domenica 29 maggio 2011

Le rughe di Corniglia

Corniglia, appollaiata in cima ad uno sperone roccioso a strapiombo sul mare, offre diversi scorci panoramici sul Mar Ligure e sui terrazzamenti dell’interno. E’ la più piccola e meno marittima delle Cinque Terre, ma ciò ieri non ci ha impedito di scendere la scalinata che porta alla marina e farci il primo bagno stagionale. Il clima è ormai vacanziero, e le nostre due ricercatrici hanno allentato la tensione del congresso davanti ad una tavolata imbandita di lasagne al pesto e pesce.


Oggi altro bagno in ciò che resta dello spiaggione di Corniglia, sotto la vecchia massicciata della linea ferroviaria purtroppo ancora deturpata dalle baracche fatiscenti del Villaggio Europa. L’area sulla quale negli anni ’60 fu realizzato questo villaggio turistico completamente abusivo dovrebbe da tempo essere oggetto di risanamento; operazione che si vorrebbe realizzare addirittura tramite un aumento di cubatura con strutture in cemento, in un’area di difficile accesso (anche in questo caso c’è stato un ricorso al TAR, che si è espresso contro quest’ipotesi di cementificazione mascherata).
A Monterosso invece è stata da poco autorizzata la realizzazione di una piscina – la prima all’interno del Parco delle Cinque Terre – di acqua salata(!) a servizio dell’Hotel Roca, riconoscendone “l’interesse pubblico” pur trattandosi di “struttura privata” al fine di agevolarne la realizzazione. Il progettista sarebbe l'ex soprintendente della Liguria. In questo modo i vip che frequentano l’hotel potranno fare il bagno senza essere disturbati dai fans.

Noi ci facciamo una farinata e scendiamo alla stazione, lanciando un ultimo sguardo a Corniglia, agli orti ricavati sui terrazzamenti, alle case addossate alla roccia. Una terra povera che ci piace vedere invecchiare con dignità, non con abbandono, ma nemmeno coprendone le rughe con trucchi grotteschi come certe signore bene. Una terra dal volto come quello della signora che ci ha ospitato per la notte; segnato dal tempo ma dallo sguardo sereno rivolto verso il mare.

giovedì 26 maggio 2011

Dopolavoro universitario

Boccadasse, Porto Vecchio, Via della Maddalena… stavolta per seguire gli spostamenti di Sara non mi serve Google Earth; è sufficiente riavvolgere il filo dei ricordi risalendo al nostro viaggio a Genova di un anno fa. Ma non mi basta: troppo a portata di mano la sede del congresso, e c’è un fine settimana a disposizione. Così ieri, al rientro dalla mia giornata passata per i boschi cremonesi (purtroppo sono le ultime, ormai) ho fatto il bagaglio. Ed ora, eccomi qua davanti al Grand Hotel Savoia.

Sara ha appena terminato il suo intervento. Entro lo stesso al coffee break, un po’ imbarazzato per il mio look balneare, giusto in tempo per conoscere le colleghe di Sara. Laura se ne va quasi subito in direzione Acquario, dove la aspetta il fratello per riportarla a casa. Mery invece ci accompagna nella nostra passeggiata tra Santa Brigida, Via del Campo e Via Cairoli. In Via Balbi ci raggiunge Francesco, il ragazzo di Mery. Insieme a lui mangiamo una focaccia di Recco e saliamo sul treno. I nostri due compagni ci tenevano a vedere le Cinque Terre, dove non sono mai stati, così si è deciso di trascorrere in Liguria anche la domenica.

Sul treno si parla della loro terra d’origine, il Salento. Dal finestrino le case di Genova si sovrappongono ai ricordi della scorsa estate.

Po, Morbasco e altri corsi d'acqua

Poche settimane fa ho assistito alla proiezione di Un Po di petrolio, il documentario realizzato dal collettivo Nicola Angrisano sull’enorme sversamento di idrocarburi di cui l’anno scorso è stato oggetto dapprima il Lambro e successivamente – non essendo riusciti a fermare l’onda nera – il Po.
Povero Grande Fiume, maltrattato dalla sorgente alla foce! Se a Pian del Re anni fa sfilavano i politici che lo sfruttano come simbolo di un improbabile nazionalismo, senza curarsi del suo stato di salute, nel cuore del Delta la centrale di Polesine Camerini rappresenta uno sfregio ad un ambiente naturale di tale valenza. E se è di qualche mese fa la notizia della condanna dei vertici dell’Enel per “emissioni moleste, danneggiamenti e violazione della normativa sull’inquinamento atmosferico” (per la responsabilità penale è scattata la prescrizione), cinque giorni prima il Ministero per lo Sviluppo Economico aveva autorizzato la conversione dell’impianto a carbone (non propriamente una fonte rinnovabile), decisione contro la quale è stato fatto ricorso al TAR, che ha dato ragione agli ambientalisti.

Di fossi, fiumi e inquinamento si parla nel pezzo che ho... che un certo VG ha pubblicato sul numero di Lapisvedese intitolato Morbasco. In ideale continuità con la sezione cremonese di questo blog.

giovedì 19 maggio 2011

Scandolara Ravara / Castelponzone - La rivincita degli ultimi


Aprile 2011



Scandolara Ravara è uno dei paesi con la più alta percentuale di stranieri del territorio provinciale; sono soprattutto kosovari e albanesi. Ci siamo stati la prima volta quasi per caso tre anni fa, in occasione di un incontro con la comunità di immigrati provenienti dai Balcani. Eravamo in una sala comunale nei pressi della chiesa di S. Maria Assunta (la Chiesa Nuova, da non confondere con la Chiesa Vecchia, un bell’esempio di romanico lombardo nel quale è stato ritrovato un importante reperto archeologico, l’Altare di Illuvio, oggi esposto nel Museo Archeologico di Milano). Sembrava davvero una festicciola di paese, con tanto di complessino che suonava melodie balcaniche e tavolata di prodotti cucinati in casa dalle donne immigrate. Fu una giornata piacevole, comunque. Ripenso a quel pomeriggio leggendo i quotidiani locali: è tempo di crisi, ed in questi giorni di Scandolara si parla in quanto anche la Bini, fabbrica di pannelli di legno del paese, è a rischio chiusura.

Ma Scandolara Ravara – anzi, per essere precisi Castelponzone, frazione del centro principale ma un tempo comune autonomo – compare in questo periodo sui giornali per altri motivi, certamente migliori: si è deciso di realizzare qui l’unico evento provinciale dell’ultima Giornata di Primavera del FAI, il Fondo Ambientale Italiano. Un appuntamento fisso per tanti italiani cui anche noi non abbiamo voluto mancare.

Non appena entrati dalla porta sud, sulla quale sono ancora visibili le tracce degli stipiti del vecchio ponte levatoio, abbiamo incrociato Antonio Leoni, fotografo e giornalista (oggi dirige il quotidiano cremonese on-line Il Vascello), che trentacinque anni fa realizzò una bella pubblicazione su Castelponzone, Il mondo degli ultimi. Un titolo evocativo, che rende bene l’idea di una comunità che tenta in qualche modo di resistere, ma che ha vissuto anch’essa lo spopolamento che caratterizza i centri minori più distanti dalla città.
E’ questo l’accesso più suggestivo al paese, che attraverso un fornice immette sulla strada maestra, con i suoi portici bassi e irregolari al riparo dei quali sono ancora presenti porte e vetrine delle antiche botteghe. Castelponzone era principalmente un borgo di artigiani, differenziandosi in questo dai paesi del circondario, prettamente agricoli.
La strada maestra porta diritti al sito dove sorgeva la rocca, anzi il castelletto della nobile famiglia dei Ponzoni che ha dato il nome al borgo, di cui però oggi non rimane traccia. Per consolarsi si può fare tappa al Calcante, l’osteria del paese che si trova proprio qui, di fronte alla chiesa, per un bicchiere di vino ed un tagliere di affettati. Oppure spostarsi di una trentina di metri e visitare il minuscolo museo dei cordai, l’attività artigiana che caratterizzava Catelponzone.
Nei campi intorno al paese infatti si coltivava la canapa, che veniva poi lavorata dai cordai attraverso i macchinari tuttora visibili nell’allestimento a loro dedicato. Quello dei cordai è un mondo ormai scomparso, insieme al loro gergo caratteristico, ma che pure rivive tra le suggestioni del borgo; non a caso ha ispirato anche il musicista cremonese Fabio Turchetti per il suo album Mangiafuoco (un pezzo si intitola, appunto, Curdèer).
I quartieri popolari, che si sviluppano ai lati della strada maestra, sono costituiti da abitazioni più umili ma pure dotate di un certo fascino, tanto che abbiamo passeggiato a lungo tra i vicoli silenziosi, finché non si è fatta l’ora del rientro.

Ripenso alla nostra visita di pochi giorni fa a Castelponzone leggendo le news sul Vascello: Castelponzone è stato inserito, terzo in provincia dopo Gradella (frazione di Pandino, nel Cremasco) e Soncino, nella lista dei borghi più belli d’Italia. Un riconoscimento che ci auguriamo possa dare un nuovo impulso al recupero del patrimonio edilizio esistente, anche nella prospettiva di una valorizzazione turistica. Certo è che la notizia suona come una sorta di…rivincita degli ultimi!

sabato 14 maggio 2011

Al tempo di Pasqua in Occitania - 5. Sogni eretici

Cremona, 28/4/2011

Apriamo le imposte del nostro appartamento: la vista è ancora quella che ieri ammiravamo da sotto il pergolato e copre la parte finale della valle del Nervia, da Dolceacqua fino al mare, solo un triangolo azzurro là in fondo. Il cielo però è coperto e scende una pioggia insistente. Poco male: il clima è quello giusto per visitare Triora, il paese delle streghe.
Lungo la strada facciamo una breve deviazione per visitare Apricale. Il nome del paese deriva da apricus, luogo soleggiato, anche se oggi non si direbbe. Accanto al Duomo sorgono i resti del Castello della Lucertola, dall’animale simbolo del paese. Apricale in effetti somiglia davvero ad un lucertolone di case addossate l’una all’altra che si inerpica lungo la dorsale del monte. Gli stretti carruggi rendono più tollerabile la pioggia, che ora scende a momenti alterni.









Riprendiamo il nostro percorso lungo le stra
de su cui si allena il padrone dell’appartamento dove abbiamo pernottato, un milanese trapiantato a Dolceacqua con la passione per il ciclismo. Stamattina ci ha mostrato i percorsi delle prossime gare cui parteciperà, mentre alla TV scorrevano le immagini di repertorio di Pantani. “A Pigna ci sono delle terme, già presenti in epoca romana” ci ha detto poche ore fa, illustrandoci i dintorni. “Hanno anche costruito un grosso albergo, una cosa pazzesca”. Già sento puzza di ecomostro, ma in realtà a prima vista l’hotel sembra costruito con più criterio dei tanti palazzoni incontrati ieri lungo il litorale. A noi però di Pigna interessano i vicoli, le case e gli orti ricavati in spazi che solo la tenacia ligure ha saputo adattare a tale scopo.

Superata Pigna la strada prende a salire, stretta e piena di curve, tra i fitti b
oschi e le montagne rocciose. Dopo quasi un’ora, in cima al monte avvolto da nuvole basse, là dove la strada finisce, ci appare Triora.
Le sciamane di Triora della coppia cremonese Elisabetta Piccolo - Paolo Boldori è il libro che ci sta accompagnando in questi giorni. Si tratta di una raccolta di fotografie, poesie e ricerche storiche sulla stregoneria, con particolare riferimento ai fatti accaduti a Triora all’epoca dell’Inquisizione, quando numerose donne dei dintorni furono processate proprio per stregoneria. Le streghe in realtà erano spesso depositarie di antichi saperi relativi alle proprietà delle erbe officinali, donne dedite a pratiche a cavallo tra la medicina popolare e la magia (quando le accuse non erano solamente dettate dalle tendenze repressive della Chiesa Cattolica).
Triora dal vivo è ancora più di quanto si possa immaginare. Vicoli oscuri e contorti, archi e voltoni, anfratti, nicchie, case abbandonate, ruderi e vecchie porticine in legno…ogni angolo riserva delle sorprese. Ci fermiamo solo per una bruschetta col caratteristico pane rustico di Triora, cosparsa di pomodoro, basilico e bruzzo (una sorta di ricotta spalmabile piccante). Nel bar ritorna la lingua occitana (anche se l’appartenenza linguistica di questa zona è oggetto di dibattito). “E se volessi altro?” chiede l’avventore davanti alle brioches. “Lo trovi a Sanremo”, risponde la barista. La città del Festival e del Casinò è a una trentina di chilometri ma sembra lontanissima.
A Triora merita una visita anche il Museo Etnografico, con al proprio interno un’ampia sezione dedicata alla stregoneria. Non ne usciremmo più, così come non lasceremmo Triora, ma ormai il tempo a nostra disposizione è scaduto.





































Di nuovo il Mar Ligure. Arma di Taggia, Savona, Genova. Poi gli Appennini da attraversare. Dopo i Valdesi in Piemonte e le streghe di Triora, forse gli ultimi eretici li incrociamo tra Langhe e Monferrato, se è vero che da queste parti è stato girato il documentario
Langhe DOC - Storie di eretici nell’Italia dei capannoni.
Già, ma chi sono i protagonisti dei sogni eretici, per parafrasare l’ultimo album di Caparezza? Chi sono oggi gli eretici, i partigiani, i passeurs, le streghe? Forse chi contesta la megalomania del potere convinto che invece di una grande opera è meglio realizzarne cento piccole. Chi rifiuta il meccanismo di delega e vuole prendere in mano il proprio destino. Chi crede in un’unità che possa rafforzare le singole identità. Chi si occupa dei bambini extracomunitari nonostante le politiche razziste del governo. Chi lotta contro la privatizzazione dei beni comuni, nonostante la propaganda bipartisan continui a ripeterci l’equazione privato uguale efficiente. Chi valuta l’uomo che si trova di fronte senza chiedergli il passaporto. Chi si ribella all’arroganza del potere perché lo trova giusto, senza pensare alle conseguenze. Chi in tempi di precarizzazione del lavoro riscopre antichi saperi. Chi si ristruttura una vecchia abitazione, chi si dedica al proprio orto, chi pianta alberi nell’Italia della cementificazione selvaggia e dell’abusivismo edilizio.
L’ultimo pensiero di questo viaggio, mentre ormai intorno a noi l’orizzonte è tornato quello pianeggiante a noi consueto, lo dedichiamo a loro.

giovedì 12 maggio 2011

Al tempo di Pasqua in Occitania - 4. Passeurs per caso

Dolceacqua, 27/4/2011

Ieri sera prima di cena abbiamo fatto due passi lungo un vecchio itinerario partigiano che si arrampica sulle montagne intorno a Piasco, passando sotto al castello che domina il paese. Qui ha sede una delle più importanti fabbriche di arpe del mondo, la Victor Salvi. In località Sant’Antonio c’è anche un Museo dell’Arpa che contiene autentiche opere d’arte provenienti da ogni parte del mondo e da ogni epoca.

Dopo la visita al museo scendiamo in direzione Cuneo. Il capoluogo della Provincia Granda sembra chiamarci, ma ci viene in mente quel vecchio pezzo dei Marlene Kuntz in cui Cristiano Godano canta – anzi grida angosciato – chi non si sporca le man
i e dentro al Cuneo muore. Decidiamo di proseguire.
A Borgo San Dalmazzo si uniscono tre valli. La prima è la Valle Stura, che compare anche nel bel documentario Case abbandonate di Alessandro Scillitani; da queste parti infatti è in atto un singolare tentativo di recupero di un luogo della memoria della lotta partigiana, Paralup. La seconda è la Valle Gesso, che si inoltra nelle Alpi Marittime. La terza è la Valle Vermenagna, ed è quella che percorriamo noi.
Ci fermiamo a Vernante, dove ha trascorso gli ultimi anni di vita Attilio Mussino, uno dei più celebri illustratori di Pinocchio. Il paese è noto in quanto pieno di murales che illustrano la favola di Collodi.
Proseguiamo verso il Colle di Tenda diretti verso la più meridionale delle Valli Occitane; il tratto di Valle Argentina intorno a Triora, in Liguria, la meta di domani. Stasera siamo attesi prima di cena a Dolceacqua.
Siamo nelle zone dei passeurs; un tempo italiani, principalmente contrabbandieri o gente che cercava d
i varcare il confine per andare in Francia a lavorare. Oggi i tunisini che fuggono dal loro paese. Stamattina al riguardo abbiamo assistito ad uno scambio di idee tra un’italiana ed un francese. Certo, si tratta di una questione che andrebbe risolta a livello europeo; d’altra parte è buffo vedere un governo come quello italiano, che ha fatto della politica dei respingimenti la propria bandiera, rimproverare a quello francese quella stessa politica.
Noi oggi siamo passeurs per caso
, e la Francia è solo una parentesi fatta da una spettacolare strada che si incunea tra speroni rocciosi e le azzurre acque del torrente Roya, e da graziosi villaggi incorniciati da filari di tigli. In meno di un’ora è di nuovo Italia.
Il mare, finalmente. Dobbiamo c
osteggiarlo solo per pochi chilometri ma la tentazione è troppo forte: alla spiaggia! Purtroppo nel frattempo il cielo si è coperto e si è alzato un vento fresco. Fare il bagno è impensabile; ci riposiamo un po’ sui ciottoli e ripartiamo.
Dolceacqua si presenta dopo una curva come una cartolina. Scarichiamo subito i nostri bagagli e facciamo due passi per il paese. Il quartiere ‘A Terra, arroccato ai piedi del castello dei Doria, con le sue alte case in pietra ed i suoi stretti e contorti carruggi, sembra quasi scavato nella montagna; attraversarlo è stupefacente. Arriviamo al castello, da cui partono diversi sentieri che portano ai boschi, agli orti e agli uliveti ricavati sui terrazzamenti delimitati dai muretti a secco.
Il meraviglioso Ponte Vecchio mette in comunicazione ‘A Terra con il Borgo, quartiere di più recente impianto del primo ma pure molto pittoresco.

Cena a base di cinghiale e coniglio alla ligure; li accompagniamo con
del Rossese, che insieme all’olio e alla michetta sono i prodotti tipici di Dolceacqua. Quest’ultimo è un dolce ideato per celebrare la fine dello jus primae noctis; leggenda vuole che ciò avvenne grazie ad un giovane sposo, che riuscì ad entrare di nascosto nel castello per vendicare la moglie che si era rifiutata di concedersi al signore del paese venendo imprigionata e fatta morire di fame. Una triste ma bella storia di disobbedienza.
Usciamo all’aperto. Anche di sera Dolceacqua conserva la sua romantica bellezza. Dai torrenti intorno al paese nel silenzio si sentono gracidare le rane. La brezza ci porta l’odore del mare. Anche dalla poesia può nascere ribellione.

lunedì 9 maggio 2011

Al tempo di Pasqua in Occitania - 3. Fuga sulle montagne

Piasco, 26/4/2011

La zona ai piedi delle Valli Occitane, pur presentando importanti valori storico-artistici ed alcuni pregevoli lembi di campagna, è stata oggetto di interventi residenziali e produttivi che l’hanno in parte snaturata. Come i valdesi perseguitati in quanto eretici ed i partigiani nell’Italia occupata dai tedeschi, cerchiamo rifugio attraverso la fuga sulle montagne.

Dopo aver fatto spesa di miele, nocciole e frutta da un produttore locale a Rossana risaliamo un tratto di Val Maira. Raggiungiamo Villar San Costanzo e da qui la Riserva Naturale dei Ciciu del Villar, singolari fenomeni erosivi che si presentano sotto forma di grossi funghi di terra sormontati da massi di gneiss (la leggenda però sostiene che si tratti di legionari romani che inseguivano San Costanzo, il quale pensò bene di pietrificarli per punirli).


“L’Occitania è l’unica nazione che ha sempre avuto le porte aperte” dice Sergio Berardo, cantante dei Lou Dalfin (gruppo che ha rivisitato la tradizione musicale occitana in chiave folk-rock), presentando un brano dell’album live Al temps de festa en Occitania. “Infatti l’abbiamo sempre preso nel culo, però noi siamo contenti lo stesso”. E’ questa la natura del popolo occitano? O è quella che emerge dal film Il vento fa il suo giro – nel quale i Lou Dalfin fanno una comparsata – interamente girato in Val Maira? La pellicola parla di diffidenza nei confronti dello straniero, un discorso che certo il regista Giorgio Diritti non voleva circoscrivere agli abitanti di questa vallata ma che assume valore universale. L’idea di chiusura potrebbe venire semplicemente guardando la carta geografica: molte di queste valli sono cieche o comunicano tra di loro tramite strette stradine; poche portano effettivamente in quella Francia che da qui sembra più un’idea situata al di là delle cime innevate delle Alpi, ma che pure è in stretto rapporto di vicinanza con esse.


Ecco Dronero: alla vista del Ponte del Diavolo siamo conquistati e ci fermiamo a fare due passi. Scattiamo un po’ di foto, mentre una giovane donna di passaggio ci guarda sorridendo. Leggo in quel sorriso una punta d’orgoglio per chi, di passaggio, ha saputo cogliere la bellezza poco conosciuta di questa valle alpina.

Passando per Montemale di Cuneo raggiungiamo la Val Grana. E’ questa la più selvaggia delle valli attraversate finora. Incrociamo pochissime auto lungo la strada che costeggia il Grana, tra boschi e rocce che a tratti restringono improvvisamente la vallata. Dopo una lunga salita il Santuario di San Magno ci accoglie come un abbraccio, col suo singolare contrasto tra le pietre chiare e le colonne e l’ingresso in colori vivaci. Ci troviamo a 1761 metri d’altezza e la vista sulla Val Grana è impareggiabile. Percorriamo il porticato che gira tutto intorno al santuario; dietro l’abside c’è un piccolo cimitero. Mi soffermo davanti alle lapidi di alcuni morti in giovane età. Strano pensare alla morte da qui: non riesco ad immaginare lo strazio del distacco, come se l’incredibile energia del posto avesse un potere consolatorio anche sul dolore.

Scendiamo per la vallata facendo tappa a Pradleves. Le locandine attaccate ai muri promuovono le feste con musiche occitane delle prossime settimane. Leggiamo anche il nome di Sergio Berardo. Danze e musiche tradizionali di queste vallate hanno giocato un ruolo importante nel mantenimento dell’identità occitana.

Rientriamo a Piasco più presto del previsto, così risaliamo un tratto di Val Varaita, finché non troviamo un posto adatto per riposare un po’ prima di cena.

La giornata si conclude con un buon bis di primi (ravioli del plin al ragù e ravioles della Val Varaita) accompagnati con del Dolcetto d’Alba. Ritorniamo alla nostra camera accompagnati dai fulmini che illuminano ad intermittenza le sagome delle vette della Val Varaita.

martedì 3 maggio 2011

Al tempo di Pasqua in Occitania - 2. Ce n'est qu'un début

Piasco, 25/4/2011

I tricolori appesi ai balconi nei paesi che attraversiamo ci ricordano che oggi è il 25 Aprile. Spesso le bandiere italiane sono accompagnate da quelle della Regione Piemonte, di chiara derivazione sabauda. Molti dei luoghi attraversati o sfiorati ci parlano di Savoia e del Regno del Piemonte: Stupinigi, Venaria, Cavour…
Qui a Piasco, all’inizio della Val Varaita, i tricolori sono accompagnati da un paio di bandiere del Comitato Referendario per l’acqua bene comune e da parecchi v
essilli recanti la scritta No centrale. “Volevano costruire una centrale a biomasse a Rossana, a quattro chilometri da qui, alimentandola con fonti energetiche prodotte e lavorate in Liguria. Il traffico pesante in ingresso sarebbe dovuto passare per l’unica via d’accesso al paese, particolarmente stretta” ci racconta Caterina, che insieme al marito Alessio, al figlio Harry e al gatto Figaro ci ospitano durante il nostro soggiorno a Piasco.
Dopo esserci dedicati alla parte di Occitania in provincia di Torino, ci troviamo ora in provincia di Cuneo. Anche la “Granda” è stata teatro di importanti lotte partigiane; ci sembra un buon modo per celebrare la Festa della Liberazione.
Oggi in particolare raggiungeremo una meta che ci eravamo prefissi già due anni fa al Delta: dopo la foce, le sorgenti del Po. Risaliamo quindi Valle Po tra case in pietra a vista con le loro caratteristiche coperture alternate ad edifici di più recente realizzazione (e spesso poco coerenti col contesto). Abbandoniamo l’auto sulla strada per Pian del Re e proseguiamo a piedi. Ben presto il bosco di larici lascia spazio a un prato fiorito di bucaneve e popolato di marmotte che saltellano goffamente tra le rocce. Il Po al nostro fianco è solo un torrentello, e fa quasi tenerezza a guardarlo. Ma lo scroscio della cascata che scende dalla chiesetta di Pian del Re è potente.
Eccoci arrivati. E’ strano pensare che qui, in mezzo alla neve, ai piedi del Monviso (il “gigante di pietra” che riusciamo solo ad intravedere, a tratti, in mezzo alle nubi), inizia un po’ il nostro mondo, la nostra quotidianità segnata dall’incedere del Grande Fiume e da un orizzonte pianeggiante di cui spesso non si riesce a scorgere la fine.

Rientrando ci fermiamo a prendere un caffè a Crissolo e poi a fare due passi ad Ostana, ridiscendendo poi la valle fino a Saluzzo. L’antica capitale dell’omonimo marchesato ci incanta; ogni palazzo meriterebbe decine di foto, ed infatti Sara è all’opera. Anche le case di architettura più semplice sono abbellite da giardini interni, vasi di fiori all’ingresso, rose e glicini che si arrampicano di fianco alle porte. Passeggiamo per la quiete dei vicoli fino alla Castiglia; qui ci rendiamo conto che si è fatta l’ora di cena. Allora troccoli al ragù e polpette innaffiati da Nebbiolo d’Alba e – come dessert – torta di nocciole con crema pasticcera.



























Il Nebbiolo mi induce qualche
riflessione sul Piemonte. L’Unità d’Italia e la lotta partigiana sono parti della storia della nostra nazione che sono iniziate qui, o che qui hanno vissuto pagine importanti. Ma come il corso del Po, sembra che il Piemonte, dopo l’inizio, se ne sia tenuto (o ne sia finito) in disparte.

Facciamo ancora due passi sotto i portici intorno al Duomo, poi lungo Corso Italia. Silvio Pellico ci guarda dall’alto del suo piedistallo: è al centro della scena eppure, a suo modo, defilato. E forse non è un caso che sia il saluzzese più celebre.