giovedì 7 gennaio 2010

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 14. Mio estremo oriente

Patrasso, 29/08/09
Vathy prima dell’alba sono le prime luci accese nelle case, qualche macchina o motorino che rompe il silenzio e un assonnato fermento intorno al molo da cui sta per salpare la nave per Patrasso. Per noi, solo una parentesi tra la prima e la seconda parte del sonno.

Ci risvegliamo con l’annuncio dell’arrivo a Sami che ci squilla nelle orecchie (se vi capita di dormire sulla nave, evitate i posti sotto l’altoparlante) giusto per rivedere la casa dove abbiamo dormito per cinque notti durante il nostro soggiorno a Cefalonia.
Altre tre ore di navigazione ci dividono da Patrasso. Tem
po da far passare. Cerco sul lettore mp3 la colonna sonora migliore per il panorama che ci scorre davanti agli occhi. Troublamours prima, Battiato poi.
Arriviamo puntu
ali al porto di Patrasso, dove dieci giorni fa, consumando una colazione a base di Scandal (gelato confezionato al pistacchio) avevamo lasciato Zvoran in attesa della nave che lo avrebbe riportato verso casa; allo stesso modo ci troviamo con qualche ora a disposizione prima di ripartire per Ancona. La nave salperà alle 18.
Ci buttiamo tra le vie ortogonali dietro al porto e alla stazione ferroviaria, che ci accolgono col loro susseguirsi di bistrot, caffè, negozi e con la musica che esce dai locali, i motori delle auto in transito e le grida dei venditori del mercato. E’ sabato, e le strade sono stracolme di gente. Le aree pedonali sono poche, ma ci sono parecchi porticati moderni e le strade, anche se piuttosto trafficate, sono quasi tutte a senso unico. Le possibilità di camminare senza essere investiti tutto sommato sono superiori a quelle di Milano e di molte altre città.
Ci inerpichia
mo nella parte vecchia di Patrasso – sicuramente più caratteristica – adagiata ai piedi del castello che domina la città. Troviamo il coraggio per affrontare il caldo torrido e salire fino in cima per goderci il panorama.
Dall’alto guardiamo Patrasso. No, ad essere onesti non ce la sentiamo di definirla una bella città. Ma sembra un centro molto vissuto e vivace, anche dal punto di vista culturale. D’altra parte è la terza città greca in ordine di grandezza (la principale del Peloponneso, di cui rappresenta il porto più importante). I manifesti appesi ai muri (concerti, manifestazioni, feste universitarie) denotano un certo fermento. Non siamo pentiti di questa visita fuori programma.
Da una cartina appesa ad una parete della sala d’attesa del porto, mentre Sara è in coda per il check-in, scopro inoltre che Patrasso è la città più ad est tra tutte quelle che ho visitato. Poche ore fa, sulla sommità del castello, mi trovavo nel punto più orientale su cui abbia mai poggiato piede. Mi piace quest’idea di viaggio come espansione, ampliamento dei propri orizzonti anche dal punto di vista geografico.

Patrasso, mio estremo oriente, è l’ultima immagine che ho della Grecia, dal ponte della nave Minoan per Ancona. I palazzoni bianchi e color crema se ne stanno stesi davanti a noi, affastellati nel loro caos di metropoli mediterranea come pile di giganteschi wafer. Le pale eoliche conficcate sulla dorsale delle montagne dietro la città continuano a girare, quasi volessero salutarci.
Domani sarà di nuovo Italia. Da dopodomani ve
rrà il tempo di iniziare a metabolizzare. Poi quotidianità, voglia di ripartire, nuove carte da studiare, riviste, guide turistiche da sfogliare. Ma ci sono viaggi che oltre a tutto questo ti lasciano un pensiero in testa: ritornare. Se ripenso a queste due settimane greche ho una sensazione così nitida da diventare quasi certezza: quello di Patrasso è un arrivederci.
E poi, cerchiamo come sempre di vedere il lato positivo delle cose: domani sera, seduto sul divano, mi accenderò il lettore cd e potrò finalmente ascoltarmi questa Kristi Stasinopoulou.

martedì 5 gennaio 2010

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 13. Una faccia, una razza, tanti problemi

Vathy, 28/08/09
Restituiamo con grande sollievo le due mountain bike all’agenzia in cambio di una Fiat Seicento con cui ci dedicheremo alla parte settentrionale di Itaca. E con questo abbiamo utilizzato quasi tutti i mezzi di trasporto a nostra disposizione: nave, traghetto, autobus, auto, motocicletta, bicicletta e…piedi, visto che non ci siamo fatti mancare nemmeno il trekking.
La strada che da Vathy sale lungo il versante nord-orientale dell’isola ci offre una serie di visuali panoramiche che mi astengo dal provare a descrivere per manifesta incapacità; non sono abbastanza bravo, purtroppo, oppure è stato troppo bravo chi ha creato tutto questo, che si chiami Dio, Madre Natura… non lo so, in posti come questo è inevitabile pensare a qualcosa di superiore, che noi non riusciamo nemmeno a concepire. Non a caso è proprio da queste parti che sorge il monastero di Karkhatov, dove facciamo una sosta. Riusciamo ad entrare nonostante i lavori in corso. Non solo la posizione, ma anche l’intero complesso del monastero è degno di nota.
Dall’alto della sommità su cui sorge la torre, un vigile del fuoco osserva il panorama a trecentosessanta gradi: da qui si vedono buona parte di Itaca, il versante orientale di Cefalonia e una serie di isole, isolotti e scogli di cui ignoro il nome, perse nelle varie tonalità di azzurro tra mare e cielo, sino a sfumare nel Peloponneso all’orizzonte. Gli chiedo aggiornamenti sulla situazione e mi conferma che gli incendi sembrano ormai tutti domati e che anche l’isola di Zante è stata colpita. “It’s a good place to control”, gli dico nel salutarlo. Sorride e riprende a scrutare l’orizzonte, lo sguardo di chi, perso in quell’azzurro infinito, ha tutto il tempo per pensare.
Avoghi,
perso tra le colline dell’interno, così come Frikes e Kioni, piccoli porticcioli della costa nord-orientale, sono villaggi calati in un contesto davvero suggestivo. Ci fermiamo nel tratto di costa compreso tra questi ultimi due paesi, caratterizzato da piccole calette di ciottoli incastonate tra rocce stratificate che si buttano a capofitto nel mare. Tra le rocce e la terra, che in alcuni punti si fa ferrosa e rossa come quella dell’Istria e del Salento, si fanno spazio, contorte e caparbie, le radici degli arbusti protesi verso il mare. Anche per loro la vita qui non è facile, ma la loro tenacia è quasi commovente e da più carattere alla bellezza di questo posto.
Ripartiamo nel primo pomeriggio. Il nostro viaggio è un susseguirsi di panorami mozzafiato accompagnati dalla musica di stazioni radio greche su cui ci sintonizziamo. La Seicento ci concede il lusso di
un’autoradio funzionante. Troviamo un po’ di musica tradizionale e moderna greca, alternata a Pino Daniele e Laura Pausini; le radio locali trasmettono parecchia musica italiana. Tra l’altro nelle Isole Ionie non è raro nemmeno sintonizzarsi sulle frequenze delle nostre radio.
Ad Exogi, spettacolare balcone naturale con vista sulla parte p settentrionale dell’isola, facciamo una passeggiata per le strade e le scalinate tra le rovine delle case distrutte dal terremoto del ’53 e quelle ricostruite o risistemate (generalmente con un certo gusto). Poi scendiamo a Stavros e ritorniamo verso Vathy percorrendo il versante occidentale di Itaca.
La scelta
della spiaggia dove effettuare l’ultimo bagno della vacanza è ottima: Agios Ioannis, ciottoli bianchi e acque limpidissime con vista su Cefalonia. Un’ultima foto ricordo. “E’ il nostro ultimo giorno qui”, spieghiamo al ragazzo greco che si offre per scattarcela. “Anche per me. Domani si torna all’inferno. In tutti i sensi. Vivo ad Atene”. Il suo italiano è ottimo: ha vissuto cinque anni a Roma. Parliamo un po’ dell’Italia. Alto, robusto, occhiali scuri e capelli fin quasi alle spalle, ce lo vedo a godersi la vita nelle trattorie della capitale. La sua ragazza sembra cercare di seguire il filo del discorso. Capisce anche lei qualche parola di italiano. Vive in Attica, come il fidanzato; il fuoco è arrivato a cento metri dalla sua abitazione. Per quanto riguarda i roghi che in questi giorni (anzi, è il caso di dire “in questi anni”) hanno devastato la Grecia, la risposta del nostro amico è una sola: speculazione edilizia.
Mentre rientria
mo a Vathy guardo fuori dal finestrino e penso a questo nostro povero Mediterraneo; potenzialmente sarebbe il posto ideale dove ricominciare, ma è una fortuna che spesso i popoli che lo abitano non sono capaci di meritarsi. Ripenso all’espressione del ragazzo appena conosciuto mentre parla degli incendi boschivi e leggo la stessa vergogna che tante volte ho provato in occasione delle manifestazioni più eloquenti di mancanza di senso civico offerte dai miei connazionali. Una razza, una faccia, tanti problemi.
Si avvicina l’ora della partenza. C’è il rischio che ci prenda la malinconia, così cerchiamo di scacciare i pensieri con una gyros pita ed una Mythos sul lungomare. Passeggiando tra i negozi mi compro una compilation di brani tradizionali scelta tra le tante a disposizione sulla base di criteri puramente estetici (mi piace la grafica della copertina). Ci dirigiamo poi in una pasticceria della piazza principale per un kataifi, uno dei classici dolci greci che trasudano miele e noci. Volevamo ordinare un ravani, specialità dell’isola, ma li hanno appena finiti. Pazienza, mi dico. Ci sarà un'altra occasione. E ripenso che oggi pomeriggio abbiamo bevuto
dalla fonte di Kalamos. Si dice che chi si sottopone a questo rituale ritornerà ad Itaca…

lunedì 4 gennaio 2010

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 12. Kalispera

Vathy, 27/08/09
Sarà solo suggestione, ma Itaca sembra rendere tutto più difficile, persino trovare un mezzo per spostarci nell’isola. I mezzi pubblici non sono molto comodi: trattandosi di una piccola isola ci sono solo due linee e le corse non sono frequenti. Di auto a noleggio per la giornata di oggi non se ne trovano. I motorini non ce li danno perché non abbiamo la patente per guidarli, particolare che avevamo trascurato a Corfù e Cefalonia, e che i responsabili del noleggio non si erano premurati di farci notare in quanto, dice la ragazza della Alpha car & bike rent, sono isole più grandi ed è più improbabile incappare nei controlli di polizia. Non sono del tutto convinto della cosa, perché le nostre patenti le avevano viste ed in caso di incidente sarebbero stati corresponsabili. Ma ripensando alle mie manovre ardite nel centro di Argostoli un mezzo brivido mi corre per la schiena; optiamo per la bicicletta, dopo avere cercato inutilmente una carta dei sentieri per il trekking.
Ci rifilano due m
ountain bike scassate con le quali la salita della strada per Filatrò diventa una specie di Gavia. Fortunatamente la bellezza della piccola baia (una casetta, qualche campeggiatore abusivo tra i muretti a secco di un uliveto e una manciata di piccole barche arenate sulla spiaggia di ciottoli) ci ripaga della fatica.
Dopo essermi fatto un lungo ba
gno faccio due passi arrampicandomi per i terrazzamenti dell’uliveto ma mi fermo presto, una volta arrivato nella toilette dei fricchettoni che campeggiano pochi metri più sotto. Mi chiedo a che servano tutte le menate sul vivere a contatto con la natura se poi si lascia un’immensa distesa di fazzoletti di carta sporchi di merda come traccia poco elegante del proprio passaggio.
L’altra faccia della medaglia è rappresentata dal gruppetto di velisti italiani, chiassosi e snob, che sbarcano verso l’una. Il silenzio e la pace sono s
convolti dai loro schiamazzi. E pensare che hanno anche il coraggio di commentare con aria di superiorità l’arrivo dei “mau mau” (così, con una punta di disprezzo, chiamano i turisti giornalieri che arrivano sulle gite in barca organizzate; in piemontese il termine equivale a zingari, vagabondi). Fortunatamente la barca se ne rimane al largo; ma i velisti no, e decidiamo di cercare un’altra spiaggia.
Ripassando da Vathy ci fermiamo in una zaharoplasteia (pasticceria) e ordiniamo un’ottimo yogurt, che qui servono solitamente con miele e noci oppure con frutta fresca. Ci dirigiamo poi verso la baia di Dexà, dove si dice sia sbarcato Ulisse al termine del suo tormentato rientro ad Itaca. La spiaggia è in prossimità della strada che porta a Vathy e si estende in mezzo ad un uliveto che consente di ripararsi dalla calura.
Le nostre bici ci rendono seriamente problematiche anche le salite meno dure e la catena scende in continuazione; evito perciò di cambiare, ma sono su un rapporto troppo molle ed anche in pianura procedo a fatica. Praticamente i nostri mezzi di trasporto sono funzionali solamente in discesa. Questo ci limita negli spostamenti, anche se nella parte meridionale di Itaca non ci sono altri centri abitati oltre a Vathy ed al retrostante villaggio di Peradora, per cui le poche strade si fermano nel raggio di qualche chilom
etro. Le due brevi salite affrontate ci hanno già provato, e una volta arrivati al distributore sul promontorio che domina la baia di Vathy ci sentiamo sollevati al pensiero che ci penserà la forza di gravità a riportarci fino a casa.

Oggi io e Sara festeggiamo quattro anni pas
sati insieme. Decidiamo di concederci una cena fuori. Domani sera non potremo fare troppo tardi perché sabato mattina alle sette partirà la nave che ci porterà a Patrasso. Il viaggio volge al termine, ma almeno per stasera ci sentiamo ancora liberi di non pensarci. Lasciamo che il tempo trascorra, perché non possiamo fare altrimenti, ma ci ribelliamo all’idea della tristezza o della malinconia.
Nelle località turistiche della Grecia i supermarket non sono così a buon mercato, specie se paragonati alle basse cifre che spendiamo mangian
do fuori. Le porzioni servite nelle taverne poi sono piuttosto abbondanti, come dimostra il saganaki di stasera (formaggio fritto adagiato su un letto di cipolle, peperoni e pomodori).

Vathy è situata sulle rive di una profonda insenatura. Anche questa cittadina è stata fortemente danneggiata dal terremoto, come testimoniano le fotografie all’interno del piccolo ma interessante Museo della civiltà contadina e del folklore visitato in mattinata.
Percorriamo il lungomare verso ovest, superando il punto in cui la strada principale inizia a salire sul promontorio per poi ridiscendere alla baia di
Dexà. Le auto e i motorini sono sempre meno numerosi mano a mano che procediamo. Alla nostra sinistra casette a uno o due piani, alla nostra destra piccole barche ormeggiate una in fila all’altra. Mi lascio cullare dai riflessi della luce fioca dei lampioni sul mare e dal rosso della casa di Nikos che ha accompagnato egregiamente il saganaki. Uomini e donne seduti davanti alle loro abitazioni ci salutano al nostro passaggio. Kalispera. Uomini e donne capaci ancora di vivere gli spazi aperti. Uomini e donne che non sono ancora riusciti a terrorizzare inculcando nelle loro coscienze la presenza di chissà quale minaccia. Uomini e donne che la sera se ne stanno per la strada a chiacchierare invece di starsene in casa a farsi rimbambire dalla televisione.
Tutte cose che da noi si stanno perdendo.

Mi mancherà questo posto.