste, Capodistria, la strada che attraversa la foce della Mirna, il promontorio a sud di Medulin… Parliamo delle sue zone e lui annuisce, un po’ sorpreso dalla nostra buona conoscenza di quei luoghi. Congedandoci gli auguriamo buon rientro e buona fortuna per i suoi viaggi futuri. Sogna di andare in Nord America e a vederlo così, occhi limpidi, barba bionda un po’ lunga ma ben curata (non lo diresti che ha appena trascorso due settimane così avventurose) mi viene da pensare che deve aver visto “Into the wild”; mi ricorda un po’ il protagonista, per certi aspetti. Pur non avendo visto il film conosco la storia; con tutto il cuore, gli auguro un epilogo ben differente!

Ci accomodiamo sul ponte de
lla nave che ci porterà a Sami, sulla costa orientale dell’isola di Cefalonia. Tiro fuori il lettore mp3 e scopro di avere caricato da chissà dove un album di Goran Bregovic’ ed Alkistis Protopsalti, famosa cantante greca autrice del pezzo dal ritmo quasi reggae che le radio elleniche trasmettono a ripetizione in questi giorni. La colonna sonora ideale mentre percorriamo il canale del Peloponneso, con le sue brulle coste che scorrono all’orizzonte.
Una sera di tanti anni fa – avrò avuto otto o nove anni – stavo passeggiando con i miei genitori, quando lessi su un cartello stradale il nome di due nostri compaesani “caduti di Cefalonia” a cui è stata dedicata la via che attraversa un piccolo gruppo di villette a schiera. Chiesi loro che razza di malattia fosse mai la cefalonia, immaginandomi una specie di tumore al cervello, una cefalea letale o qualcosa di simile. La mia uscita li divertì molto.
Ora Cefalonia – di cui
nel frattempo ho avuto modo di conoscere la tragica storia – è, per il viaggiatore che vi si avvicina da Patrasso, un’isola che gioca a nascondersi dietro Itaca, per poi delinearsi chiaramente con i suoi spogli crinali su cui girano numerose pale eoliche. A proposito di energie rinnovabili sono ben lieto di poter dire che a Corfù ho visto parecchi pannelli solari e qualche piccolo impianto fotovoltaico. Anche in Grecia qualcosa si muove.
Arrivati a Sami p
ranziamo sul lungomare; ho modo così di assaggiare la taramosalata, un’insalata a base di uova di pesce. Mi aspettavo qualcosa di diverso, invece mi portano una specie di salsa, apparentemente simile alla tonnata ma forse ancora più gustosa. Ci mettiamo poi alla ricerca di un appartamento.
Ci sono almeno due cose che i greci, in quasi
quattrocento anni sotto il dominio ottomano, hanno imparato dagli odiati vicini turchi. La prima è il caffè greco, simile a quello turco, che bisogna bere avendo l’accortezza di lasciare depositare la polvere sul fondo della tazzina (in questi giorni sta diventando un rito quotidiano). La seconda è il bisogno psicologico di contrattare il prezzo anche quando non ce n’é bisogno. L’appartamento che troviamo è dotato di cucina; spenderemo qualcosa in più ma nei prossimi giorni avremo modo di prepararci qualche pasto in più a casa. Decidiamo di risparmiare sul mezzo di trasporto, noleggiando per tre giorni uno scooter anziché un’automobile.
C’è tempo per un bagno nella spiaggia di ciottoli poco sotto l’appartamento, seguito da un tramonto con il sole che esce di scena tra le pale eoliche; il momento in cui riesci a distinguere ogni singolo fotogramma del tempo che scorre.
Ora sto scrivendo al tavolino sulla terrazza esterna. Accanto a me uva e pesche portate dal nostro padrone di casa in segno di benvenuto. In bocca il sapore di una Mythos fresca. Di fianco a me uno dei famosi gatti greci contempla i due lati del golfo che sembra aprano le braccia al largo verso Itaca.
Un gatto fortunato.

venerdì 30 ottobre 2009

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 5. Corfù Town

Kerkyra, 20/08/09
Dai finestrini dell’autobus lanciamo un ultimo sguardo al paesaggio dell’entroterra di Corfù. Abbiamo deciso di lasciare l’isola con la nave delle 22:45. Trascorreremo la prossima notte sul ponte ed arriveremo a Patrasso alle sei di mattina. Rinunciamo all’idea di visitare la parte centro-settentrionale dell’isola per spostarci verso Cefalonia e Itaca, di cui ci hanno parlato bene. Riserveremo eventualmente qualche giorno alla fine del viaggio per Zacinto o Lefkada.
Di Corfù conserveremo l’immagine di posti stupendi,
naturalmente in quelle zone in cui l’isola non è stata trasformata in una specie di lido di Londra. Ma è il momento delle scelte; e le scelte, inevitabilmente, comportano delle rinunce. D’altra parte fin dall’inizio abbiamo selezionato le nostre mete andando per esclusione. Ad esempio, una delle isole greche che avrei voluto vedere è Idra, di cui mi avevano parlato i miei genitori; un’isola totalmente priva di mezzi a motore sulla quale il principale mezzo di trasporto sono gli asini. Così descritta sembrerebbe una specie di paradiso terrestre! Anche i racconti che l’amico Alberto mi ha fatto di Folegandros mi avevano invogliato, ma va detto che si era a tarda notte alla Festa della Birra del vicino paese di Fengo; forse non è stata solo la sua abilità descrittiva a suggestionarmi.

Scendiamo dall’autobus con la radio che trasmette “Funky town”, che subito nella mia testa diventa “Corfù Town”; così la nostra carta chiama Kerkyra, la capitale di Corfù nella quale passeremo la nostra giornata in attesa della nave. Capiamo subito che valeva la pena dedicarci una giornata; Kerkyra è una splendida cittadina veneziana che si estende su un promontorio dominato da due imponenti fortezze. La fortezza vecchia è costituita da una serie di cunicoli labirintici che si sviluppano tra le alte mura che circondano l’altura sovrastante la parte settentrionale della città. Il Neo Frourio (la fortezza nuova) è separata dalla città vecchia da un canale e si eleva sull’estremità orientale. Comprende la cappella di San Giorgio, le prigioni veneziane, il Dipartimento Musicale dell’Università dello Ionio, un ristorante e numerosi altri edifici; è possibile salire sino al faro. Da entrambe le fortezze si ammira un panorama stupendo. Proprio nell’incantevole scenario del Neo Frourio si è esibito pochi giorni fa Goran Bregovic’, in tour in Grecia in questo periodo. E’ disponibile anche un biglietto cumulativo che comprende, oltre alla visita delle due fortezze, l’ingresso al Museo dell’Arte Orientale; bisogna però acquistarlo alla fortezza nuova, perché in quella vecchia non è disponibile (noi l’abbiamo scoperto troppo tardi).
La fortezza nuova domina la Spianata, un ampio parco affiancato dal campo da cricket (eredità del periodo colonialista inglese) sul quale un cingalese di mezza età sta insegnando il gioco ad un gruppo di ragazzini, mentre poco distante una famiglia francese si riposa sul prato; una scena difficilmente immaginabile in una qualsiasi città italiana con un sindaco leghista. Di fianco al campo da cricket c’è il Liston, un viale accompagnato da ampi portici da un lato e dai tavolini dei bar dall’altro. Ironizziamo sul nome, che è lo stesso con cui gli abitanti di Casalmaggiore familiarmente chiamano la piazza centrale della città; effettivamente i due luoghi svolgono la stessa funzione di cornice della passeggiata serale (la cosiddetta “vasca” o “struscio”).
La città vecchia di Corfù è un affascinante dedalo di viuzze in cui si trovano numerose botteghe e negozi e nelle quali si respira un’aria di quieta confusione difficile da descrivere, ma è anche possibile scoprire angoli in cui reg
na il silenzio. Qui sembra inevitabile perdersi. D’altra parte mi sto rendendo conto che perdersi è forse il modo migliore per visitare la Grecia.
Prima di lasciare Kerkyra riesco ancora a fare un po’ di cose: acquistare un portamonete a forma di melanzana che viene immediatamente battezzato Moussaka; aiutare dei bambini greci a recuperare il pallone incastrato sotto la volta di un porticato, puntando a conquistare il ruolo di eroe nazionale (ieri ho aiutato due ragazze inglesi spingendo il loro pedalò che si era insabbiato); mangiare una tyropita all’ombra di una bouganville; bere una Mythos (Ellenic lager beer) sul lungomare; comprare un album di Kristi Stasinopoulou.
Stasinopoulou è una musicista di cui parla la Lonely Plan
et, associandola alla scena folk-jazz greca. Il proprietario del negozio di dischi ha invece definito la sua musica “una specie di soft rock”. Comunque sia, finchè non sarò rientrato, non avrò modo di ascoltarmi il CD. Sarà stato un buon acquisto? La risposta tra una decina di giorni.Per la risposta non c’è fretta. La Grecia ci sta insegnando che bisogna saper aspettare.

lunedì 26 ottobre 2009

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 4. Una gita romantica

Kavos, 19/08/09
Oggi ci aspetta una gita romantica in traghetto a Paxi e Antipaxi. Insomma, siamo o non siamo una coppietta in vacanza in Grecia? Allora concediamoci questo sfizio. Abbiamo valutato che a Paxi (o Paxos) ci sono pochi centri abitati e i prezzi sono decisamente più elevati di quelli di Corfù. La scelta è stata quindi quella di affidarsi ad una gita organizzata che ci consentirà anche una veloce visita ad Antipaxi. I famosi due piccioni con una fava.
Partiamo da Kavos e in poco p
iù di un’ora arriviamo a Paxi. Navighiamo al largo della costa occidentale, caratterizzata da rocce a strapiombo sul mare e da grotte a pelo d’acqua. La leggenda vuole che in una di queste Poseidone abbia nascosto la sua amante. Suggestivo, ma devo ammettere che personalmente subisco maggiormente il fascino della storia rispetto a quello della mitologia; luoghi legati a nomi, cognomi ed eventi certi mi emozionano maggiormente. Ma il confine tra le due cose spesso è poco definito; forse è proprio allora, quando gli eventi storici sono contornati da un alone di mistero, che le emozioni sono ancora più forti.
Capisco perché l’isola è una delle mete preferite dai diportisti inglesi e soprattutto italiani. Il modo migliore per girarla è proprio in barca a vela, anche se di tanto in tanto si vedono alcune strade sterrate che dall’interno scendono verso il mare. “E’ ‘cchiu bbella ‘a Calabbria”, sento commentare al mio fianco; in barca con noi c’è un nutrito gruppo
di calabresi, ai quali prometto che prima o poi visiterò pure la loro terra. Dopo la Grecia, verrà pure il tempo della Magna Grecia.

Le acque di Antipaxi sono davvero limpide e cristalline come le descrivono le riviste di viaggi. Ma proprio mentre me ne sto rilassato in mezzo al mare a godermi il primo bagno della giornata sento in lontananza uno straniero scherzare con un italiano: “Berlusconi! Berlusconi!”. Il salto dalla mitologia all’orrenda realtà è brusco. Per tre giorni non avevo più sentito nominare quel losco individuo, riuscendo quasi a scordarmi della sua esistenza. Per scelta quando sono in vacanza evito di comprare i quotidiani, limitandomi ad apprendere le notizie tramite il passaparola, con un’occhiata furtiva alla TV in qualche bar o dalle prime pagine dei giornali davanti alle edicole. Probabilmente in Italia in questo momento stanno entrando in vigore le classiche leggi estive, quelle che i governi devono far passare quando la gente è in ferie così riescono a passare sotto silenzio.
Chiudo gli occhi e cerco di
ristabilire l’armonia tra me e tutto quanto mi sta intorno. Per due settimane guarderò al massimo le prime pagine dei giornali greci, dove non capisco nulla e riesco a malapena a riconoscere nelle foto le maglie del Panathinaikos o dell’Olympiakos.
Prima del rientro facciamo tappa a Gaios, il principale porto di Paxi: un paesino davvero delizioso, dove la
quiete è rotta soltanto dall’arrivo dei chiassosi diportisti italiani, che sbarcano schiamazzando sul lungomare. Si ritorna poi a Corfù, con l’altoparlante del traghetto che trasmette a ripetizione gli stessi brani: si comincia con un pezzo di Alkistis Protopsalti, che in questi tre giorni ha già vinto il titolo di tormentone dell’estate greca 2009, per poi passare alla danza di Zorba di Mikis Theodorakis. Al quarto ascolto rischio di addormentarmi nonostante il ritmo crescente del sirtaki; non voglio mancare di rispetto al più famoso compositore greco, ma anche le cose belle vanno prese con moderazione. L’unica emozione del viaggio di ritorno è un incontro ravvicinato con un delfino, di cui vediamo distintamente il dorso grigio e lucido sfrecciare a pochi metri da noi.

Un bagno nel tardo pomeriggio ed una passeggiata tra gli uliveti dell’interno sono le ultime attività che ci tengono impegnati a Kavos. Stasera ci rinchiuderemo in casa in una sorta di coprifuoco al contrario, che ci siamo auto-imposti e che vale solo per noi. Ci è bastato l’attraversamento del centro ieri sera in motorino per vedere scene a metà strada tra i gironi infernali danteschi ed il Paese dei Balocchi di Collodi. Un vortice luminoso e sfavillante di maxischermi e insegne di locali tale da far passare inosservata la presenza di un McDonald; procacciatori di clienti per ristoranti e discoteche che non danno tregua; urla, versi disumani e musiche a tutto volume che rimbalzano da un lato all’altro della strada; ragazze collassate sul marciapiedi, ragazzi che attraversano la strada strisciando; femmine sovrappeso in bikini, maschi il cui massimo dell’eleganza è la maglietta dell’Aston Villa. Kavos by night. Penso a quelle vecchiette che abitano qui e che ogni tanto si vedono passare per strada: mi sembrano come quelle vecchie case diroccate rimaste in piedi quasi per miracolo in mezzo a quartieri di periferia dominati da palazzoni in calcestruzzo.
Domani mattina lasceremo Kavos.

giovedì 22 ottobre 2009

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 3. Grecia vera

Kavos, 18/08/09
Kavos si è rivelato una specie di luna-park studiato per i turisti stranieri, soprattutto inglesi. Purtroppo la Grecia, in agosto, è anche questo. Per i prossimi due giorni useremo la nostra camera come punto di partenza per perlustrare la zona ma cercheremo di passare a Kavos meno tempo possibile. Infatti partiamo di buon ora, quando i negozi hanno aperto da poco e i gestori, scuotendo la testa, ripuliscono i marciapiedi dai residui della sera precedente.
“I drive only cars”, dico all’uomo che ci noleggia i motorini e che ci guarda un po’ sorpreso mentre Sara si mette alla guida dello scooter (in realtà dopo pochi chilometri ci
daremo il cambio; nonostante la mia scarsa dimestichezza col mezzo torneremo a casa sani e salvi). Ci rassicura: a Corfù i motorini non li hanno mai rubati. “The only danger is the vandalism”, continua, il vandalismo ad opera degli “english drunk”.
I greci e gli stranieri. Un punto a favore del popolo ellenico è la dimestichezza co
n le lingue estere. Anche gli anziani e le persone che non lavorano nel turismo stanno dimostrando una buona padronanza non solo dell’inglese ma anche dell’italiano, del tedesco, talvolta persino dello spagnolo o del francese, come l’impiegato dell’agenzia di viaggi con cui ci siamo fermati a parlare questa mattina. Per motivi storici prima e turistici poi, i greci sono entrati in contatto soprattutto con inglesi, tedeschi e italiani, spesso trovandoseli in casa come ospiti non proprio desiderati. Oggi gli stranieri portano soldi all’economia greca, specialmente quella delle isole, anche se un certo tipo di turismo assume talvolta i connotati di un neo-colonialismo.

Ci sono persone che ha
nno un istinto innato, come se perdersi facesse parte di un gioco che conoscono perfettamente e, per loro, le strade non finiscono mai. Questa bella frase non è mia ma di Alan Zamboni, amico scrittore e cantautore bresciano. “Grecia, solo ritorno” è il libro che mi accompagna durante il viaggio. Sara non è da meno; anche lei porta con se un libro a tema, “Il colosso di Marussi” di Henry Miller.
Come i personaggi del libro di Alan ci perdiamo anche noi, tra vecchietti seduti all’ombra di verdi pergolati, ragazzini che accompagnano asini con le bisacce ricolme, anziane signore dai volti grinzosi avvolte in scialli neri; finalmente si comincia a respirare aria d
i Grecia vera! Facciamo pausa in una taverna per un frappè (qui solitamente è preparato con caffè, latte, zucchero e ghiaccio) e soprattutto per cercare di capire dove siamo. Scopriamo così che ci troviamo a pochi chilometri dal Lago di Korissa, specchio di acqua salmastra separato dal mare da una sottile striscia di terreno. All’estremità settentrionale del lago è situata la spiaggia di Aloniki, la prima degna di nota che incontriamo: l’idea di un bel bagno è troppo invitante. Mi sono alzato con un forte mal di testa, ma una bella nuotata è meglio di cento Moment.
I resti del vicino castello di Gardiki sono circondati da un paesaggio suggestivo dominato da contorti ulivi secolari; era però il caso di ripulire la zona dopo l’ultimo concerto. All’interno troviamo il palco ancora montato, sedie di plastica accatastate qua e là, un generatore di corrente, un distributore di bibite scassato ed un frigo per i gelati con i vetri sfondati.
Altra spiaggia degna di nota è quell
a di Prassoudi, dove ci fermiamo per un piatto di calamari sotto una terrazza con vista spettacolare sugli scogli che fronteggiano la baia. Ce la prendiamo comoda, in sintonia con i tempi di chi ci sta intorno. Per la maggior parte si tratta di greci; tra questi ci colpisce in particolar modo un anziano signore con indosso un copricapo tipico intento nella siesta pomeridiana. Dopo una mezz’oretta dal nostro arrivo questi si alza, ci impiega un po’ a capire dove si trova, poi raggiunge i compagni di tavolata e riprende a mangiare.
Terminato il pranzo ci rimettiamo in viaggio attraversando l’isola e percorrendo la costa
orientale da Messoggi a Boukari, in un susseguirsi di minuscoli porticcioli, casette e taverne affacciate sul mare. Raggiungiamo Alikes, dove l’isola di Corfù termina con una lunga lingua di terra che la nostra mappa segnala come area marina protetta ma che sembra in stato di degrado, tra sterpaglie e relitti di barche arenati sulla spiaggia. Ci fermiamo qualche centinaio di metri prima per toglierci il piacere di un bagno al tramonto.
La sera ritorniamo a Lefkimmi, pittoresca cittadina dell’interno (così come pittoresco è anche il vicino villaggio di Perivoli), dove ci siamo già fermati ieri a pranzo. Scegliamo una taverna affacciata sul canale
che attraversa il centro e consumiamo una cena tipicamente greca. Tsatsiki e moussaka, per me. Sara ordina un ouzo ma non apprezza particolarmente. Io lo mando giù volentieri, pur non essendo un amante del sapore dell’anice (il che mi preclude la passione per Sambuca, pastis e, appunto, ouzo).

Il pensierino della sera è per l’eroe mitologico Ettore. Lo scrivo perché entrando nel corridoio che conduce alla nostra camera ho appena notato il quadro con la famosa rappresentazione (presente un po’ ovunque, almeno da queste parti) in cui Achille trascina il corpo del nemico appena sconfitto legato ad un carro. Non esattamente un gesto di fair-play. Ettore era di tutt’altra pasta; andò incontro al proprio destino a testa alta, pur sapendo che sarebbe stato sconfitto. Ettore non l’avrebbe fatto, di questo ne sono certo. E se qualcuno si sta chiedendo “che cazzo c’entra”, be’ ecco; è il terzo capitolo in cui parlo di Grecia, potevo continuare ad eludere la mitologia?

lunedì 19 ottobre 2009

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 2. Kalinifta

Kavos, 17/08/09
La Grecia mi dà il buongiorno non appena, dal ponte della nave, apro gli occhi ancora velati dal sonno. La brulla costa orientale dello Ionio scorre placida davanti a me nella luce morbida dei minuti immediatamente precedenti all’alba. Ci stiamo avvicinando alle montagne intraviste all’orizzonte giusto un anno fa, in Salento, in una giornata particolarmente serena.
Il viaggio è passato più velocemente del previsto, tra il primo gyros della vacanza e la lettura della Lonely Planet, che per ora rimane la mia preferita tra le guide turistiche. Apprezzo in particolare i capitoli dedicati agli usi e costumi locali e i flash sui “libri da non perdere”, sui “dieci film da vedere assolutamente” e cose di questo genere. Al proposito la guida indica il nostro “Mediterraneo”, che ho visto parecchi anni fa, così come “Z – L’orgia del potere”, la bella pellicola di Costa Gavras sul colpo di stato che ha portato al regime dei colonnelli; mentre ho visto solo qualche spezzone di “Il mio grosso grasso matrimonio greco” ed ammetto la grave mancanza commessa nel non avere ancora visto “Zorba il greco”.

Sbarchiamo ad Igoumenitsa alle otto del mattino e riusciamo a salire al volo sul primo traghetto per Corfù. “Pamen”, ci dice l’uomo sul molo strappandoci i biglietti con fare concitato. Le mie pur scarse nozioni di greco cominciano a dare i primi frutti.
Sbarcati a Corfù Città abbiamo qualche
difficoltà ad ottenere informazioni sugli orari degli autobus, ma solo perché siamo convinti che sia domenica mentre invece è già lunedì; segno inequivocabile che ormai ci sentiamo davvero in vacanza. Risolto l’equivoco prendiamo l’autobus per Kavos, estremità sud dell’isola. Per i primi quaranta minuti di viaggio attraversiamo le varie località turistiche situate lungo la costa sud di Corfù Città, in un susseguirsi di Hotel Miramare, Marbella, Maremonti. Ad una fermata sale un giovane inglese; cappellino da pescatore a fiori, torso nudo, bottiglia di birra in mano e rosa tatuata con scritta “England” in bella vista sul bicipite. Ecco il prototipo di umanità che preferirei evitare durante il nostro viaggio. In alcune località della Grecia una certa tipologia di turismo anglosassone rappresenta un serio problema, tanto che qualche anno fa era stata lanciata la provocatoria proposta di installare delle gabbie per contenere i più agitati tra gli inglesi ubriachi.
Ci interessa invece osservare la popolazione locale, anche se non capiamo nulla di quello che dicono; il greco è uno strano insieme di suoni aspri e musicali nello stesso tempo, che al nostro orecchio risultano incomprensibili. Ma mi diverte ugualmente assistere allo scambio di battute tra il corpulento e mite controllore ed il canuto vecchietto con i baffi, che di fianco a lui sembra ancora più piccoletto ma che è molto più agitato nell’eloquio. Anche nello stile i due presentano un contrasto degno delle migliori coppie di comici: il controllore con i lunghi capelli che gli scendono sul viso lievemente imperlato di sudore, il vecchietto a suo modo impeccabile nella camicia bianca a righe verticali che lascia intravedere la canottiera di sotto.
Decido che, se pure in queste due settimane non imparerò che una manciata di parole in greco, voglio almeno imparare a leggere l’alfabeto. Come primo risultato riesc
o a leggere psistaria (ovvero un locale dove si serve della carne alla griglia) su un’insegna nel centro di Lefkimmi, bianca cittadina dell'entroterra. Ci fermiamo a mangiare un horatiki (la classica insalata greca con pomodori, cetrioli, peperoni, feta, cipolle e olive) e una souvlaki pita, concludendo il pranzo col primo caffè greco. Chiediamo informazioni al gentilissimo cameriere che mobilita tutto il locale ma alla fine non riesce ad indicarci un posto dove si affittano motorini. Ci indica la poco lontana e più turistica Kavos, dove troviamo una camera e ci concediamo un po’ di ozio in spiaggia e il primo bagno nelle acque greche.

Pochi giorni prima della partenza su Radio 3 ho sentito un intervista ad Eugenio Finardi, che stava preparando alcuni pezzi in vista della sua partecipazione alla Notte della Taranta, accompagnando il suo lavoro con uno studio sul grico e sui dialetti salentini. Raccontava di come stando in un luogo si possa venire catturati dalle sonorità di lingue e dialetti fino ad assorbirli almeno in parte. “Pensate, c’è una canzone che si chiama Kalinifta. Lo sentite il suono meraviglioso di questa parola? Kalinifta. Ce lo portiamo dentro da sempre.”.
Dal balcone della nostra camera arriva l’eco del ritmo martellante delle discoteche affollate di turisti, ma nonostante questo riesco a sentire le cicale. Per la prima volta sotto il cielo di Grecia, provo anch’io in qualche modo a dire Kalinifta.