lunedì 21 febbraio 2011

Romanengo - Un'altra Pianura Padana possibile

Giugno 2009
Per la prima volta visitai l'altopiano della Melotta, la cui parte principale si estende nel territorio del comune di Romanengo. Proprio l'altopiano è oggi interessato, nel territorio del comune di Ticengo, da un discusso progetto di escavazione. Ma questa è un'altra storia...

Per la prima volta oggi vado sull’altopiano della Melotta, dopo averne sentito parlare a lungo dai funzionari dell’Ufficio Ambiente Naturale della Provincia di Cremona. La Riserva Naturale che interessa il sito rappresenta, se si escludono le fasce fluviali, il principale ambito naturalistico del territorio provinciale. L’altopiano della Melotta – di origine pre-glaciale – è anche l’unica altura del territorio provinciale, elevandosi per dieci - dodici metri al di sopra del livello della pianura circostante; sembra poco, ma per una provincia interamente pianeggiante come la nostra non lo è.
Il territorio comunale di Romanengo è interessato dalla parte più interessante della Riserva, quella che visito oggi con la mia collega Grazia per il nostro progetto di rilevamento delle aree boscate del territorio provinciale.
E’ un bel po’ che non passo da Romanengo; l’ultima volta ci ero capitato quasi per caso e nella piazza principale del paese mi sono gustato un ottimo concerto della Bandadriatica. L’inizio della nostra giornata è però meno musicale, accompagnato dal rombo dei tir della strada che collega Crema e Brescia. Entriamo nel Parco Commerciale del paese, elegante gioco di parole per identificare la vasta area di capannoni industriali ed artigianali ad est del paese. Parco Commerciale. La sensazione di essere presi in giro è forte, ma sulla strada per la cascina Cittadina, situata nella parte più meridionale dell’altopiano, facciamo un incontro che sembra quasi l’ingresso in un’altra epoca: un signore con una lunga barba bianca e vestiti che sembrano trafugati da un museo del folklore guida un trattore tanto piccolo quanto rumoroso, che farebbe la sua gran figura in un museo della civiltà contadina.
Alla cascina San Giovanni troviamo ad accoglierci un signore dall’aria diffidente; ma non appena capisce che non siamo cacciatori si scioglie e diventa gentilissimo. “Scusate, per un attimo vi ho scambiato per cacciatori… sapete, passano di qua senza nemmeno chiedere permesso…ma non devono provocarmi perché io sono buono, ma se mi fanno arrabbiare…”. In realtà qualche bossolo tra le file di granoturco lo vediamo; resti della passata stagione venatoria.
Il Naviglio di Melotta scende verso Romanengo dall’omonima località, attraversando l’altopiano con il suo andamento in direzione nord-sud; proprio nel comune di Romanengo la fascia boscata che ne accompagna le sponde si allarga significativamente. Questa zona è stata interessata da recenti rimboschimenti effettuati dalla Provincia. Qui incontriamo due guardie ecologiche, che ci danno indicazioni sulle aree più suggestive del bosco e sui passaggi che consentono di raggiungere la sponda opposta. Raggiungiamo così uno dei rodoni, manufatti idraulici caratteristici della Melotta. Visti da sotto hanno un aspetto piuttosto imponente; in questo tratto il Naviglio ha scavato il terreno sino ad incassarsi diversi metri al di sotto del piano campagna. Uscendo dal bosco nella direzione opposta a quella da cui siamo venuti mi imbatto in un cartello che segnala la presenza della processionaria della quercia, un insetto il cui contatto è urticante per la pelle; vengono date anche le indicazioni da seguire nel caso vi si venga in contatto. Il fatto mi suggestiona ed abbandono il bosco allungando il passo e raggiungendo la strada che da Romanengo porta a Melotta.

Mi siedo ad aspettare Grazia su una panchina all’ombra, con vista sulla scarpata che delimita l’altopiano ad occidente e sul bosco dietro alla cascina Ca’ dei Polli; da qui in poi, la campagna sembra non trovare più ostacoli. Le nubi all’orizzonte ci nascondono la vista delle Alpi. Poco più di una decina di metri, dicevo, è il dislivello rispetto alla pianura sottostante; eppure i rumori giungono attutiti. Poche auto passano per la strada. Qualche camminatore solitario, qualche corridore, alcuni ciclisti. Sarebbe facile dire che non sembra nemmeno di stare in Pianura Padana. La verità è che sembra di stare in un’altra Pianura Padana possibile; sicuramente più vivibile di quella che ogni giorno sempre più ci costringono a vedere.

lunedì 7 febbraio 2011

Fuori programma

Valeggio sul Mincio, 6/2/2011

Il Bresciano, si sa, è terra di gran lavoratori. Sara, lavorando a Brescia da più di sei anni, qualcosa deve avere assimilato, se è vero che in questa domenica di febbraio deve assolutamente recarsi in laboratorio. E’ questione di un’oretta, mi assicura. Mi chiede di accompagnarla; accetto, anche se con poco entusiasmo.
Mentre lei armeggia con provette, microscopi e piastre cellulari, io navigo in internet. Effettivamente ce la caviamo in poco più di un’ora, ma
stamattina ce la siamo presa con calma e si è fatta già l’ora di pranzo. Andiamo a farci una pizza da Ciro, la nostra pizzeria preferita di Brescia dai tempi in cui Sara viveva lì.
Mompiano è un sobborgo di Brescia che pur essendo attaccato alla città ha mantenuto diversi aspetti del paese pedemontano. Ci infilia
mo in un vicolo che si insinua tra le case in pietra ed ecco ad accoglierci sorridente l’orso che campeggia sull’insegna di Ciro. Di lato l’altra insegna, quella della Cooperativa dei Lavoratori. Nel cortile, sotto la bandiera della pace e la porta del Centro Salvador Allende, un cartello con la scritta “Berlusconi vattene”. Entriamo e il gestore, dopo averci salutato, torna ad immergersi nella lettura de “Il Fatto Quotidiano”. Peccato solo per i due ragazzotti con sciarpa biancoazzurra che escono dal locale diretti al vicino stadio Rigamonti per la partita del Brescia. Va be’, nessuno è perfetto…
Decidiamo per una gita fuori programma, approfittando del pallido sole e di una temperatura che si è improvvisamente alzata di qualche grado rispetto al freddo dei giorni scorsi. Fuggiamo dalla periferia bresciana, lasciamo alle nostre spalle grattacieli, industrie, poli logistici e cave ed andiamo a rifugiarci tra i Colli Morenici del Garda, un angolo di territorio a sud del lago, a cavallo tra le provincie di Brescia, Verona e Mantova; qui si trovano alcuni borghi molto interessanti come Castellaro Lagusello, San Martino della Battaglia, Solferino, Pozzolengo. E Valeggio sul Mincio, dove siamo diretti oggi.
Quasi riusciamo a rimanere imbottigliati in un ingorgo a Cavriana(!), causa festa di San Biagio. Viene q
uasi la tentazione di fermarci, ma poi proseguiamo e raggiungiamo l’imponente Ponte Visconteo, dal quale si gode il pittoresco panorama di Borghetto sul Mincio, la frazione di Valeggio edificata intorno – e “dentro” – al fiume. Parcheggiamo e scendiamo a fare due passi nel borgo, che conserva ancora diverse ruote degli antichi mulini; la parte più suggestiva di Borghetto è proprio quella che si infila tra le acque del Mincio. I locali che ospitavano i vecchi mulini sono stati riadattati a gelaterie, ristoranti e caffè, con gli spazi per i tavolini all’aperto che si incuneano come prue di minuscole navi tra le acque del fiume, popolate di pesci e di cigni che approfittano della generosità dei bambini strafogandosi di pane.
Percorriamo la passeggiata che porta a Valeggio e saliamo fino al Castello Scaligero, che però non è visitabile. Facciamo comunque in tempo ad assistere al tramonto tra le colline.
Si è fatta l’ora del rientro. Domani è un altro lunedì e la primavera è ancora lontana. Ma confidiamo sempre in qualche fuori programma:
una giornata di sole tra tante di nebbia, una casa in pietra a vista tra i grattacieli estrosi di qualche archistar, un circolo da sinistra naif d’altri tempi in terra leghista, un pittoresco borgo collinare incuneato nella pianura immolata alla Produttività…

martedì 1 febbraio 2011

Drizzona - Contatto!

Aprile 2009

Quando a qualche amico nomino Drizzona subito salta fuori il Biberon, locale di lap-dance sorto alcuni anni fa nello stabile un tempo occupato dal Lucky Sound (dove ricordo di aver visto suonare una ancora poco conosciuta Carmen Consoli) considerato generalmente la principale attrattiva del paese. Ed in effetti, transitando lungo la Padana Inferiore, l’automobilista non vede altro che i capannoni chiusi nella striscia di terreno tra l’ex Statale n.10 e la linea ferroviaria Cremona-Mantova. Qui sorgono gli unici bar del territorio comunale, nonostante questo sia caratterizzato dalla presenza di ben tre centri abitati; locali per gli automobilisti o per chi lavora nella zona più che per gli abitanti del paese. D’altra parte Drizzona gravita molto sul vicino e più importante centro di Piadena.
Per trovare qualche angolo di provincia più autentica bisogna abbandonare la Padana Inferiore, oltrepassare il capoluogo comunale, seguire la strada che scende scavalcando la scarpata morfologica del fiume Oglio e raggiungere Castelfranco d’Oglio, minuscola frazione divisa in due dalla strada principale (un ex decumano ben conservato dall’epoca della centuriazione romana) che ad Ovest prosegue rettilineo per più di un chilometro verso la campagna, mentre ad Est termina con una salita che sembra arrestarsi nel cielo azzurro di questo pomeriggio d’aprile. Non c’è altro da fare che attraversare il paese, silenzioso ed inanimato come una città fantasma del far-west, case a destra e case a sinistra, e percorrere la salita, per ritrovarsi – con una certa sorpresa – direttamente sulla sponda dell’Oglio. Poco più sotto, ciò che resta del vecchio mulino, lo stesso immortalato nelle fotografie in bianco e nero appese all’interno della sede comunale, quando ancora era all’apice del suo splendore. Si attende da tempo che prendano corpo i progetti per un suo recupero, ma la delicata posizione a ridosso dell’Oglio impone tutta una serie di vincoli dovuti a questioni di sicurezza.
Partendo da Castelfranco si può percorrere l’argine in direzione Nord-Ovest, tra suggestive visuali sul paese e sulla campagna circostante, alcune cascine, un paio di lanche dell’Oglio, fino a raggiungere Carzago, estremità settentrionale del territorio comunale. Questa grossa cascina, situata esattamente al centro di un’ansa del fiume, doveva ospitare numerose famiglie di contadini in tempi non troppo lontani; purtroppo però la sua decadenza è ora sotto gli occhi di tutti. Allo stato attuale è utilizzata solamente come deposito di mezzi agricoli.
Dalla quiete delle sponde dell’Oglio torniamo a sud della Padana Inferiore per affrontare la questione più scottante per il territorio di Drizzona (e non solo): il progetto per la realizzazione della famigerata autostrada Cremona-Mantova. Nella frazione di Pontirolo Capredoni è attivo un gruppo di cittadini che si oppone al progetto della nuova infrastruttura, capitanato da Cesare Vacchelli. Basta guardare le carte del progetto per capire il perché: il centro di Pontirolo verrebbe stretto dal serpentone d’asfalto, che lo aggirerebbe con una doppia curva isolandolo dal capoluogo e da Piadena. Le ragioni del Comitato contro l’autostrada vanno dai flussi di traffico – che non giustificherebbero la costruzione di una nuova infrastruttura – alla presenza di una strada importante come la Via Mantova, alla quale si potrebbe sottrarre il traffico dei mezzi pesanti che trasportano merci sfruttando meglio la sottoutilizzata e trascurata linea ferroviaria, già predisposta per il raddoppio (mai realizzato). Come sempre accade in questi casi, sulle opere di mitigazione c’è ancora molta incertezza. L’unica cosa certa è la fermezza bipartisan con cui la classe politica cremonese vuole realizzare l’infrastruttura.
Pontirolo, per un fine settimana all’anno, diventa anche il punto di riferimento per un gran numero di persone, che arrivano qui da ogni parte d’Italia (e non solo) con auto e camper. Il miracolo è possibile grazie all’opera della Lega di Cultura di Piadena, che da anni si occupa di realizzare studi sulla cultura popolare e sui movimenti di lotta contadina e che annualmente organizza una festa primaverile. Giuseppe Morandi e Gianfranco “Micio” Azzali, i due principali animatori, hanno di recente girato un documentario sui mutamenti del mondo agricolo padano, intitolato “I colori della Bassa”, proiettato anche al Festival del Cinema di Venezia.
Le due realtà non potevano non confrontarsi apertamente: l’incontro è avvenuto in occasione dell’ultima festa della Lega di Cultura, nella quale è stato affrontato il tema della decrescita. Dal palco – e tra i tavoli – ho visto comunisti “duri e puri” fare autocritica, ammettere il proprio ritardo nell’interpretare la nuova realtà, cercare il modo di ricominciare a parlare con la gente, rivedere le proprie convinzioni alla luce della crescente sensibilità verso un nuovo modello di società possibile, dove l’uguaglianza sociale si accompagna al rispetto per la terra e per l’ambiente che ci circonda. Dopo i dibattiti è venuto il turno delle salamelle e della musica: ho assistito alle esibizioni dei vari gruppi che si sono dati il cambio sul palco, finché i toni non si sono fatti troppo nostalgici (ma lo confesso: “Stalingrado” l’ho cantata anch’io, anche se senza il pugno alzato). In quel pomeriggio piovoso di marzo, tra questi due mondi che a volte possono sembrare così distanti si è creato una specie di contatto.
Abbandonando la festa guardavo fuori dal finestrino e riflettevo sulle nuove terminologie tanto in voga al giorno d’oggi, come mitigazioni, compensazioni ambientali e via discorrendo. La risposta della politica alle preoccupazioni della gente è un lessico rassicurante, sono i giochi di parole che cercano solamente di mascherare una realtà di devastazione del territorio.

In un contesto simile c'è da augurarsi che il contatto che si è stabilito in quel pomeriggio possa dare buoni frutti.