venerdì 29 aprile 2011

Al tempo di Pasqua in Occitania - 1. Libero arbitrio

Piasco, 24/4/2011



Un po’ di reggae alla radio, che fa sempre vacanza. Africa Unite: reggae italiano, piemontese per di più. E’ perfetto. Destinazione: le valli occitane d’Italia, quella zona a sud-ovest del Piemonte (più un angolo di Liguria) dove si parla la lingua occitana. Si tratta della propaggine italiana dell’Occitania, un’area che interessa circa un terzo del territorio francese ed alcune zone pirenaiche della Spagna.
La più settentrionale di queste valli è la Val d’Oulx. Questo è il nome che prende il tratto più alto della Val Susa, una zona ricca di testimonianze storiche e bellezze naturali come la città di Susa, la Sacra di San Michele, i laghi di Avigliana. Storicamente la Val Susa è sempre stata una via preferenziale per chi vuole valicare le Alpi, come testimoniano le numerose infrastrutture che vi sono state realizzate, alle quali si aggiunge il contestatissimo progetto della TAV.
No alle grandi opere lo leggiamo anche su alcuni muri della Val Chisone, che imbocchiamo oggi per raggiungere la prima delle no
stre mete: il Forte di Fenestrelle, noto come “la Grande Muraglia italiana”. Si tratta di una struttura militare con scopi difensivi costruita nella prima metà del XVIII° secolo, costituita da un massiccio muraglione che si inerpica sulle pendici del Monte Pinaia per una lunghezza di circa tre chilometri. Anche la Piazza d’Armi, dalla quale si può avere solo un’idea dell’imponenza del sito, è un ambiente suggestivo; la scelta di risistemare solo la copertura e la pavimentazione della chiesa, lasciando le pareti diroccate, ha dato risultati apprezzabili.




















Ridiscendiamo la Val Chisone; lungo la strada, l’odore dei larici e del cibo cucinato da alcuni grigliatori lungo la
strada. E’ il giorno di Pasqua anche per i Valdesi. A Perosa Argentina infatti comincia la Val Germanasca, la seconda delle tre Valli Valdesi. Una realtà, quella della Chiesa Valdese, che solo una parte degli italiani conosce, e di cui generalmente si ricorda una volta l’anno, quando sceglie di destinarvi l’otto per mille della propria dichiarazione dei redditi per aggirare – almeno parzialmente – il meccanismo truffaldino che assicura grossi introiti alla Chiesa Cattolica.

Ci fermiamo a Pinerolo, che ci sorprende dapprima con i portici ed i palazzi nella zona intorno al Duomo, poi con le stradine che salgono fino alla Chiesa di San Maurizio e al retrostante Santuario della Madonna delle Grazie, dove si alternano palazzi e case ristrutturate a ruderi abbandonati, giardini ben tenuti e ortaglie incolte, palazzine liberty e rustici. Prima di ripartire beviamo un caffè in Piazza Duomo, quasi un salottino con tutte quelle panchine rivolte verso la chiesa in stile gotico ed il tozzo campanile romanico. Due bambini giocano a pallone e rendono più genuina la scena.













Siamo attesi prima di cena a Piasco, un paese nei pressi di Saluzzo, così proseguiamo in direzione sud. Alla nostra destra la Val Pellice, l’ultima delle Valli Valdesi. Da queste parti è ambientato un episodio di Il cibo dell’anima, interessante documentario di Piero Cannizzaro sul rapporto tra le varie comunità religiose d’Italia e il cibo. Popolo da sempre legato al Centro-Nord Europa, a lungo perseguitato dalla Chiesa Cattolica in quanto “eretico”, i Valdesi hanno una religiosità che si basa su una più libera interpretazione del Vangelo, che può essere annunciato anche dai laici. Un bell’esempio di libero arbitrio, da cui la Chiesa Cattolica avrebbe molto da imparare.

Il nostro, di libero arbitrio, lo riserviamo alla scelta della pizza; capricciosa per Sara, piemontese per me. Mi gusto il fondersi dei sapori del pomodoro, della mozzarella e della bagna càuda su questa pizza un po’ sabauda e un po’ borbonica. Quasi una celebrazione dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, prima di concludere con un più marcatamente piemontese bonèt.

mercoledì 20 aprile 2011

Gabbioneta Binanuova - Da questa parte del ponte

Giugno 2008

Polo Nord, dice il cartello stradale. Meraviglie della toponomastica della Bassa Padana: potrebbe essere l’inizio del diario di bordo di un esploratore, invece è solo un altro resoconto del mio vagare per la provincia cremonese, e la giornata non ha niente di glaciale. E’ l’inizio dell’estate, e la campagna verde scivola giù oltre la scarpata morfologica, verso il fiume Oglio.
Mi incammino per la stretta strada che porta a Binanuova. Incontro un signore chino tra le colle dell’orto e gli faccio i complimenti per la bellissima insalata: io non sono mai riuscito a farla venire su così bene. “Vorél en poo de gambüus?” mi chiede generosamente. Lo ringrazio ma non voglio abusare della sua cortesia. Gli chiedo però qualche consiglio sull’orto. Mentre stiamo conversando vedo avvicinarsi un auto grigia. “Gh’è riàat el nümer jön”, mi dice il signore. Il numero uno è ovviamente il sindaco in persona, che ferma l’auto in mezzo alla strada e scende a presentarsi. Tanto il traffico lo consente: rimaniamo lì cinque minuti abbondanti e non passa nessuno, così come non era passato nessuno prima.

Gabbioneta e Binanuova, due paesi riuniti in un unico comune il cui territorio si estende lungo il fiume Oglio ed è caratterizzato dalla Riserva Naturale della Lanca di Gabbioneta, un tratto del vecchio corso del fiume ormai quasi completamente interrato, un grosso canneto dalla forma a ferro di cavallo.

Gabbioneta ospita la sede del palazzo comunale, ma Binanuova sembra avere maggiormente conservato un minimo di tessuto sociale, forse per via del suo bar dal gusto un po’ vintage. Arrivando dal Polo Nord si costeggia l’Oglio e da qui si può percorrere la strada delle Maestre, una suggestiva passeggiata che si infila tra le case e la chiesa. Ci si ricongiunge poi alla strada asfaltata che a destra esce dal paese e, dopo avere costeggiato il boschetto e lo stagno dall’evocativo nome di Paradiso delle Oche, si dirige verso Seniga.
Tornando da queste parti mi viene in mente un episodio di qualche mese fa. Mi trovavo nei pressi del ponte sull’Oglio. Era il 24 aprile, un giovedì. Ci si stava preparando al ponte per la Festa della Liberazione. Di fronte a me la sponda bresciana; più precisamente il paese di Seniga, che si erge soprelevato sul fiume con la sua bella rocca. Ma ecco, un po’ più giù, l’orrida visione: su un pontile sventolava un tricolore, ma non era un tricolore normale. Era l’inconfondibile tricolore con l’aquila nera della Repubblica di Salò.

Mi venne in mente quella canzone della Resistenza, basata su un testo di Italo Calvino: Oltre il ponte. Da questa parte del ponte, al sicuro, cantavo tra me e me: tutto il male avevamo di fronte, tutto il bene avevamo nel cuore. Conclusi il mio lavoro e me ne andai. Il ponte - nel senso della festività - mi aspettava.


Buon 25 Aprile.

sabato 2 aprile 2011

Cristo a Lugagnano è andato diritto

Taverne, 20/3/2011


Il grosso dei gitanti domenicali si è fermato a Castell’Arquato, per trascorrere nel pregevole borgo piacentino il più classico dei fuori porta primaverili. Noi oggi proseguiamo. Passato Lugagnano Val d’Arda svoltiamo a destra e la strada prende a salire. Ben presto anche l’orrendo cementificio, ultimo baluardo del Progresso, viene inghiottito alla nostra vista dalle colline piacentine. Meravigliosi Appennini! Potresti perderti tra saliscendi, strette stradine in costa, boschi, calanchi, vallate e vette che si confondono… Potresti traversarli di netto e sbucare in Liguria, oppure proseguire rimanendo in alta quota fino a ritrovarti in Calabria! Ai lati della strada, segnali stradali ormai in disuso nel resto del territorio nazionale: non li trovo più nemmeno in quelle confezioni di cioccolatini rotondi in vendita negli autogrill fino a poco tempo fa…Qui, oggi, tutto ci sembra lontanissimo, persino il disastro nucleare giapponese e l’intervento militare in Libia…L’aria è radioattiva, i profughi stanno già arrivando in Italia, nei centri stracolmi di Lampedusa e Manduria… e noi ci rifugiamo disperatamente nel silenzio dell’Appennino Piacentino.


Una frana taglia in due la strada: dobbiamo abbandonare anche l’automobile. Se Cristo si è fermato ad Eboli, a Lugagnano in ogni caso deve essere andato diritto. Tutto ciò che è modernità ce lo lasciamo dunque alle spalle e cominciamo a camminare tra i boschi ancora spogli in questa domenica di inizio primavera…