domenica 26 dicembre 2010

Auguri (solo un poco polemici) di Buone Feste

...Ed arrivò l'autunno, con le sue consuete piogge e le altrettanto consuete frane ed alluvioni. Tra le regioni più colpite la solita Liguria (a Genova ormai sono sufficienti 24 ore di pioggia per causare disastri) ed il Veneto (acqua alta a Venezia ed allagamenti nel Vicentino). Proprio due delle regioni che hanno subito la cementificazione più selvaggia negli ultimi decenni. Sarà un caso? Nonostante ciò, si continua ad investire in Grandi Opere anzichè mettere in sicurezza il territorio...

Ed arrivò anche l'inverno, con le nevicate e le luminarie natalizie che già a fine novembre erano all'ordine del giorno.

Fedeli alla tradizione, stiamo passando il Natale "con i nostri". Per l'Ultimo dell'Anno invece saremo ospiti della zia del nostro amico Fausto in Toscana, come due anni fa.

Non ci resta che fare gli auguri di Buone Feste ed iniziare a preparare i bagagli...

lunedì 20 dicembre 2010

Work in progress

Settembre è il mese in cui si riprendono le normali attività e ci si butta a capofitto sul lavoro: in questo periodo i nostri viaggi sono stati più che altro mirati a migliorare la nostra professionalità svilita da anni di precariato.

A metà settembre sono stato a Sarzana alla seconda ass
emblea nazionale del Movimento Stop al Consumo di Territorio. La scelta degli organizzatori non è stata casuale: pochi chilometri più a sud, a Marinella, si vuole costruire l’ennesimo porticciolo turistico, accompagnato dalla consueta urbanizzazione fatta di centri commerciali, beauty farm e chissà che altro. Il tutto di fianco alla foce del Magra, in un paesaggio suggestivo dove abbiamo consumato una romantica cenetta qualche anno fa al rientro dal mare. Ben altro esempio di gestione del territorio lo troviamo un po’ più ad Ovest, alle Cinque Terre, anche se l’azione del parco non è stata esente da critiche (a ragion veduta, si direbbe dalla recentissima indagine giudiziaria che vede protagonisti il presidente del parco ed il sindaco di Riomaggiore).
La giornata è stata l’occasione per ritrovare le facce note dei comitati ambientalisti cremonesi e ascoltare e conoscere realtà da diversi territori italiani; Firenze, hinterland milanese, Liguria, Bassa Padana, Abruzzo… Storie che hanno un minimo comune denominatore chiamato cemento. Storie che in parte sto ritrovando nel libro “La colata”, uscito pochi mesi fa.
Ma la gita a Sarzana mi ha dato anche modo di mangiarmi degli ottimi sgabei con le acciughe marinate, il superlativo gelato di una genuina ge
lataia del centro, e soprattutto di visitare questa deliziosa cittadina ligure, molto vivace e ben tenuta, che finora era stata per me solo una stazione in cui cambiare il treno per andare al mare.



Vedi Napoli e poi muori. Sara è ancora viva; al rientro dalla due giorni partenopea per l’ennesimo congresso si è presa solamente una bella contrattura alla schiena. Ora se ne sta sul divano mentre la radio parla dell’ennesima emergenza rifiuti in Campania (ma un' emergenza che dura da quattordici anni diventa la norma, per quanto aberrante). “La più viva delle città morte”, così la scrittrice Giusi Marchetta ha definito Napoli. Mi sembra un ottimo riassunto dei racconti di Sara, che con le sue foto ha cercato di rendermi partecipe della sua esperienza che anche stavolta non ho potuto condividere.

sabato 4 dicembre 2010

La pianura e il mare

A Ferragosto eravamo già a Cremona: giusto il tempo per goderci la fine dell’estate. Gli ultimi bagni ce li siamo fatti in piscina o tutt’al più al Trebbia. Ma i vari reportage estivi pubblicati dai giornali italiani in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia sono stati ulteriori spunti di riflessione sul viaggio appena terminato.

Un'altra occasione per rivivere parte della vacanza è stata la visione di “Mar Piccolo” di De Robilant, con le sue drammatiche storie ambientate nei quartieri tarantini di Paolo VI e Tamburi, situati intorno alla gigantesca zona industriale. Anche se Taranto l’abbiamo solo attraversata, le immagini della città pugliese ed i racconti di Mario Desiati li abbiamo ancora impressi nella mente.

Tornando all’unità d’Italia, al rientro dalle ferie mi è capitato tra le mani “Donne” di Ezio Quiresi, una raccolta di immagini fotografiche in bianco e nero realizzate nel dopoguerra in giro per lo Stivale; la tematica è quella della condizione femminile (specialmente quella lavorativa). Lo sfondo è un paese apparentemente molto mutato per certi versi, ma anche uguale a se stesso per tanti altri.

Ezio Quiresi è morto al nostro rientro a Cremona. Un altro lutto per la fotografia cremonese, dopo la scomparsa di Luigi Ghisleri. Ricordo ancora la presentazione del suo volume “Pianura mare”, poco dopo il nostro viaggio nel Delta del Po. Ero andato anche per portargli i saluti di Paolo, incontrato a Ca’ Cornera, con cui aveva realizzato alcune mostre. Al Museo quel giorno giornalisti, politici, persino i due candidati sindaci: mancava proprio lui, il “fotografo del Po”. Peccato non avere avuto modo di conoscerlo personalmente.

Mi piace molto quel titolo…”Pianura mare”… Da l’idea di movimento. E ci ricorda che anche la pianura, prima o poi finisce. Contro quelle montagne che vediamo stagliarsi azzurrognole all’orizzonte, a Nord e a Sud, nelle giornate più serene. Oppure, lasciandoci trasportare dalla corrente del fiume, verso Oriente, nel mare…

Coast al cubo - 15. Sud relativo

Cremona, 12/8/2010
“La torre fu distrutta dai Senesi intorno al 1300”, legge il ragazzo sulla sua guida. “Siena deve sempre rompe’ le balle, ‘n qualche modo”, gli risponde il signore più anziano con accento marcato. Scene di vera toscanità sulla Torre del Candeliere, Massa Marittima. In basso il borgo medievale con le sue strade tortuose, in alto la città nuova dalle vie ortogonali; tutto è come un anno e mezzo fa, la prima volta che arrivammo nella città toscana nel tardo pomeriggio di un Ultimo dell’anno. Allora Massa Marittima ci colpì, al punto che abbiamo approfittato dell’occasione per tornarci oggi.
Da qui parte il nostro ultimo trasferimento verso Nord, quello definitivo, che ci riporta a casa: ci fermiamo solo per un bagno a San Vincenzo. Niente di che, dopo quanto abbiamo visto durante il nostro viaggio.
In due settimane abbiamo percorso 2913 chilometri, attraversato 11 regioni, fatto il bagno in 3 mari ovvero in 5 regioni. Un viaggio molto istruttivo nel Centro-Sud. Ed ora, il ritorno.
Ritorno a Nord, già. Ma ne siamo così sicuri? A Nord di cosa, poi? Più a Nord di tutta la strada percorsa in questo viaggio, certo. Il Nord Italia, quello che ancora si illude che la criminalità organizzata non sia un problema suo, mentre in realtà fa affari anche in Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia Romagna, Liguria in combutta con i politici locali. Il Nord Italia che si lamenta degli stranieri dimenticandosi di avere contribuito anch’esso alla massiccia emigrazione dal nostro paese nell’800 e ‘900 ed ignorando che sono proprio quegli stranieri che gli tengono
in piedi le aziende. Il Nord Italia che dice di pagare le tasse per mantenere il Sud ma poi manda in parlamento i mega-evasori fiscali.
Quale Nord? Siamo il Nord del mondo, quel 20% che consuma l’80% delle risorse e poi si lamenta se si trova in casa i disperati che vogliono partecipare al banchetto.
Ma siamo anche Sud Europa, con quei brutti vizi che si cerca sempre di scaricare su chi sta un po’ più a Sud di noi ma che fanno parte del DNA di una nazione che, come si dice spesso, è unita soprattutto nei difetti.
E siamo pure il Sud della Lombardia, la regione che si vanta di essere la più avanzata d’Italia e per la quale contiamo poco o nulla, che ci considera terra buona solo per le discariche. Viviamo in una città da cui i laureati spesso devo
no scappare per trovare lavoro; fanno i pendolari sulle città più grandi e tornano a casa stravolti la sera o nei week-end, magari dopo viaggi in treno in condizioni che poco hanno a che vedere con i paesi più avanzati. E mi sembra di ritrovare, anche se su scala più ridotta, i ragazzi di cui parla Marco Desiati nel suo libro.
Parlo con amici del Sud Italia delle dinamiche sociali dei centri più arretrati e penso a quelle del piccolo paese del Cremonese in cui sono cresciuto: trovo più affinità che differenze.
Al termine di questo viaggio, una cosa è chiara come non mai: il concetto di Sud è qualcosa di molto relativo.

martedì 30 novembre 2010

Coast al cubo - 14. Risalita tirrenica

Ravi, 11/8/2010
Lasciamo la Basilicata, e come al solito abbiamo già pronta una lista per la “prossima volta”: Dolomiti Lucane, Vulture, Guardia Perticara, Melfi…aree, borghi e città lucane che non siamo riusciti a visitare. La risalita tirrenica ci attende.
La segnaletica stradale campana è pessima. Dopo Ravello perdiamo le indicazioni per la Salerno - Reggio Calabria, che riusciamo ad imboccare solo dopo un’oretta di viaggio; percorriamo il tratto più decoroso di una delle vergogne nazionali, che pure ha più strisce gialle che bianche a delimitarne le malmesse corsie. Ma sappiamo bene che in Calabria è ancora peggio.
Non riusciamo a trovare l’autogrill dove quasi cinque anni fa, al rientro da una vacanza in Sicilia, ci baciammo per la prima volta; un postaccio infame, con i tir che sfrecciano a pochi metri di distanza e uno sfondo di capannoni e ciminiere. Può sembrare il posto meno adatto dopo due settimane trascorse in una delle regioni più belle al mondo, ma bisogna cogliere l’attimo. Vorremmo fare una sosta dal valore simbolico, ma guardando la carta scopriamo di avere fatto un percorso diverso: o abbiamo sbagliato strada stavolta, o sbagliammo cinque anni fa.
Poco importa, perché arriviamo in Ciociaria. Uscita di Ceprano: mi sarebbe piaciuto fare un saluto al già citato Luca Lottici, ma sono stati giorni intensi e vogliamo arrivare in Toscana entro sera per riposare un po’ e per non avere troppa strada da percorrere domani.
I Colli Romani, il Grande Raccordo Anulare, la Maremma…ed eccoci finalmente in Toscana. Pernotteremo a Ravi, frazione di Gavorrano, nella casa che fu del direttore della vicina miniera di pirite (in fase di recupero; si è voluto valorizzare la zona attraverso la creazione del Parco delle Colline Metallifere). Ceniamo con crostini, ravioli maremmani e pappardelle al cinghiale, mentre intorno a noi, ad eccezione del marcato accento toscano della proprietaria della trattoria e della cameriera, si sente parlare solo tedesco ed inglese. Ma basta uscire dal locale ed ecco di nuovo l’italianità vera: uomini che discutono davanti all’edicola, ragazzini che giocano a pallone in mezzo alla strada e anziani seduti davanti alla porta di casa a conversare. E’ quello che dalle nostre parti si chiama filoss (per i pochi che lo praticano ancora); nella sua versione più moderna, alle inflessioni dialettali degli anziani si mescola l’italiano imperfetto delle badanti rumene.
Le grida dei ragazzini, il rumore del pallone che rimbalza contro i muri, il tono imperioso degli uomini e quello più sommesso e corale degli anziani: tengo tutto a mente per annotarmelo al mio rientro in camera. E’ bellissimo, mi sento carico come se fosse la prima sera del viaggio.Ma purtroppo è l’ultima.

domenica 28 novembre 2010

Coast al cubo - 13. Migranti, supercafoni e resistenti

Maratea, 10/8/2010
Tutto il mondo è paese: anche a Maratea, “città della tutela ambientale”, il comune è sotto accusa per alcuni trattamenti antiparassitari che altererebbero l’ecosistema contribuendo alla scomparsa a livello locale di alcuni piccoli animali e viceversa rafforzando proprio alcune specie di insetti, tra cui una zanzara che prenderebbe di mira le caviglie dei bagnanti. Effettivamente ieri sulla Spiaggia Nera siamo stati bersagliati!

Quest’oggi cambiamo meta, anche se ci spostiamo di poco: andiamo alla Spiaggia Macarro, sicuramente la più bella tra quelle che abbiamo visitato in questo tratto di Tirreno. Come la maggior parte delle spiagge marateote si tratta di una baia di ciottoli fini incastonata tra due promontori rocciosi. Nuotiamo ed esploriamo le grotte e gli scogli, poi ci stendiamo al sole.
In spiaggia, frammenti di conversazioni tra emigrati: “quanto ti fermi”, “passo qualche giorno da mia madre”, “domani prendo il diretto delle 6:30”, “sarò a Bologna mercoledì”… Le cifre dicono che l’emigrazione interna (cioè dalle regioni del Sud a quelle del Nord) in Italia ha ripreso ad aumentare, sfiorando il picco di inizio anni ’60: ma nessuno ne parla. Davanti ai miei occhi, in un pomeriggio d’agosto su una spiaggia lucana, le cifre nascoste dai giornali diventano storie concrete, volti reali, persone in carne ed ossa.
Saliamo in pineta a farci una frisa e prendere un po’ di fresco. Purtroppo la tranquillità non dura a lungo: ben presto arriva uno yacht di burini urlanti con la musica a tutto volume. Sembra di essere in uno spot di qualche compagnia di telefonia mobile. Quassù, nascosti dagli alberi, siamo a modo nostro dei partigiani: i resistenti del buon gusto in quest’Italia in cui regnano ormai i supercafoni. Fortunatamente prima che ci venga davvero la tentazione di passare alla lotta armata i burini se ne vanno. Immagino che il loro intento sia quello di risalire la costa tirrenica sostando per almeno una decina di minuti davanti ad ogni spiaggia, giusto il tempo per fare sfoggio del loro status di vip.

La sera tentiamo di fare un giro a Maratea ma i parcheggi sono tutti pieni. Come se non bastasse, nel giro di una decina di minuti lungo la strada costiera assisto a tre manovre da denuncia per tentato omicidio. Sto guidando in uno stato di terrore: non mi accadeva da quando ero un giovane neopatentato. Cerchiamo il primo ristorante con ampio parcheggio e ci infiliamo dentro per consumare un mediocre fritto misto.
Ci rendiamo conto che è giunta l’ora di lasciare questo posto.

lunedì 22 novembre 2010

Coast al cubo - 12. Perle e porci

Maratea, 9/8/2010
Disco club, balli di gruppo, animatrici che ti salutano con il loro squillante “buongiorno!” e che già alle nove e mezza di mattina inseguono i turisti in spiaggia per coinvolgerli nel risveglio muscolare sono quanto di più lontano dalla nostra idea non solo di vacanza ma anche di campeggio. Allo stesso modo i braccialetti colorati tanto di moda nei camping salentini, per marchiare i turisti come i bovini negli allevamenti o come i prigionieri in libertà vigilata nei film americani. Usciamo dal campeggio appena possibile diretti a Maratea.
Saliamo al Redentore, statua del Cristo alta 22 metri (seconda al mondo in altezza solo a quella di Rio de Janeiro, anche se in Polonia ne stanno costruendo una che le supererà entrambe) situata in posizione panoramica sul Golfo di Palinuro. In realtà il Redentore sembra infischiarsene del belvedere sul Tirreno: volta infatti le spalle al mare ed apre le braccia in direzione della Basilica di San Biagio, un centinaio di metri più avanti.
Ho cambiato macchina e ragazza: la prima succhiava troppo, la seconda troppo poco. D&G: Dammela e Godo. Scopando troppo si diventa ciechi (con i caratteri che si rimpiccioliscono). Non è un attacco di blasfemia: sto solo riportando le scritte sulle t-shirt in vendita nei negozi situati tra la statua e la basilica, tra i souvenir del tipo a Maratea andai, a te pensai, questo ricordo ti portai, i Redentori in miniatura nelle sfere di plastica (quelle che se le ribalti nevica) e i manganelli con i colori delle varie squadre di calcio europee, in un mix di religiosità ostentata, volgarità e trash che mi pare emblematico della deriva italica.
Ben altra atmosfera si respira in paese: la “perla del Tirreno” è un grazioso centro che ha conservato una sua personalità, senza cedere alla cementificazione selvaggia e alla mercificazione della propria immagine. Giusto sulla via principale si trovano alcuni negozi di souvenir (che fortunatamente non eccedono in articoli pacchiani) e qualche bar/pasticceria. In uno di questi ci sediamo per prendere un caffè e un bocconotto (tortina ripiena di crema ed amarena), poi passeggiamo romanticamente per i vicoli di Maratea. “Vogliatevi bene”, raccomanda un signore che si ferma a parlare con noi sulla salita che porta alla Chiesa Maggiore: forse vuole solo riprendere fiato, infatti sembra piuttosto provato. “Vogliatevi bene, che è quello che conta. Al giorno d’oggi poi, con quello che si sente alla televisione…” dice riprendendo fiato. “Meglio spegnerla” gli dico. Specialmente per chi, come lui, abita in una casa con vista spettacolare sul Tirreno.
In una rosticceria prendiamo fiori di zucca fritti e mozzarella, poi scendiamo alla Spiaggia Nera, così chiamata per il colore della sua sabbia. Una raccomandazione per coloro che ci andranno: abbiate l’accortezza di non camminarvi a piedi nudi. E’ come camminare sui carboni ardenti!
Riusciamo a farci un bagno senza essere spolpati da parcheggiatori e gestori dei bagni privati. E non sarà qualche cafone da spiaggia a rovinarci la giornata.

In serata a Castrocucco Sagra dell’Ortolano: andiamo lì per cena. E il suono dell’organetto dell’orchestrina che suona sul piccolo palco finalmente annulla i ritmi dance della pista da ballo del campeggio.

domenica 21 novembre 2010

Coast al cubo - 11. Han fatto l'Italia, facciamoci italiani

Maratea, 8/8/2010
Per il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia non potevamo scegliere viaggio migliore. Ci stiamo rendendo conto che la nostra vacanza, in quanto itinerante e non strettamente collegata ad un identità locale o regionale ma incentrata sull’Italia centro-meridionale, ci sta fornendo indicazioni su una più generica identità del Sud.
Lucania terra di briganti, si dice paradossalmente dell’unica regione del Sud Italia in cui è assente una vera e propria criminalità organizzata paragonabile alla Mafia siciliana, alla ‘Ndrangheta calabrese, alla Camorra campana o alla Sacra Corona Unita pugliese. Camuffando col termine brigantaggio quella che più propriamente dovrebbe essere chiamata resistenza. Resistenza nei confronti di quelli che per molti abitanti del Mezzogiorno da liberatori divennero ben presto occupanti. Non sono certo discorsi anti-unionisti o nostalgie borboniche, che si collocherebbero al pari del separatismo invocato dalla Lega Nord: vedo l’unità d’Italia come una cosa ovvia, ma altrettanto ovvio sarebbe stato garantire autonomie locali più forti ad un territorio geograficamente e culturalmente così composito e soprattutto con una lunga storia di frammentazione amministrativa e politica alle spalle.
Il nostro viaggio è lo spunto ideale per queste riflessioni, che fanno da contraltare ai fantomatici nazionalismi tanto in voga dalle nostre parti. Conoscere la realtà degli altri e cercare di comprenderne le ragioni è salutare e farà di noi – ne sono convinto – degli italiani migliori.
Emblematico del nostro viaggio è il posto in cui ci troviamo: un lembo di Basilicata sulla costa tirrenica, da cui vediamo da una parte l’estremità meridionale del Cilento (Campania) e dall’altra gli abitati di Praia a Mare e Scalea (Calabria).

Ci procuriamo una canoa e pagaiamo fino a raggiungere le prime calette incastonate tra gli scogli e le grotte a Nord di Castrocucco; qui facciamo il nostro primo bagno nelle acque tirreniche. Il nostro obiettivo può dirsi raggiunto: i tre mari sono stati conquistati. In questi ultimi giorni ci godremo il successo ottenuto.
Pranzo a base di pecorino di Moliterno, poi nel pomeriggio passeggiamo sulla spiaggia in direzione Sud. Seguiamo con lo sguardo uno degli ambulanti cingalesi che fanno avanti e indietro per la spiaggia con la loro mercanzia. Arriva alla foce del torrente Noce, confine tra Basilicata e Calabria. Qui la corrente si scontra con le onde del Tirreno, disegnando uno strano effetto sulla superficie dell’acqua. Il cingalese risale un tratto del torrente fin dove l’acqua è più calma. Da lontano lo vediamo alzarsi i pantaloni sopra le ginocchia, appoggiarsi l’espositore su una spalla e guadare il torrente. Sullo sfondo, i saliceti lungo il greto sassoso del Noce ed i canneti poco più in là, in un paesaggio che, se non fosse per le vette del Pollino sullo sfondo, potrebbe ricordare quello dei nostri fiumi. Una scena che racchiude in sé tutti i Sud del mondo. Lo seguiamo e sconfiniamo anche noi. Ci facciamo un bagno nelle acque calabresi: per me è la prima volta. Questo non era previsto, ma ormai ci abbiamo preso gusto: vogliamo strafare!

La sera festeggiamo con una bottiglia di Forest, tipica birra locale.

giovedì 11 novembre 2010

Coast al cubo - 10. Percorsi incrociati

Maratea, 7/8/2010
Il centro di Montescaglioso è un dedalo di strette viuzze,
ma ciò non impedisce alle auto di intrufolarsi in ogni anfratto e pertugio. Riusciamo a divincolarci e ad uscirne indenni; raggiungere le colline lucane con le loro strade pressoché deserte è un sollievo.
Facciamo
una deviazione al lago di San Giuliano, un bacino artificiale formatosi negli anni ’50 a seguito della costruzione dell’omonima diga. Un piccolo paradiso per i pescatori locali ed il posto ideale per un pic-nic o una pennichella. Ma non è l’orario ideale per nessuna delle due, e allora riprendiamo la strada. Tra Miglionico e Ferradina il paesaggio torna ad essere brullo e caratterizzato da alti calanchi; a prima vista sembrerebbero luoghi dove la Modernità non è ancora arrivata a distribuire vantaggi e danni, ma proprio a Ferradina si muore di tumore più che da altre parti. Colpa dell’ex fabbrica di amianto e della relativa discarica che ancora attende la messa in sicurezza.
Percorriamo la Valle del Basento, poi risaliamo verso il luogo dove tanti anni fa nacque il famoso amaro gustato ieri sera nel dopo cena, il posto migliore per farsi un’idea del territorio del Materano: Pisticci.
Pochi giorni fa, con un avventore fisso del bar dove vado a fare la pausa caffè quando lavoro, si parlava proprio di Pisticci; ed ora eccomi qua. Nomi sulla carta stradale che diventano racconti, che a loro volta si materializzano davanti ai miei occhi. La storia del rione Dirupo, per esempio, ricostruito dopo una frana seguendo un disegno urbanistico caratterizzato da ripide strade rettilinee ed abitazioni ad un piano, chiamate lammie. Pisticci presenta diversi aspetti, dai quartieri più moderni ai rioni Dirupo e Terranova, fino al Corso Margherita di Savoia, che collega il Municipio alla chiesa di impronta razionalista dedicata a San Rocco, costruita in pieno ventennio fascista.
Lasciamo Pisticci
e dopo una decina di minuti svoltiamo per una strada che sale per le spoglie colline lucane. La segnaletica orizzontale è totalmente assente e l’erba fa capolino tra le crepe dell’asfalto. Le stoppie dal ciglio della strada stanno per invadere la carreggiata. Al nostro passaggio cavallette giganti si spostano per farci spazio saltando qua e là, mentre un rapace volteggia pochi metri sopra le nostre teste. Stiamo andando a Craco, la città fantasma.
Il paese di Craco è stato abbandonato nei decenni scorsi in
seguito ad una frana e l’accesso al centro storico è interdetto in attesa della messa in sicurezza. La fama della città fantasma sta facendo entrare Craco in una sorta di circuito di turismo alternativo ed ha portato da queste parti diversi registi, che l’hanno scelta come location cinematografica.
Scendiamo in direzione Tursi. Abbandonando il Materano il paesaggio si fa più verde e ombreggiato. Dalle parti di Valsinni temiamo di aver sbagliato strada, ma l’apparizione della distesa azzurra del Lago di Monte Cotugno è liberatoria.
Craco, Latronico, Lauria…stiamo percorrendo il tragitto dei protagonist
i di “Basilicata coast to coast”, ma al contrario. D’altra parte è da quando siamo partiti che incrociamo i percorsi, virtuali o reali, compiuti da altri: i viaggi per fari di Enrica Simonetti, le migrazioni dei martinesi di Mario Desiati, il pellegrinaggio dei musicisti/teatranti di Rocco Papaleo…

Appena arrivati a Trecchina veniamo adescati da un ragazzino che, ben addestrato dai genitori, ci illustra con una parlantina degna del miglior imbonitore le “bellezze” di un villaggio turistico dall’aspetto in realtà poco attraente. Nonostante i suoi sforzi non riesce a convincerci: risaliamo sull’auto e ci buttiamo in picchiata verso il Tirreno. Si è fatta una certa ora e decidiamo di fermarci in un campeggio a Castrocucco, una frazione di Maratea al confine con la Calabria.
La giornata è stata faticosa: ci meritiamo una bella pizza. Con lo stomaco pieno camminiamo fino alla spiaggia in una notte senza luna e riusciamo solo ad immaginare la bellezza di questo posto, decantata tra gli altri anche da un certo Indro Montanelli.

mercoledì 10 novembre 2010

Coast al cubo - 9. Cosa voglio di più dalla vita?

Montescaglioso, 6/8/2010“Coast to coast significa ‘da costa a costa’. Loro sono partiti dal Tirreno per arrivare sulla costa ionica”. Sasso Barisano. Un uomo parla con la moglie di “Basilicata coast to coast”, il grazioso film di Rocco Papaleo uscito qualche mese fa. Pellicola che ha sollevato polemiche in Lucania a causa del sostegno economico dato dalla Regione per la sua realizzazione. Scelta che in realtà potrebbe rivelarsi oculata, visto che un bel po’ di gente ha deciso di visitare la Basilicata proprio dopo aver visto il film.
Chi non aveva bisogno del film di Papaleo è proprio Matera, meta principale del turismo diretto in Basilicata e già set cinematografico scelto, tra gli altri, da Pier Paolo Pasolini, Francesco Rosi, Roberto Rossellini, e Giuseppe Tornatore. Quattro anni fa la città dei Sassi mi trasmise un senso di desolazione, forse anche per il sole a picco ed il caldo torrido. Oggi la giornata è ventosa ed è pure caduta qualche goccia di pioggia, per cui passeggiare tra le abitazioni scavate nel tufo è un vero piacere. Saliamo e scendiamo i gradini dei vicoli dei Sassi finché non arriva l’ora di uno spuntino. Ci sediamo ai tavolini di fronte al Sedile ed ordiniamo una focaccia materana (pomodori, salsiccia e olive), interrompendo una discussione tra padre e figlio (il secondo non si sente portato per lavorare nell’attività ereditata dal primo; ma a Matera scegliere dev’essere più difficile che altrove).
Uscendo dalla città andiamo a visitare il Parco delle chiese rupestri del Materano e dell’Alta Murgia, in un paesaggio di cui colpisce la pressoché totale assenza di alberi. Il territorio è cosi scarno e riarso che ci viene la smania di tuffarci in mare. Ci dirigiamo perciò a Metaponto, sulla costa ionica: per noi, la prima delle due coast lucane.

“Questi
sono i vicini, che mi fanno anche un po’, per così dire, da…segretari”: così il gestore del Borgo ritrovato – dove dormiremo anche la prossima notte – ci presenta, alzando lo sguardo con aria rassegnata, i due signori sull’ottantina perennemente seduti sull’uscio di casa, di fianco alla nostra stanza. E’ proprio con l’uomo che finisco a parlare di emigrazione. “Partirono in molti da Montescaglioso. Per il Nord Italia, la Francia, l’Isvizzera” (mi fa impazzire quando sento dire in Isvizzera). Mi parla di un servizio sulla raccolta dei pomodori in Capitanata che ha visto ieri sera alla televisione. Dice che un tempo l’immigrazione era gestita meglio che oggi, con un numero imprecisato di disperati stipati in catapecchie e sfruttati come schiavi. O meglio, questo è quanto mi pare di capire, perché il dialetto lucano a tratti si fa troppo stretto. A Sara va peggio: è stata incastrata dalla moglie, che praticamente non parla italiano. In questo, nonostante le mie tendenze antimilitariste, non posso negare l’importanza che ha avuto la naja nel secolo scorso: per molti uomini l’unico contatto con delle realtà diverse dal proprio paese natale. Come nel caso del mio nuovo amico, che ha lasciato la Lucania solo per prestare servizio militare in Piemonte.

Ceniamo a Montescaglioso: orecchiette con sugo di braciole per me, costata di cavallo per Sara, Primitivo di Matera per tutti e due. Le taverne, le piazze, le strade del paese sono piene di gente. Questo è il mese in cui Montescaglioso si ripopola di studenti e lavoratori emigrati e dei loro figli (oltre che di turisti). Ma è anche il mese (l’unico, si lamentano i giovani abitanti) in cui ogni sera c’è qualche evento: sagre, concerti, letture di poesie, spettacoli…C’è anche la festa del PD, che tra l’altro governa saldamente la Regione Basilicata da parecchie legislature. Proprio alla festa dei Democratici (ormai anche le feste dell’Unità sono finite in soffitta perché troppo estremiste) ci fermiamo ad ascoltare un po’ di jazz.

E se a questo punto viene da parafrasare un celebre spot, chiedendosi “cosa voglio di più dalla vita?”, beh, il Lucano l’abbiamo già preso a conclusione della nostra cena.
E allora per stasera, davvero, non chiedo niente di più dalla vita.

lunedì 8 novembre 2010

Coast al cubo - 8. Vero cuoio

Montescaglioso, 5/8/2010
La Puglia ed i suoi figli sparsi per il mondo sono l’argomento centrale del secondo libro che ho scelto per accompagnarmi nel viaggio: “Foto di classe” di Mario Desiati. L’autore racconta storie comuni a tanti pugliesi che hanno lasciato la terra d’origine e vi fanno ritorno per Natale, Pasqua e per le ferie estive, come gli amici di Ben incontrati qualche giorno fa o gli “svizzeri” di Cupello.
Per nostra fortuna noi siamo, almeno per queste due settimane, viaggiatori per diletto, e la Puglia la lasciamo solo perché siamo diretti verso la nostra prossima meta: la Basilicata. Facciamo colazione con cappuccino e pasticciotto (il tipico dolce leccese ripieno di crema) e partiamo.
Facciamo tappa per il rifornimento di viveri a Manduria, cittadina ricca di storia oltre che patria del celebre vino Primitivo. Ne approfittiamo per fare due passi per i vicoli del centro, mentre manca il tempo per percorrere la doppia cinta muraria; ci accontentiamo di un’occhiata dal finestrino dell’auto una volta ripartiti.
“Attenzione: città inquinata” è il monito che appare su un muretto a lato della tangenziale di Taranto. Un uomo brucia delle stoppie sul ciglio della strada, incurante del traffico dell’ora di punta. Altre colonne di fumo si alzano qua e là nelle Murge Tarantine. Percorriamo il ponte che taglia in due il Mar Piccolo: alla nostra sinistra si staglia il caratteristico profilo della città pugliese, due promontori ed un isolotto collegato ad essi tramite i due ponti che separano Mar Grande e Mar Piccolo. Su tutto incombe lo spaventevole skyline della zona industriale, dominata dalle ciminiere dell’ILVA che si stagliano contro il cielo più ricco di diossina di tutta Italia.
Proseguiamo lungo la litorale ionica ed arriviamo alla Riserva Stornara, nei pressi di Castellaneta Marina. Se la Puglia è il tacco dell’italico stivale e la Calabria ne è la punta noi siamo – per dirla con l’espressione usata dal fratello del mio amico Luca Lottici quando gli ho parlato del nostro viaggio – dove sta scritto “Vero cuoio”. Parcheggiamo alla stazione ferroviaria, proprio mentre sta arrivando un treno locale composto di un solo vagone. Ne scendono due ragazzini coi loro zainetti da spiaggia. L’ultimo avviso dell’altoparlante, poi il locale riparte sferragliando finché il rumore non si perde all’orizzonte. Non rimane che il canto delle cicale. Seguiamo le frecce e le scritte “mare” verniciate sui muri. Attraversiamo la pineta ed arriviamo ad un passaggio a livello: la famiglia del casellante sta pranzando all’ombra di un pino marittimo. Ancora un tratto di sentiero tra le dune costiere ed eccoci arrivati alla distesa di sabbia finissima e quasi deserta. Il bagno che segue è uno dei più belli della vacanza.
Consumiamo un pranzo a base di verdure e cacioricotta nella pineta odorante di rosmarino selvatico, poi ripartiamo alla volta di Montescaglioso, villaggio situato tra Matera e la costa ionica. Le prossime notti le passeremo in un albergo diffuso; si tratta di stanze dislocate in vari punti del centro storico ma ad una distanza limitata l’una dall’altra e gestite in maniera unitaria. Spesso progetti simili sono inseriti in un’ottica di turismo a basso impatto e vengono realizzati con l’intento di rivitalizzare borghi spopolati.
Montescaglioso si trova su un’altura che offre uno spettacolare panorama sulle brulle colline lucane: il tramonto sul lago di San Giuliano è uno dei più belli cui mi ricordo di avere assistito.
Ceniamo alla sagra dello gnutt’l’, tipica pasta locale che accompagniamo con una bottiglia di Raffo, la birra dei due mari (noto marchio tarantino). Ci spostiamo poi nella piazza principale, dove è previsto un concerto di musiche nel sud, nel senso più ampio del termine: Sud Italia, Sud Europa, Sud America, tutto nello stesso calderone. Un po’ tamarro se vogliamo dirla tutta; ma quando partono le pizziche tutti si scatenano. E il sirtaki altro non è che l’ennesimo flash-back della (Magna) Grecia.

mercoledì 27 ottobre 2010

Coast al cubo - 7. Segnali di vita

Torre Castiglione, 4/8/2010
Tante, troppe cose vorremmo fare in Salento. Ci piacerebbe ritornare ad Otranto, dove nel 2006 e nel 2008 abbiamo avuto una guida d’eccezione: Sandro, amico nato e cresciuto nel vicino paese di Melendugno. C’è poi la zona di Leuca, quella che conosco meno; sarebbe bello esplorare la zona a Nord del Capo. Come se non bastasse, il recente (e bellissimo) film di Ferzan Ozpetek “Mine vaganti” ci ha fatto venire voglia di torna
re a Lecce, città nella quale è stato girato. Ma domani lasceremo la Puglia. Il nostro viaggio proseguirà verso Nord-Ovest. Oggi eviteremo di fare troppa strada e ci terremo freschi per domani.

Ci facciamo un
a passeggiata per la Riserva della Palude del Conte da Torre Castiglione a Torre Lapillo, tra dune costiere, zone umide, spunnulate (specchi d’acqua di origine carsica) e soprattutto bellissime spiagge. “Posto magnifico…però tutta ‘sta roba bisognerebbe tirarla via”, mi dice un signore sulla sessantina indicando la sporcizia sulla spiaggia, mentre sto per immergermi nelle acque ioniche. Effettivamente anche qui si alternano bellezza e decadenza, in puro stile mediterraneo. Siamo consapevoli della nostra incapacità di gestire l’immenso patrimonio naturale ed artistico che ci ritroviamo, e dell’inerzia dei nostri amministratori e dei nostri politici: ma lascia ancora meravigliati ed indignati l’inciviltà che si nasconde dietro ad ogni bicchiere di plastica, pacchetto di sigarette, involucro di gelato abbandonato tra gli scogli.

Nel tardo p
omeriggio saliamo in auto, mettiamo su i Nidi d’Arac e partiamo alla volta di Nardò, dove rimaniamo incantati davanti al tripudio barocco della cittadina leccese, dalle sue chiese, dai suoi palazzi, dal tempietto dell’Osanna, dal Castello e soprattutto dalla centralissima Piazza Salandra. Camminiamo a lungo per i vicoli del centro, tra sale da barba d’altri tempi e circoli ( a Nardò se ne contano davvero tanti: edili, commercianti, muratori, bersaglieri…). Camminiamo finchè la fame non ha il sopravvento; e allora un bel piatto di orecchiette, alla leccese (pomodoro e ricotta forte) per me, e con pomodoro, basilico, provola e speck per Sara. Il tutto accompagnato da Negroamaro.
Facciamo ancora due passi prima di ritornare alla macchina. Sui muri campeggiano ancora i manifesti per le ultime elezioni regionali. Nichi Vendola è ormai sbiadito ma ci fissa ancora con aria di sfida. Eccolo di nuovo, il personaggio che una parte di sinistra ha trasformato nel nuovo San Nicola da Bari. Lo spauracchio di una destra che lo accusa di populismo. Uno a cui si potrebbero fare molte domande, dal suo ruolo nello scandalo della sanità pugliese (ma almeno pare abbia fatto piazza pulita dei personaggi coinvolti nelle indagini della magistratura) alla sua posizione sugli inceneritori (contraria a parole, ma è delle scorse settimane l’autorizzazione ad un nuovo impianto in Capitanata). Un omosessuale dichiarato di idee sostanzialmente radicali che da sei anni governa una regione tendenzialmente conservatrice. Uno di sinistra che non si vergogna di esserlo e che riesce ad entusiasmare la gente in piena era berlusconiana.
“Se Vendola si candiderà avrà grandi possibilità di successo perché incarna un sogno, qualcosa di cui gli italiani hanno bisogno”, diceva poco fa il proprietario di un negozio di artigianato, aggiungendo subito dopo, a smorzare l’eccessivo entus
iasmo: “…anche perché se ti guardi intorno non c’è nient’altro”.
Non mi sento di definirli sogni, ma in quest’epoca di mediocrità assoluta quelli che arrivano dalla Puglia sono se non altro segnali di vita.

martedì 26 ottobre 2010

Coast al cubo - 6. Salento (shire?)

Torre Castiglione, 3/8/2010
Ho tanto parlato a Sara della Riserva Naturale di Porto Selvaggio che ora vuole andarci anche lei. Prendiamo quindi la litoranea in direzione Sud. Attraversiamo il labirinto di sensi unici di Porto Cesareo coi loro nomi da battaglia navale scritti a vernice o a spray sui muri, insieme alle scritte “vendesi suolo” con tanto di recapito telefonico, alle citazioni dei Negramaro (glorie musicali locali) ed agli slogan contro il nucleare (il Salento è tra le zone di cui si parla come possibile ubicazione delle centrali promesse – o minacciate – dal governo).
Scendiamo a Torre Uluzzo e ci facciamo un bel po’ di bagni, poi consumiamo uno spuntino a base di rustico e puccia con la costa brulla alla nostra sinistra, il mare blu sotto di noi che si infrange contro gli scogli e la sagoma di Gallipoli all’orizzonte.
La cucina pugliese – e quella salentina in particolare – tra pucce, rustici e frise offre molte possibilità per farsi uno spuntino leggero e rituffarsi in mare; cosa che facciamo anche noi. Risaliamo a metà pomeriggio, attraverso il sentiero che si fa spazio tra pietraie, arbusti di macchia mediterranea, fichi d’india, rovine di torri di avvistamento e furnieddhru (le tipiche costruzioni rurali a pianta circolare e tetto a volta). Ripartiamo per Gallipoli mentre un ambiguo individuo fa pagare 2 euro come fantomatico prezzo per il parcheggio ad un perplesso turista tedesco. E’ la prima volta che assisto ad una scena del genere da queste parti, mentre sul Gargano e dalle parti di Bari l’ho vissuto personalmente più di una volta.

A Gallipoli parcheggiamo su Corso Roma e percorriamo la moderna passeggiata che, tra negozi e ristoranti, conduce al palazzo vetrato che con la sua ventina di piani fa da irrazionale “porta” alla città vecchia. Io e Sara ripercorriamo, due anni dopo, gli stessi vicoli, perdendoci tra palazzi barocchi, arcate, corti interne, santi e santelle, anziane signore sedute davanti all’uscio, bouganville che si arrampicano sui muri bianchi.

Ritorniamo a Torre Castiglione percorrendo la strada più interna, che attraversa la terra rossa di Salento ed i suoi uliveti, tra i quali di tanto in tanto ritorna la scritta “vendesi”. Negli ultimi tempi, oltre ai turisti del Centro-Nord Italia, anche gli inglesi hanno scoperto il Tacco d’Italia e stanno acquistando e risistemando case e masserie, tanto che dopo il “Chianti Shire” e il “Marche Shire” si comincia a parlare di “Salento Shire”.
In questa fase di espansione turistica tante domande sorgono spontanee: Quale direzione prenderà il Salento? Quella dei posteggiatori abusivi? Quella del turismo esclusivo? Rimarrà una meta accessibile a tutti? Resterà una terra conservatrice? Diventerà una terra aperta, alternativa, al suono dell’ideale gemellaggio giamaicano-salentino della musica dei Sud Sound System? Sarà la terra delle energie rinnovabili o del nucleare? Nei campi ci saranno ulivi secolari o pannelli fotovoltaici? Si piegherà al modello imperante della super-produzione o continuerà a puntare sul turismo? E soprattutto, riuscirà a portare avanti un turismo sostenibile e non basato sulla cementificazione selvaggia?
Bisognerebbe dare più opportunità ai salentini costretti a disperdersi per il mondo. Ma guardo la bellezza di questa terra rossa e spero con tutto il cuore che si trovi il modo di farlo senza deturparla come è già accaduto in troppe parti d’Italia.

lunedì 25 ottobre 2010

Coast al cubo - 5. Giornate da Ionio

Torre Castiglione, 2/8/2010
Il Salento rappresenta il migliore esempio italiano di auto-promozione turistica. Alla base di questo c’è un forte attaccamento alle proprie radici, riscontrabile nei salentini emigrati in ogni angolo della penisola. Spesso si rendono riconoscibili per le loro magliette con la scritta “Salento”, per le sciarpe giallorosse del Lecce o perché in qualche modo fanno mostra dei simboli della terra d’origine.
Negli ultimi anni abbiamo assistito poi ad una riscoperta del folklore salentino, che ha nella pizzica e nella taranta le espressioni più caratteristiche. La musica popolare salentina ha ancora oggi una grande influenza su gruppi non prettamente folk ma che hanno un forte seguito sul pubblico più giovane, come i Sud Sound System o gli Après La Classe. L’evento clou della stagione musicale salentina è proprio la “Notte della Taranta”, manifestazione itinerante cui ogni estate partecipano nomi di primissimo piano nel panorama musicale nazionale. La taranta è diventata anche un po’ una tendenza, che ha fatto sì che ogni estate il Salento venga invaso da giovani “alternativi” del Nord Italia che “vengono a ballare in Puglia”, attratti da un’idea fin troppo idilliaca di una terra che pure di problemi ne ha parecchi; e li cantava bene Caparezza nella sua hit dell’estate 2008.
Ma l’ingrediente principale del successo dell’immagine del Salento è uno ed indiscutibile: la bellezza. Ne troviamo conferma tornando alla spiaggia di ieri sera. L’ultima volta che sono stato da queste parti la spiaggia era così affollata da non poterla apprezzare appieno: era una domenica di metà agosto. Oggi va un po’ meglio, pur essendo in alta stagione.
Stiamo imparando a comportarci da buoni salentini e capiamo che queste sono giornate da Ionio più che da Adriatico. Ieri è cambiato il vento: dalla superstrada Bari-Lecce vedevamo il bianco delle onde. Qui invece l’acqua è calma e limpida. Ci tuffiamo e facciamo nostro anche lo Ionio.

A proposito della musica popolare salentina, un esempio ce l’abbiamo anche “in casa”: sono i Khaossia, frutto dell’incontro tra il poliedrico musicista cremonese Fabio Turchetti e il flautista leccese Luca Congedo. Purtroppo non riusciamo a metterci in contatto con Luca, che dovrebbe tornare a Lecce ai primi di agosto. Magari nei prossimi giorni ci si riuscirà ad organizzare per un saluto.
D’estate il Salento pullula di sagre, alcune furbescamente spostate nella stagione più turistica. Stasera abbiamo scelto di andare alla Sagra dell’Uva e del Vino di Guagnano, un paese dell’interno a una mezzoretta di strada da qui. Ci prendiamo un caffè in ghiaccio con latte di mandorla, facciamo un ultimo bagno, poi ci prepariamo e partiamo.Arriviamo a Guagnano con la luce del crepuscolo. Ci mangiamo un panino co li pezzetti (te cavallu), patatine fritte, pittule e, ovviamente, uva. A seguire concerto di musica salentina con gli Alla Bua. Il gruppo è ottimo, l’atmosfera coinvolgente. La bambina davanti a me avrà si e no quattro anni ma balla la pizzica con movimenti innati, come se la portasse dentro da sempre. Possiamo stare tranquilli: lo spirito di questa terra ha ancora una lunga vita davanti a sé.

venerdì 22 ottobre 2010

Coast al cubo - 4. Pizzica nuziale reprise

Torre Castiglione, 1/8/2010
…La festa di Ben e Maria Grazia non finisce mai…Al mattino siamo di nuovo tutti insieme sotto il portico a fare colazione con torta nuziale e confetti, poi pranzo a base di puccia con pomodori e cipolle. Ma vogliamo lasciare un po’ di tempo agli sposi per prepararsi alla partenza del loro viaggio di nozze che li porterà fino in Canada. La nostra prossima meta è più a portata di mano: abbiamo deciso di partire oggi e di spostarci nei dintorni di Lecce.
Salutiamo perciò gli sposi, i genitori e gli amici di tutta Italia e ci rimettiamo in viaggio. Abbiamo in tasca un indirizzo di Otranto, ma preferiamo dirigerci subito verso la costa ionica. Arriviamo a Porto Cesareo dove ci fermiamo per un caffè in ghiaccio e per studiare le prossime mosse. Decidiamo di andare in campeggio poco più a Nord, nella zona di Torre Lapillo.
Sono stato abituato fin da piccolo a fare campeggio, ma negli ultimi anni le mie preferenze si sono spostate verso altre forme di vacanza. Non è stata certo la mancanza di comodità a farmi cambiare idea; e non è stata nemmeno l’età adulta che mi ha fatto “imborghesire”. Dormire in pineta, uscire dalla tenda in mutande, condividere la propria quotidianità con degli sconosciuti sono esperienze che spingono inevitabilmente alla socializzazione; e questo mi piace. Il fatto è che preferisco stare in contesti non prettamente turistici e mescolarmi il più possibile tra la gente del posto. Trovare ospitalità da un amico ti fa sentire, anche se solo per pochi giorni, quasi come un abitante di quel luogo. In misura minore, anche un appartamento affittato o un bed & breakfast ti fanno entrare nella quotidianità di una città o di un paese.
Viceversa, se campeggio dev’essere, preferisco un campeggio vero, spartano; mi bastano un minimo di pulizia nei bagni e poco più. Il camping dove ci troviamo è di quelli iper-organizzati, con tanti, forse troppi servizi; anche se va detto che avere il market a due passi ha la sua praticità. Infatti ci compriamo burrata, pomodori e taralli e la nostra cena è già pronta.
Facciamo due passi fino al mare e ci spingiamo su un promontorio roccioso collegato alla riva da una sottile striscia di terra: Torre Castiglione. Dalle rovine della torre di avvistamento faccio scorrere lo sguardo a 360 gradi intorno a me. Anche se l’obiettivo potrà dirsi pienamente raggiunto solo domani con un bel bagno, già vedo la prossima meta ai miei piedi. La seconda “coast” si è materializzata sotto forma di scogli sotto i miei sandali. Alla luce del crepuscolo lo Ionio ha un colore che vira verso il blu elettrico.