martedì 30 novembre 2010

Coast al cubo - 14. Risalita tirrenica

Ravi, 11/8/2010
Lasciamo la Basilicata, e come al solito abbiamo già pronta una lista per la “prossima volta”: Dolomiti Lucane, Vulture, Guardia Perticara, Melfi…aree, borghi e città lucane che non siamo riusciti a visitare. La risalita tirrenica ci attende.
La segnaletica stradale campana è pessima. Dopo Ravello perdiamo le indicazioni per la Salerno - Reggio Calabria, che riusciamo ad imboccare solo dopo un’oretta di viaggio; percorriamo il tratto più decoroso di una delle vergogne nazionali, che pure ha più strisce gialle che bianche a delimitarne le malmesse corsie. Ma sappiamo bene che in Calabria è ancora peggio.
Non riusciamo a trovare l’autogrill dove quasi cinque anni fa, al rientro da una vacanza in Sicilia, ci baciammo per la prima volta; un postaccio infame, con i tir che sfrecciano a pochi metri di distanza e uno sfondo di capannoni e ciminiere. Può sembrare il posto meno adatto dopo due settimane trascorse in una delle regioni più belle al mondo, ma bisogna cogliere l’attimo. Vorremmo fare una sosta dal valore simbolico, ma guardando la carta scopriamo di avere fatto un percorso diverso: o abbiamo sbagliato strada stavolta, o sbagliammo cinque anni fa.
Poco importa, perché arriviamo in Ciociaria. Uscita di Ceprano: mi sarebbe piaciuto fare un saluto al già citato Luca Lottici, ma sono stati giorni intensi e vogliamo arrivare in Toscana entro sera per riposare un po’ e per non avere troppa strada da percorrere domani.
I Colli Romani, il Grande Raccordo Anulare, la Maremma…ed eccoci finalmente in Toscana. Pernotteremo a Ravi, frazione di Gavorrano, nella casa che fu del direttore della vicina miniera di pirite (in fase di recupero; si è voluto valorizzare la zona attraverso la creazione del Parco delle Colline Metallifere). Ceniamo con crostini, ravioli maremmani e pappardelle al cinghiale, mentre intorno a noi, ad eccezione del marcato accento toscano della proprietaria della trattoria e della cameriera, si sente parlare solo tedesco ed inglese. Ma basta uscire dal locale ed ecco di nuovo l’italianità vera: uomini che discutono davanti all’edicola, ragazzini che giocano a pallone in mezzo alla strada e anziani seduti davanti alla porta di casa a conversare. E’ quello che dalle nostre parti si chiama filoss (per i pochi che lo praticano ancora); nella sua versione più moderna, alle inflessioni dialettali degli anziani si mescola l’italiano imperfetto delle badanti rumene.
Le grida dei ragazzini, il rumore del pallone che rimbalza contro i muri, il tono imperioso degli uomini e quello più sommesso e corale degli anziani: tengo tutto a mente per annotarmelo al mio rientro in camera. E’ bellissimo, mi sento carico come se fosse la prima sera del viaggio.Ma purtroppo è l’ultima.

domenica 28 novembre 2010

Coast al cubo - 13. Migranti, supercafoni e resistenti

Maratea, 10/8/2010
Tutto il mondo è paese: anche a Maratea, “città della tutela ambientale”, il comune è sotto accusa per alcuni trattamenti antiparassitari che altererebbero l’ecosistema contribuendo alla scomparsa a livello locale di alcuni piccoli animali e viceversa rafforzando proprio alcune specie di insetti, tra cui una zanzara che prenderebbe di mira le caviglie dei bagnanti. Effettivamente ieri sulla Spiaggia Nera siamo stati bersagliati!

Quest’oggi cambiamo meta, anche se ci spostiamo di poco: andiamo alla Spiaggia Macarro, sicuramente la più bella tra quelle che abbiamo visitato in questo tratto di Tirreno. Come la maggior parte delle spiagge marateote si tratta di una baia di ciottoli fini incastonata tra due promontori rocciosi. Nuotiamo ed esploriamo le grotte e gli scogli, poi ci stendiamo al sole.
In spiaggia, frammenti di conversazioni tra emigrati: “quanto ti fermi”, “passo qualche giorno da mia madre”, “domani prendo il diretto delle 6:30”, “sarò a Bologna mercoledì”… Le cifre dicono che l’emigrazione interna (cioè dalle regioni del Sud a quelle del Nord) in Italia ha ripreso ad aumentare, sfiorando il picco di inizio anni ’60: ma nessuno ne parla. Davanti ai miei occhi, in un pomeriggio d’agosto su una spiaggia lucana, le cifre nascoste dai giornali diventano storie concrete, volti reali, persone in carne ed ossa.
Saliamo in pineta a farci una frisa e prendere un po’ di fresco. Purtroppo la tranquillità non dura a lungo: ben presto arriva uno yacht di burini urlanti con la musica a tutto volume. Sembra di essere in uno spot di qualche compagnia di telefonia mobile. Quassù, nascosti dagli alberi, siamo a modo nostro dei partigiani: i resistenti del buon gusto in quest’Italia in cui regnano ormai i supercafoni. Fortunatamente prima che ci venga davvero la tentazione di passare alla lotta armata i burini se ne vanno. Immagino che il loro intento sia quello di risalire la costa tirrenica sostando per almeno una decina di minuti davanti ad ogni spiaggia, giusto il tempo per fare sfoggio del loro status di vip.

La sera tentiamo di fare un giro a Maratea ma i parcheggi sono tutti pieni. Come se non bastasse, nel giro di una decina di minuti lungo la strada costiera assisto a tre manovre da denuncia per tentato omicidio. Sto guidando in uno stato di terrore: non mi accadeva da quando ero un giovane neopatentato. Cerchiamo il primo ristorante con ampio parcheggio e ci infiliamo dentro per consumare un mediocre fritto misto.
Ci rendiamo conto che è giunta l’ora di lasciare questo posto.

lunedì 22 novembre 2010

Coast al cubo - 12. Perle e porci

Maratea, 9/8/2010
Disco club, balli di gruppo, animatrici che ti salutano con il loro squillante “buongiorno!” e che già alle nove e mezza di mattina inseguono i turisti in spiaggia per coinvolgerli nel risveglio muscolare sono quanto di più lontano dalla nostra idea non solo di vacanza ma anche di campeggio. Allo stesso modo i braccialetti colorati tanto di moda nei camping salentini, per marchiare i turisti come i bovini negli allevamenti o come i prigionieri in libertà vigilata nei film americani. Usciamo dal campeggio appena possibile diretti a Maratea.
Saliamo al Redentore, statua del Cristo alta 22 metri (seconda al mondo in altezza solo a quella di Rio de Janeiro, anche se in Polonia ne stanno costruendo una che le supererà entrambe) situata in posizione panoramica sul Golfo di Palinuro. In realtà il Redentore sembra infischiarsene del belvedere sul Tirreno: volta infatti le spalle al mare ed apre le braccia in direzione della Basilica di San Biagio, un centinaio di metri più avanti.
Ho cambiato macchina e ragazza: la prima succhiava troppo, la seconda troppo poco. D&G: Dammela e Godo. Scopando troppo si diventa ciechi (con i caratteri che si rimpiccioliscono). Non è un attacco di blasfemia: sto solo riportando le scritte sulle t-shirt in vendita nei negozi situati tra la statua e la basilica, tra i souvenir del tipo a Maratea andai, a te pensai, questo ricordo ti portai, i Redentori in miniatura nelle sfere di plastica (quelle che se le ribalti nevica) e i manganelli con i colori delle varie squadre di calcio europee, in un mix di religiosità ostentata, volgarità e trash che mi pare emblematico della deriva italica.
Ben altra atmosfera si respira in paese: la “perla del Tirreno” è un grazioso centro che ha conservato una sua personalità, senza cedere alla cementificazione selvaggia e alla mercificazione della propria immagine. Giusto sulla via principale si trovano alcuni negozi di souvenir (che fortunatamente non eccedono in articoli pacchiani) e qualche bar/pasticceria. In uno di questi ci sediamo per prendere un caffè e un bocconotto (tortina ripiena di crema ed amarena), poi passeggiamo romanticamente per i vicoli di Maratea. “Vogliatevi bene”, raccomanda un signore che si ferma a parlare con noi sulla salita che porta alla Chiesa Maggiore: forse vuole solo riprendere fiato, infatti sembra piuttosto provato. “Vogliatevi bene, che è quello che conta. Al giorno d’oggi poi, con quello che si sente alla televisione…” dice riprendendo fiato. “Meglio spegnerla” gli dico. Specialmente per chi, come lui, abita in una casa con vista spettacolare sul Tirreno.
In una rosticceria prendiamo fiori di zucca fritti e mozzarella, poi scendiamo alla Spiaggia Nera, così chiamata per il colore della sua sabbia. Una raccomandazione per coloro che ci andranno: abbiate l’accortezza di non camminarvi a piedi nudi. E’ come camminare sui carboni ardenti!
Riusciamo a farci un bagno senza essere spolpati da parcheggiatori e gestori dei bagni privati. E non sarà qualche cafone da spiaggia a rovinarci la giornata.

In serata a Castrocucco Sagra dell’Ortolano: andiamo lì per cena. E il suono dell’organetto dell’orchestrina che suona sul piccolo palco finalmente annulla i ritmi dance della pista da ballo del campeggio.

domenica 21 novembre 2010

Coast al cubo - 11. Han fatto l'Italia, facciamoci italiani

Maratea, 8/8/2010
Per il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia non potevamo scegliere viaggio migliore. Ci stiamo rendendo conto che la nostra vacanza, in quanto itinerante e non strettamente collegata ad un identità locale o regionale ma incentrata sull’Italia centro-meridionale, ci sta fornendo indicazioni su una più generica identità del Sud.
Lucania terra di briganti, si dice paradossalmente dell’unica regione del Sud Italia in cui è assente una vera e propria criminalità organizzata paragonabile alla Mafia siciliana, alla ‘Ndrangheta calabrese, alla Camorra campana o alla Sacra Corona Unita pugliese. Camuffando col termine brigantaggio quella che più propriamente dovrebbe essere chiamata resistenza. Resistenza nei confronti di quelli che per molti abitanti del Mezzogiorno da liberatori divennero ben presto occupanti. Non sono certo discorsi anti-unionisti o nostalgie borboniche, che si collocherebbero al pari del separatismo invocato dalla Lega Nord: vedo l’unità d’Italia come una cosa ovvia, ma altrettanto ovvio sarebbe stato garantire autonomie locali più forti ad un territorio geograficamente e culturalmente così composito e soprattutto con una lunga storia di frammentazione amministrativa e politica alle spalle.
Il nostro viaggio è lo spunto ideale per queste riflessioni, che fanno da contraltare ai fantomatici nazionalismi tanto in voga dalle nostre parti. Conoscere la realtà degli altri e cercare di comprenderne le ragioni è salutare e farà di noi – ne sono convinto – degli italiani migliori.
Emblematico del nostro viaggio è il posto in cui ci troviamo: un lembo di Basilicata sulla costa tirrenica, da cui vediamo da una parte l’estremità meridionale del Cilento (Campania) e dall’altra gli abitati di Praia a Mare e Scalea (Calabria).

Ci procuriamo una canoa e pagaiamo fino a raggiungere le prime calette incastonate tra gli scogli e le grotte a Nord di Castrocucco; qui facciamo il nostro primo bagno nelle acque tirreniche. Il nostro obiettivo può dirsi raggiunto: i tre mari sono stati conquistati. In questi ultimi giorni ci godremo il successo ottenuto.
Pranzo a base di pecorino di Moliterno, poi nel pomeriggio passeggiamo sulla spiaggia in direzione Sud. Seguiamo con lo sguardo uno degli ambulanti cingalesi che fanno avanti e indietro per la spiaggia con la loro mercanzia. Arriva alla foce del torrente Noce, confine tra Basilicata e Calabria. Qui la corrente si scontra con le onde del Tirreno, disegnando uno strano effetto sulla superficie dell’acqua. Il cingalese risale un tratto del torrente fin dove l’acqua è più calma. Da lontano lo vediamo alzarsi i pantaloni sopra le ginocchia, appoggiarsi l’espositore su una spalla e guadare il torrente. Sullo sfondo, i saliceti lungo il greto sassoso del Noce ed i canneti poco più in là, in un paesaggio che, se non fosse per le vette del Pollino sullo sfondo, potrebbe ricordare quello dei nostri fiumi. Una scena che racchiude in sé tutti i Sud del mondo. Lo seguiamo e sconfiniamo anche noi. Ci facciamo un bagno nelle acque calabresi: per me è la prima volta. Questo non era previsto, ma ormai ci abbiamo preso gusto: vogliamo strafare!

La sera festeggiamo con una bottiglia di Forest, tipica birra locale.

giovedì 11 novembre 2010

Coast al cubo - 10. Percorsi incrociati

Maratea, 7/8/2010
Il centro di Montescaglioso è un dedalo di strette viuzze,
ma ciò non impedisce alle auto di intrufolarsi in ogni anfratto e pertugio. Riusciamo a divincolarci e ad uscirne indenni; raggiungere le colline lucane con le loro strade pressoché deserte è un sollievo.
Facciamo
una deviazione al lago di San Giuliano, un bacino artificiale formatosi negli anni ’50 a seguito della costruzione dell’omonima diga. Un piccolo paradiso per i pescatori locali ed il posto ideale per un pic-nic o una pennichella. Ma non è l’orario ideale per nessuna delle due, e allora riprendiamo la strada. Tra Miglionico e Ferradina il paesaggio torna ad essere brullo e caratterizzato da alti calanchi; a prima vista sembrerebbero luoghi dove la Modernità non è ancora arrivata a distribuire vantaggi e danni, ma proprio a Ferradina si muore di tumore più che da altre parti. Colpa dell’ex fabbrica di amianto e della relativa discarica che ancora attende la messa in sicurezza.
Percorriamo la Valle del Basento, poi risaliamo verso il luogo dove tanti anni fa nacque il famoso amaro gustato ieri sera nel dopo cena, il posto migliore per farsi un’idea del territorio del Materano: Pisticci.
Pochi giorni fa, con un avventore fisso del bar dove vado a fare la pausa caffè quando lavoro, si parlava proprio di Pisticci; ed ora eccomi qua. Nomi sulla carta stradale che diventano racconti, che a loro volta si materializzano davanti ai miei occhi. La storia del rione Dirupo, per esempio, ricostruito dopo una frana seguendo un disegno urbanistico caratterizzato da ripide strade rettilinee ed abitazioni ad un piano, chiamate lammie. Pisticci presenta diversi aspetti, dai quartieri più moderni ai rioni Dirupo e Terranova, fino al Corso Margherita di Savoia, che collega il Municipio alla chiesa di impronta razionalista dedicata a San Rocco, costruita in pieno ventennio fascista.
Lasciamo Pisticci
e dopo una decina di minuti svoltiamo per una strada che sale per le spoglie colline lucane. La segnaletica orizzontale è totalmente assente e l’erba fa capolino tra le crepe dell’asfalto. Le stoppie dal ciglio della strada stanno per invadere la carreggiata. Al nostro passaggio cavallette giganti si spostano per farci spazio saltando qua e là, mentre un rapace volteggia pochi metri sopra le nostre teste. Stiamo andando a Craco, la città fantasma.
Il paese di Craco è stato abbandonato nei decenni scorsi in
seguito ad una frana e l’accesso al centro storico è interdetto in attesa della messa in sicurezza. La fama della città fantasma sta facendo entrare Craco in una sorta di circuito di turismo alternativo ed ha portato da queste parti diversi registi, che l’hanno scelta come location cinematografica.
Scendiamo in direzione Tursi. Abbandonando il Materano il paesaggio si fa più verde e ombreggiato. Dalle parti di Valsinni temiamo di aver sbagliato strada, ma l’apparizione della distesa azzurra del Lago di Monte Cotugno è liberatoria.
Craco, Latronico, Lauria…stiamo percorrendo il tragitto dei protagonist
i di “Basilicata coast to coast”, ma al contrario. D’altra parte è da quando siamo partiti che incrociamo i percorsi, virtuali o reali, compiuti da altri: i viaggi per fari di Enrica Simonetti, le migrazioni dei martinesi di Mario Desiati, il pellegrinaggio dei musicisti/teatranti di Rocco Papaleo…

Appena arrivati a Trecchina veniamo adescati da un ragazzino che, ben addestrato dai genitori, ci illustra con una parlantina degna del miglior imbonitore le “bellezze” di un villaggio turistico dall’aspetto in realtà poco attraente. Nonostante i suoi sforzi non riesce a convincerci: risaliamo sull’auto e ci buttiamo in picchiata verso il Tirreno. Si è fatta una certa ora e decidiamo di fermarci in un campeggio a Castrocucco, una frazione di Maratea al confine con la Calabria.
La giornata è stata faticosa: ci meritiamo una bella pizza. Con lo stomaco pieno camminiamo fino alla spiaggia in una notte senza luna e riusciamo solo ad immaginare la bellezza di questo posto, decantata tra gli altri anche da un certo Indro Montanelli.

mercoledì 10 novembre 2010

Coast al cubo - 9. Cosa voglio di più dalla vita?

Montescaglioso, 6/8/2010“Coast to coast significa ‘da costa a costa’. Loro sono partiti dal Tirreno per arrivare sulla costa ionica”. Sasso Barisano. Un uomo parla con la moglie di “Basilicata coast to coast”, il grazioso film di Rocco Papaleo uscito qualche mese fa. Pellicola che ha sollevato polemiche in Lucania a causa del sostegno economico dato dalla Regione per la sua realizzazione. Scelta che in realtà potrebbe rivelarsi oculata, visto che un bel po’ di gente ha deciso di visitare la Basilicata proprio dopo aver visto il film.
Chi non aveva bisogno del film di Papaleo è proprio Matera, meta principale del turismo diretto in Basilicata e già set cinematografico scelto, tra gli altri, da Pier Paolo Pasolini, Francesco Rosi, Roberto Rossellini, e Giuseppe Tornatore. Quattro anni fa la città dei Sassi mi trasmise un senso di desolazione, forse anche per il sole a picco ed il caldo torrido. Oggi la giornata è ventosa ed è pure caduta qualche goccia di pioggia, per cui passeggiare tra le abitazioni scavate nel tufo è un vero piacere. Saliamo e scendiamo i gradini dei vicoli dei Sassi finché non arriva l’ora di uno spuntino. Ci sediamo ai tavolini di fronte al Sedile ed ordiniamo una focaccia materana (pomodori, salsiccia e olive), interrompendo una discussione tra padre e figlio (il secondo non si sente portato per lavorare nell’attività ereditata dal primo; ma a Matera scegliere dev’essere più difficile che altrove).
Uscendo dalla città andiamo a visitare il Parco delle chiese rupestri del Materano e dell’Alta Murgia, in un paesaggio di cui colpisce la pressoché totale assenza di alberi. Il territorio è cosi scarno e riarso che ci viene la smania di tuffarci in mare. Ci dirigiamo perciò a Metaponto, sulla costa ionica: per noi, la prima delle due coast lucane.

“Questi
sono i vicini, che mi fanno anche un po’, per così dire, da…segretari”: così il gestore del Borgo ritrovato – dove dormiremo anche la prossima notte – ci presenta, alzando lo sguardo con aria rassegnata, i due signori sull’ottantina perennemente seduti sull’uscio di casa, di fianco alla nostra stanza. E’ proprio con l’uomo che finisco a parlare di emigrazione. “Partirono in molti da Montescaglioso. Per il Nord Italia, la Francia, l’Isvizzera” (mi fa impazzire quando sento dire in Isvizzera). Mi parla di un servizio sulla raccolta dei pomodori in Capitanata che ha visto ieri sera alla televisione. Dice che un tempo l’immigrazione era gestita meglio che oggi, con un numero imprecisato di disperati stipati in catapecchie e sfruttati come schiavi. O meglio, questo è quanto mi pare di capire, perché il dialetto lucano a tratti si fa troppo stretto. A Sara va peggio: è stata incastrata dalla moglie, che praticamente non parla italiano. In questo, nonostante le mie tendenze antimilitariste, non posso negare l’importanza che ha avuto la naja nel secolo scorso: per molti uomini l’unico contatto con delle realtà diverse dal proprio paese natale. Come nel caso del mio nuovo amico, che ha lasciato la Lucania solo per prestare servizio militare in Piemonte.

Ceniamo a Montescaglioso: orecchiette con sugo di braciole per me, costata di cavallo per Sara, Primitivo di Matera per tutti e due. Le taverne, le piazze, le strade del paese sono piene di gente. Questo è il mese in cui Montescaglioso si ripopola di studenti e lavoratori emigrati e dei loro figli (oltre che di turisti). Ma è anche il mese (l’unico, si lamentano i giovani abitanti) in cui ogni sera c’è qualche evento: sagre, concerti, letture di poesie, spettacoli…C’è anche la festa del PD, che tra l’altro governa saldamente la Regione Basilicata da parecchie legislature. Proprio alla festa dei Democratici (ormai anche le feste dell’Unità sono finite in soffitta perché troppo estremiste) ci fermiamo ad ascoltare un po’ di jazz.

E se a questo punto viene da parafrasare un celebre spot, chiedendosi “cosa voglio di più dalla vita?”, beh, il Lucano l’abbiamo già preso a conclusione della nostra cena.
E allora per stasera, davvero, non chiedo niente di più dalla vita.

lunedì 8 novembre 2010

Coast al cubo - 8. Vero cuoio

Montescaglioso, 5/8/2010
La Puglia ed i suoi figli sparsi per il mondo sono l’argomento centrale del secondo libro che ho scelto per accompagnarmi nel viaggio: “Foto di classe” di Mario Desiati. L’autore racconta storie comuni a tanti pugliesi che hanno lasciato la terra d’origine e vi fanno ritorno per Natale, Pasqua e per le ferie estive, come gli amici di Ben incontrati qualche giorno fa o gli “svizzeri” di Cupello.
Per nostra fortuna noi siamo, almeno per queste due settimane, viaggiatori per diletto, e la Puglia la lasciamo solo perché siamo diretti verso la nostra prossima meta: la Basilicata. Facciamo colazione con cappuccino e pasticciotto (il tipico dolce leccese ripieno di crema) e partiamo.
Facciamo tappa per il rifornimento di viveri a Manduria, cittadina ricca di storia oltre che patria del celebre vino Primitivo. Ne approfittiamo per fare due passi per i vicoli del centro, mentre manca il tempo per percorrere la doppia cinta muraria; ci accontentiamo di un’occhiata dal finestrino dell’auto una volta ripartiti.
“Attenzione: città inquinata” è il monito che appare su un muretto a lato della tangenziale di Taranto. Un uomo brucia delle stoppie sul ciglio della strada, incurante del traffico dell’ora di punta. Altre colonne di fumo si alzano qua e là nelle Murge Tarantine. Percorriamo il ponte che taglia in due il Mar Piccolo: alla nostra sinistra si staglia il caratteristico profilo della città pugliese, due promontori ed un isolotto collegato ad essi tramite i due ponti che separano Mar Grande e Mar Piccolo. Su tutto incombe lo spaventevole skyline della zona industriale, dominata dalle ciminiere dell’ILVA che si stagliano contro il cielo più ricco di diossina di tutta Italia.
Proseguiamo lungo la litorale ionica ed arriviamo alla Riserva Stornara, nei pressi di Castellaneta Marina. Se la Puglia è il tacco dell’italico stivale e la Calabria ne è la punta noi siamo – per dirla con l’espressione usata dal fratello del mio amico Luca Lottici quando gli ho parlato del nostro viaggio – dove sta scritto “Vero cuoio”. Parcheggiamo alla stazione ferroviaria, proprio mentre sta arrivando un treno locale composto di un solo vagone. Ne scendono due ragazzini coi loro zainetti da spiaggia. L’ultimo avviso dell’altoparlante, poi il locale riparte sferragliando finché il rumore non si perde all’orizzonte. Non rimane che il canto delle cicale. Seguiamo le frecce e le scritte “mare” verniciate sui muri. Attraversiamo la pineta ed arriviamo ad un passaggio a livello: la famiglia del casellante sta pranzando all’ombra di un pino marittimo. Ancora un tratto di sentiero tra le dune costiere ed eccoci arrivati alla distesa di sabbia finissima e quasi deserta. Il bagno che segue è uno dei più belli della vacanza.
Consumiamo un pranzo a base di verdure e cacioricotta nella pineta odorante di rosmarino selvatico, poi ripartiamo alla volta di Montescaglioso, villaggio situato tra Matera e la costa ionica. Le prossime notti le passeremo in un albergo diffuso; si tratta di stanze dislocate in vari punti del centro storico ma ad una distanza limitata l’una dall’altra e gestite in maniera unitaria. Spesso progetti simili sono inseriti in un’ottica di turismo a basso impatto e vengono realizzati con l’intento di rivitalizzare borghi spopolati.
Montescaglioso si trova su un’altura che offre uno spettacolare panorama sulle brulle colline lucane: il tramonto sul lago di San Giuliano è uno dei più belli cui mi ricordo di avere assistito.
Ceniamo alla sagra dello gnutt’l’, tipica pasta locale che accompagniamo con una bottiglia di Raffo, la birra dei due mari (noto marchio tarantino). Ci spostiamo poi nella piazza principale, dove è previsto un concerto di musiche nel sud, nel senso più ampio del termine: Sud Italia, Sud Europa, Sud America, tutto nello stesso calderone. Un po’ tamarro se vogliamo dirla tutta; ma quando partono le pizziche tutti si scatenano. E il sirtaki altro non è che l’ennesimo flash-back della (Magna) Grecia.