sabato 28 luglio 2012

Sospiro - Una serata da matti


Luglio 2011
Lo stabilimento caseario abbandonato della Larc, in località Botteghe di Longardore, ci dà il benvenuto nel territorio di Sospiro. Un nome che, nell’immaginario locale, è sinonimo di “paese dei matti” per via della presenza della Fondazione Sospiro, sorta a fine ‘800 con l’obiettivo di fornire cure adeguate dapprima ai malati poveri e successivamente ai casi di demenza. Camminando per il paese si incontrano frequentemente gli ospiti del centro, intenti a passeggiare tra la chiesa di San Siro, quella più piccola di San Giacinto e Villa Cattaneo, scenografica villa patrizia neoclassica situata di fronte al Municipio, oggi sede della Fondazione. Una sorta di strano equilibrio tra gli abitanti del paese e gli ospiti del centro regna su Sospiro. Oggi il complesso dell’Istituto Ospedaliero Sospiro ospita più di 700 persone (numerosi anziani e disabili sono alloggiati anche nei nuovi edifici poco distanti da Villa Cattaneo); una presenza significativa rispetto alla popolazione del comune (poco più di 3000 abitanti insediati tra Sospiro e le sue frazioni).
Da Villa Cattaneo, proseguendo lungo via Garibaldi, si incontrano le indicazioni per Tidolo. E’ però più pittoresco l’arrivo dalla Strada Provinciale Bassa di Casalmaggiore: una vecchia schiera di case si para davanti al viaggiatore, e proprio in fondo alla strada, sopra un androne che introduce in una corte, un vecchio cartello riporta il nome del paese. Tidolo: una fila di case, la chiesa di San Marco, il campetto da calcio con l’erba ormai alta, un’area attrezzata per bambini piuttosto minimalista, il bar. Già, a Tidolo sopravvive un bar, vintage quanto basta per non stonare con l’ambiente circostante: le perline alla porta d’ingresso e le “arelle” alle finestre, l’insegna di rivendita sali e tabacchi e quella di posto telefonico pubblico, la citazione mussoliniana in parte ancora leggibile sulla facciata, la bacheca per gli avvisi, l’odore che si respira nella penombra dell’interno, i boccioni in vetro per le caramelle, l’attesa dell’arrivo dell’anziana signora dietro al bancone…
Fu proprio dalle parti di Tidolo che un agricoltore di buon cuore venne in mio soccorso trainando col suo trattore la mia automobile, finita in una cunetta sul ciglio della strada nascosta dall’erba alta. Incidenti che possono capitare a chi gira per il territorio frequentando le strade secondarie e gli sterrati. Chissà perché, non mi venne in mente di chiamare i miei parenti agricoltori in quel di Ca’ del Brolo, poco fuori Sospiro.
A Ca’ del Brolo c’ero stato pochi giorni prima. “Vieni, entra da questa parte” mi disse Olivana, cugina di mio padre, dopo avermi messo a fuoco: non si immaginava certo di vedermi comparire tra la polvere dello sterrato a quell’ora del mattino. “Tuo padre entrava sempre per di qua”, e mi fece strada. Mi fermai giusto il tempo per scambiare due parole e bere un bicchiere d’acqua con lei e il marito, che però era in un momento delicato. “E’ appena nato un vitellino”, mi spiegò. Lo lasciai tornare alla stalla e percorsi a ritroso la strada sterrata che porta alla via Giuseppina.
Le cascine del territorio sospirese le ho girate tutte. Nei pressi di Tidolo, nella cascina chiamata dalle vecchie carte Casa Emilia, ha sede l’azienda agricola biologica “Noi e la Natura”, con il proprio allevamento avi-cunicolo: alla signora Pierangela e ai suoi collaboratori va il merito di avermi fatto apprezzare la carne di pollo, che avevo sempre snobbato avendo mangiato per lo più prodotti da supermercato. Un’altra azienda biologica era situata poco distante, nella cascina Orezoletta; è un po’ che non passo da quelle parti e non so se l’agriturismo sia ancora attivo. Ogni tanto acquistavo il loro formaggio di capra al mercatino biologico di Cremona del sabato mattina. Anche a Sospiro poi sono presenti cascine ormai abitate solamente da una o due famiglie, ma che un tempo ospitavano delle comunità pressoché autonome. Alcune di queste avevano anche la chiesetta, come Casaletto Nadalino, raggiungibile tramite una stradina poco battuta che collega Sospiro con la frazione di Longardore. Il premio per il nome più poetico invece va alla cascina Bruciacuore, a lato della strada che da Longardore porta a via Postumia (estremità settentrionale del territorio comunale), in prossimità delle località Bicocca e Ca’ Turchetta.
Le cascine di Sospiro sono la testimonianza della storica vocazione agricola di questo tratto di pianura, una vocazione che qui come altrove si è tramutata in una rincorsa alla massima produttività, con accorpamento dei piccoli poderi ed eliminazione del reticolo di siepi e filari che ne costituiva la delimitazione. Da segnalare, in questo contesto, l’attività di gruppi come El Muròon, attivo in paese da circa una ventina d’anni, che si occupa anche di piantumare lembi di campagna con essenze autoctone.
Il giro per il territorio sospirese si conclude a San Salvatore. Oltre la zona produttiva di via Giuseppina, dominata dall’insediamento dell’industria chimica SO.G.I.S., si nasconde questo piccolo centro, che ha conosciuto lo spopolamento tipico di queste realtà. Oggi la popolazione di San Salvatore conserva una consistenza numerica tutto sommato discreta: i servizi essenziali però sono quasi tutti scomparsi, anche a causa della vicinanza del capoluogo comunale.
L’ultima bottega di San Salvatore ha definitivamente abbassato la saracinesca qualche tempo fa, ma l’interno è rimasto come un tempo. Ce lo mostra Alvise Chiesa, l’ultimo fornaio del paese, che ha proseguito l’attività per alcuni anni dopo la morte del fratello Gino. Tutto è ancora al suo posto: i recipienti per i prodotti sfusi dietro al bancone, la vetrina che ospitava salumi e formaggi, la bilancia, l’affettatrice, il forno a carbone… Al primo piano ci sono ancora le camere dove Alvise ha trascorso tutta una vita, affacciate da un lato sulla centralissima via Mazzini e dall’altro sulla corte che è stata un po’ il cuore pulsante del paese per lunghi anni. “Ci sono state anche cinque balere in paese, e una proprio in questo cortile”, ci racconta Alvise. Il negozio di famiglia fu non solo panetteria, ma anche tabaccheria e osteria. Nelle sere d’estate in cortile si ballava e si giocava a quarantotto, un gioco simile a quello delle bocce, di cui mi faccio spiegare il regolamento.
Ritorniamo nel locale che ospita il forno: nel frattempo ci hanno raggiunto gli amici di “Villa Arzilla”, come amano chiamarsi tra di loro. Alle pareti sono attaccati gli articoli dei quotidiani locali che parlano della storia di San Salvatore, raccontando di un inevitabile ed inarrestabile declino. Ma la malinconia dura poco: una pastasciutta improvvisata, qualche bottiglia di Lambrusco e Fortana, e Alvise e i suoi amici, quelli di sempre, si lasciano andare ai loro racconti coloriti che rendono frizzante anche la rievocazione dei tempi andati. Questo è il loro covo: qui si tengono cene memorabili, letture di poesia, lezioni storiche e rappresentazioni teatrali. In occasione di una delle ultime serate, alla quale ho avuto la fortuna di presenziare (insieme ad almeno un’altra cinquantina di persone), lo spettacolo allestito da “Villa Arzilla” prevedeva l’entrata in scena di un’ambulanza: quella sera, al suono della sirena, si sparse per il paese la voce di un malore del nostro Alvise. Buon per lui: certe cose si dice che allunghino la vita.
Nella notte ripercorriamo idealmente le sex pilae, probabile riferimento a sei colonnette militari che separavano Sospiro da Cremona e che la tradizione vuole siano all’origine del toponimo del paese cremonese. Per un attimo pensiamo ad Alvise, a come deve essere ritrovarsi improvvisamente soli nel silenzio della corte, nel negozio vuoto, nelle camere disabitate, dopo una serata trascorsa in allegria tra battute e risate. Ma è solo un istante: quando si parla di Villa Arzilla, ripeto, la malinconia può arrivare all’improvviso, ma dura pochi attimi, ed altrettanto improvvisamente se ne va. Chissà, forse i proverbiali matti di Sospiro non sono a Villa Cattaneo, ma a Villa Arzilla, nel cortile di Alvise, dove passano le serate mangiando, scherzando ed organizzando i prossimi eventi goliardici. Se così fosse, c’è da augurarsi di perdere totalmente la ragione anche noi, al più presto.


lunedì 23 luglio 2012

Pozzaglio ed Uniti - Custodi della memoria

Luglio 2012
Entrai nel bar di Pozzaglio per il caffè mattutino. Alle pareti, rivestite di perline di legno fino a due metri di altezza, stavano affissi gli avvisi delle gite organizzate e delle sedute del consiglio comunale. Una donna sfogliava svogliatamente il giornale seduta a uno dei tavoli, poi lo richiuse e sbottò: “M’a bèle stűfàat anca ‘L’Unità’. Lùur e ‘l Papa!” Erano i giorni in cui la stampa si occupava quotidianamente della programmata visita di Benedetto XVI alla Sapienza, visita poi saltata per le contestazioni di alcuni gruppi studenteschi. Un’attenzione che aveva causato il fastidio della donna, che evidentemente era in vena di parlare. “Adesso poi torna Berlusconi…” disse lanciandomi un’occhiata con uno sguardo lucido e disincantato al tempo stesso. Mancava poco alle elezioni politiche del 2008. Prodi se n’era andato, Berlusconi non era ancora tornato. “Godiamoci insieme questo magico momento”, diceva al riguardo una memorabile vignetta di Vauro.
Diedi corda alla mia interlocutrice. Si finì col discutere di politica, della militanza di un tempo e della disillusione di oggi. “Tanti di sinistra non andranno a votare perché sono delusi. Li capisco. Però bisogna andare, bisogna fare qualcosa…”. Uscendo dal bar passai di fronte alla Corte Grande, da poco ristrutturata. La lapide che ricordava l’uccisione del partigiano Carmen (al secolo Luigi Ruggeri, fucilato dai fascisti) era però stata rimessa al suo posto, e, insieme alla discussione appena terminata, mi diede da pensare.
Pozzaglio è il nucleo antico del paese, disposto lungo un’unica via. Pozzaglio è la sua espansione residenziale più recente, realizzatasi grazie ad una relativa vicinanza con Cremona, in direzione perpendicolare al centro storico, a ricongiungersi con via Brescia (cardo massimo dell’ager cremonensis). Pozzaglio è l’espansione produttiva al di là di via Brescia, che ormai ha quasi raggiunto la frazione di Solarolo del Persico. L’urbanizzazione qui procede ordinata ma inesorabile.
E’ proprio percorrendo via Bongiovanni, che attraversa la zona produttiva di Pozzaglio passando di fianco, tra gli altri, allo stabilimento dell’azienda dolciaria Wal-Cor, che raggiunsi Solarolo in occasione della mia prima visita, diversi anni fa. Mentre osservavo la cappelletta del piccolo centro, parte integrante della Cascina Grande, mi si fece incontro un uomo, che scoprii parecchio tempo dopo essere il padre di un mio compagno di università. Mi invitò a visitare l’interno e mi parlò dei problemi di umidità che attanagliano la chiesetta. E’ bello, pensai, che in ogni paese ci sia qualcuno che si occupa dei monumenti simbolo, anche se in realtà non è sempre così, e spesso queste persone vengono lasciate sole dall’Autorità.
Il biglietto di ingresso per chi raggiunge Castelnuovo Gherardi da Solarolo del Persico è un gruppetto di abitazioni popolari che emerge improvviso nella campagna, per fare subito posto alle cascine a corte chiusa che compongono l’abitato. Intorno alla chiesa del paese c’è anche un centro sportivo oratoriale piuttosto importante, in proporzione alle dimensioni dell’abitato. Qui nacque l’U.S. Bernardiniana, società sportiva locale, per opera, mi dicono, dell’intraprendente parroco che ai tempi svolgeva le proprie funzioni nella piccola frazione di Pozzaglio. Credo che la Bernardiniana sia tuttora in attività, mentre la casa parrocchiale è ormai in stato di abbandono.
La sensazione di desolazione aumenta ritornando su via Brescia. Poco dopo il bivio per Castelnuovo, infatti, ecco lo stabilimento della Vivi Bike, dalla quale uscì anche la mia prima bicicletta senza rotelle, una BMX gialla e rossa. L’azienda ha ormai cessato la propria attività, così come la ditta di lavorazione di materiali in gomma del capannone a fianco; ci entrai qualche anno fa e la segretaria mi spiegò che se n’era appena andato l’ultimo operaio a ritirare l’ultima liquidazione. Uscii e mi ritrovai completamente solo nel grande parcheggio ormai assediato dalle erbacce.
Sempre lungo via Brescia, poche centinaia di metri in direzione nord, ecco le frazioni di Brazzuoli (noto per ospitare le scuole presso le quali confluiscono gli studenti di Pozzaglio, Olmeneta e Corte de’ Frati) e Villanova Alghisi; tre o quattro cascine e qualche esercizio commerciale che vive del traffico dell’ex-statale.
Da Brazzuoli una strada di costruzione relativamente recente consente di raggiungere Casalsigone, l’ultima delle frazioni del comune di Pozzaglio ed Uniti (e, fino agli anni ’50, la più popolosa). Io però consiglio di arrivarci da Cremona tramite strade basse, perché l’impatto è più suggestivo.
Se seguite il mio consiglio e provenite da Ossalengo, poche centinaia di metri prima di Casalsigone incontrerete un cippo funerario. Fermatevi a salutare Laura, una ragazzina di quattordici anni uccisa con una coltellata alla schiena in un afoso pomeriggio dell’estate del ’74. La giovane era di ritorno dai campi, dove era andata a portare da bere al padre agricoltore. Un automobilista di passaggio vide la giovane barcollante chiedere aiuto e la caricò in auto. Laura morì pochi minuti più tardi. Un giallo che purtroppo è rimasto irrisolto: il colpevole non è mai stato trovato. I familiari della vittima hanno sempre parlato del clima omertoso che avrebbe ostacolato le indagini. Una storia di cronaca nera che ha segnato per sempre la storia del paese.
Appena entrati a Casalsigone, dopo una curva, ecco la cascina dal nome di Breda delle Uova, pittoresco quasi quanto le mucche che si affacciavano dalla stalla direttamente sulla strada la prima volta che ci sono passato. Mi hanno raccontato che una scena analoga si presentava, fino a non molti anni fa, anche presso la Corte Bassa, con le vacche che facevano capolino dalle finestre della stalla sul sagrato della chiesa di Sant’Andrea. Le cascine di Casalsigone sono tanto belle quanto decadenti. La Fabbriceria, di pianta irregolare, proprio di fronte alla chiesa parrocchiale. La Corte Luminosa, il cui nome evocativo rende giustizia più della scarsa attenzione degli uomini all’apparizione che coglie il viandante appena girata la curva di fronte a Sant’Andrea. La Madonnina - la cui corte è singolarmente attraversata nel mezzo da una roggia - ormai in rovina; è stato rubato tutto, perfino i coppi, ed il bell’ingresso, quasi dirimpetto all’imponente portale laterale della Corte Luminosa, è transennato da anni.
Casalsigone ha pagato un prezzo altissimo al crollo del mondo contadino iniziato negli anni ’50. Alcune curiosità su questo paese le ho raccolte presso il locale centro sociale diurno per anziani, grazie ad una signora che mi è stata presentata come memoria storica locale. Una donna dall’aspetto sereno, nonostante abbia visto disgregarsi il tessuto sociale – ed ormai anche quello urbano ed edilizio – del proprio paese. Meno male che ci sono questi custodi della memoria. Avanti di questo passo, dei paesi come Casalsigone, ci rimarrà soltanto quella.

giovedì 12 luglio 2012

Vino e territorio


Guardando la nostra pur povera cantina è possibile ripercorrere i nostri viaggi: Rosso del Monferrato, Cinque Terre doc, Terrano, Sagrantino di Montefalco… Vino e territorio è il tema del concorso Wine on the road, organizzato da Villa Petriolo. E questo è il racconto che ho inviato, un viaggio ideale tra i vini della nostra penisola:

martedì 10 luglio 2012

La mia città in quattro stagioni - 2. Estate


Il respiro della città, come il mio, è lento, i nostri palpiti all’unisono. La vita in Piazza Duomo scorre piano nell’ora più calda e mi scopro immobile a contemplarla, sfaccendato come i pochi turisti che sfidano le 14:30 di un’afosa giornata di piena estate. Sfaccendato come gli ancor più rari anziani sorpresi per la via dalla canicola, che forse stanno cercando di raggiungere la penombra della propria casa per schiacciare un pisolino prima di cadere a terra inermi. Sfaccendato come quando ero studente.
La mente ritorna a quei giorni di qualche anno fa. Mi svegliavo senza troppa fretta, salivo in macchina e parcheggiavo dalle parti di Piazzetta Antonella. Le prime volte ci ero capitato per caso, perdendomi dalle parti di S.Ilario, ed ero rimasto sorpreso da quell’angolo nascosto della città, di cui ignoravo l’esistenza. Ho conosciuto molti cremonesi che amano questa piazza. Non c’è nessun monumento da visitare, nessun negozio dove fare shopping. Non c’è niente, in Piazzetta Antonella, eppure, sarà la forma irregolare, sarà l’acciottolato, sarà la quiete che si respira, saranno le panchine all’ombra degli alberi che fanno un po’ Parigi… A dire il vero amo un po’ tutta questa zona della città: Strada Canòon (Via Bissolati, un tempo chiamata così per via delle numerose caserme), la chiesa di San Bassano, Via Dulcia con quella casetta dalla finestra “fallica” (si dice che un tempo ospitasse uno dei bordelli di Cremona, numerosi quasi quanto le sue chiese), Via Volturno, dove abbiamo abitato per un po’ di tempo… Una zona un tempo malfamata: strade di delinquenti, perdigiorno ed osterie.
Andavo a studiare alla Biblioteca Statale. Ero piuttosto metodico, ma i ritmi erano blandi. Pausa caffè, lettura dei giornali, pausa pranzo… staccavo dopo l’una, uscendo dal grosso portone dove incrociavo i turisti che entravano al Museo Civico o i ragazzini che sghignazzavano per i falli in erezione dei fauni scolpiti sul cornicione del palazzo Affaitati, dove Biblioteca e Museo hanno sede. Camminavo verso Piazza Duomo e la città mi sembrava ancor più bella di quello che è, luminosa come nel film La febbre. Mangiavo qualcosa e mi concedevo una passeggiata prima di rimettermi a studiare.
Mi ritrovo a camminare per le stesse strade, alla stessa ora, con le stesse mani in tasca, qualche anno più tardi. La città che lentamente si spopola, gli amici, i conoscenti e pure gli sconosciuti che partono uno dopo l’altro per le vacanze estive… ed io che non so ancora se e quando me ne andrò. E la città che parla straniero e mi fa venire voglia di partire, non importa verso dove: le badanti romene che chiacchierano sulle panchine dei giardini di Piazza Roma, l’odore del kebab dalle porte aperte dei negozi dei turchi, i turisti tedeschi, francesi, inglesi che leggono le loro guide e poi alzano lo sguardo verso i 111 metri del Torrazzo… Persino l’odore del gas di scarico dei motorini e quello proveniente dalla pescheria Duomo fusi insieme per un attimo mi danno l’impressione di essere in qualche città affacciata sul Mediterraneo…
Invece sono qui, al riparo della Bertazzola, l’unico posto davanti al Duomo dove posso sedermi all’ombra. I gradini tre metri davanti a me vanno bene fino ad inizio estate, ma in questa stagione sono off-limits almeno fino alle dieci di sera. Allora cominciano a raffreddarsi un poco, e ti ci puoi sedere a mangiare un gelato.
La vita è quasi ferma, e così sarà ancora per qualche ora. C’è tempo per pensare alla sera che verrà. Un film all’Arena Giardino. Una sagra in qualche paese della zona. Prima, magari, un giro in bici, poco distante però, che la voglia di fare dei chilometri con questo caldo è poca. Giusto la strada per raggiungere un campo, un solo campo che dia l’idea di discontinuità tra la città ed i centri abitati intorno. Andare magari in una di quelle frazioni che sembrano mantenere un’idea di nucleo a sé stante, di comunità. Che se ne stanno a pochi chilometri dalla città ma che per raggiungerli devi percorrere una strada stretta e magari farti anche qualche curva, come San Savino, oppure Picenengo.
Il mio sguardo spazia tra il Battistero, la Loggia dei Militi, il Palazzo Comunale. La mente invece passa oltre, in Piazza Stradivari ormai liberata dalla mai amata pensilina, scende per Corso Vittorio Emanuele, prosegue per Viale Po, lungo da sembrare infinito. Il pensiero vola di nuovo là, verso il fiume. Ma una volta arrivato sulle sue sponde, che fa? Rimane a guardare le acque dove fino a non molto tempo fa ci si poteva bagnare e che ora ci sono proibite a causa dell’inquinamento? Si siede in qualche società canottieri a prendere il sole sul bordo della piscina aspettando che passi il tempo sufficiente per poter fare il bagno? Attende il tardo pomeriggio, l’ora in cui escono i canoisti a ravvivare l’acqua del grande Fiume?
No, il pensiero è libero e nessuno lo può fermare. Il corpo è fermo in Piazza Duomo, riparato appena dalla canicola, ma lui prende il largo. Si lascia trascinare dalla lenta corrente del fiume. Vede allontanarsi il Vascello, come lo chiamavano gli antichi romani, vede il Torrazzo, il suo albero maestro, scorrere via lungo le acque, e se ne va. Verso il mare…

venerdì 6 luglio 2012

Castelverde - Bicilonga


Giugno 2008
 
Il modo migliore per raggiungere in bicicletta Castelverde provenendo da Cremona è percorrere l’itinerario ciclabile che parte dal quartiere Cambonino, costeggia la pista dell’aeroporto del Migliaro e passa di fronte al ristorante Il Carrobbio. Se è domenica mattina ci si può fermare a consumare una delle ottime colazioni servite dal ristorante, che punta molto sulla qualità e sull’eticità delle materie prime ed offre valide alternative per chi soffre di intolleranze alimentari.
Poco dopo Il Carrobbio si entra nel territorio del comune di Castelverde, caratterizzato dalla presenza di diversi percorsi ciclabili. Bicicletta e cibo: così è iniziato questo racconto. E così proseguirà, come una “bicilonga”, una di quelle manifestazioni che negli ultimi anni si sono diffuse un po’ in tutta Italia. Infatti dopo poche centinaia di metri ecco l’agriturismo Breda de’ Bugni, situato nella cascina-castello quattrocentesca. Vale la pena fermarsi quantomeno per dare un’occhiata a quel che resta della cinta muraria, prima di proseguire verso il vicino centro di Castelverde.
Dalle testimonianze storiche all’epoca contemporanea: Castelverde sembra un nome fittizio, e ormai si adatta meglio dell’antica toponomastica alla distesa di villette colorate costruite negli ultimi anni. Resta poco di Castagnino, il vecchio nome del paese, usato ancora oggi dagli abitanti di più lunga data. Qualcosa però si muove anche sul fronte delle ristrutturazioni: la cascina Ferrari è stata recuperata e vi hanno sede la biblioteca comunale e l’auditorium Fabrizio De Andrè, che ospita le interessanti iniziative del Centro Culturale Agorà.
Da Castelverde, attraversando via Bergamo, si raggiunge agevolmente Livrasco. Qui si trova il Cao-Lila, ristorante messicano che si è premurato di segnalare sul menù i piatti più piccanti contraddistinguendoli con simbologia semplice ed efficace: un peperoncino (picante), due peperoncini (muy picante) oppure tre peperoncini (es como el fuego). Per chi preferisce la cultura nostrana invece ecco la trattoria Franca e Luciano, ritrovo storico dei calciatori grigiorossi. Chi è nato prima del 1980 può provare a riconoscere i giocatori dell’U.S.Cremonese nella foto gigante di fianco al bancone, risalente all’anno della prima, storica promozione in Serie A del dopoguerra.
Proseguendo da Livrasco verso Bettenesco si incontra la ciclabile provinciale dei Navigli. Percorrendola in direzione di Genivolta ci si addentra presto in una pittoresca fascia boscata. Questa zona rappresenta l’estremità meridionale delle valli relitte che tagliano trasversalmente la nostra provincia e che si caratterizzano per la presenza di scarpate e fasce boscate (forse non è un caso che a Castelverde sia presente un attivo gruppo micologico). Per comprendere al meglio la storia di questa parte di territorio bisognerebbe abbandonare la bicicletta e prendere l’aereo, magari uno di quei piccoli velivoli turistici che decollano dall’aeroporto del Migliaro. Si riconoscerebbe immediatamente un grosso rettangolo, situato a lato del Naviglio Civico di Cremona, che taglia di netto l’orientamento prevalente della centuriazione romana presente nell’ager cremonensis, ben visibile ancora oggi. Si tratta dell’area che il ras fascista locale Roberto Farinacci aveva destinato alla realizzazione del nuovo aeroporto della città di Cremona, progetto successivamente caduto nel nulla.
Dopo un paio di chilometri la ciclabile incrocia un’altra strada asfaltata. Girando a sinistra si raggiunge Marzalengo, le cui sorti sono state evidentemente ben diverse da quelle del capoluogo, come testimoniano le insegne di vecchi negozi ormai chiusi o le scritte scrostate sui muri. Rimane la trattoria Fioni, un tempo piuttosto quotata.
Ritornando sulla via Bergamo ecco San Martino in Beliseto, un centro piccolo che però offre ben due alternative per chi vuole fermarsi a mangiare qualcosa: l’Antico Pavone, molto conosciuto per l’ottimo rapporto qualità/prezzo, e la Vecchia Cascina, di cui sono particolarmente apprezzati i piatti a base di pesce.
Da San Martino gli itinerari ciclabili comunali consentono di ritornare a Castelverde e poi portarsi a Castelnuovo del Zappa, località raggiungibile anche tramite strade a traffico molto ridotto come quella che collega Castelnuovo con Polengo. I vari percorsi disponibili possono essere l’occasione per apprezzare le belle cascine disseminate nel territorio comunale: Licengo, Castelletto del Lupo, Mancapane, Cantarane…
Per Castelnuovo vale lo stesso discorso fatto a proposito di Marzalengo: vi sono presenze architettoniche interessanti (la chiesa di San Michele Arcangelo, la cascina Fieschi, il vecchio mulino) ma la relativa lontananza dalle principali vie di comunicazione ha causato un certo spopolamento. I centri di aggregazione rimasti sono il bar dell’oratorio e il ristorante il Valentino. Qui, pochi anni fa, in occasione di una rassegna gastronomica, ho avuto la dimostrazione di come il pesce di fiume, se cucinato da mani esperte, abbia ben poco da invidiare a quello di mare. Meglio la nobilitazione del pesce d’acqua dolce di quella sera rispetto alla mia ultima visita al ristorante, più sottotono, forse perché il ristorante era al completo e la cucina più sbrigativa. I prezzi restano comunque più bassi della media.
Siamo partiti da un centro che ha conosciuto una notevole espansione negli ultimi decenni a causa della vicinanza con Cremona e della presenza di un’importante arteria stradale: analogamente concludiamo la pedalata a Costa Sant’Abramo, un paese che ha cambiato volto in tempi recenti, situato a lato della Castelleonese. Il tragitto da Castelnuovo alla Costa è parzialmente ciclabile, anche se al momento la pista è chiusa per problemi al fondo stradale.
A questo punto dovei parlare della trattoria che si trova lungo la via principale del paese, o della celebre pizzeria situata nelle immediate vicinanze. Invece offro un’alternativa a chi troverà il tutto esaurito in quest’ultima. Io e Sara qualche anno fa passammo una bella serata in un locale situato di fronte alla strada che porta alla chiesa. Era fine estate, e come sempre accade nelle serate di settembre, serene e appena un poco più fresche di quelle che le hanno precedute, avremmo voluto non finisse mai, seduti ai tavoli all’aperto del cortiletto interno.
Così anche il nostro itinerario, volenti o nolenti, si conclude qui. Parleremo in altre occasioni della ciclabile provinciale dell’Antica Strada Regina, che da Cremona, passando per la Costa, porta fino a Soresina. Non rimane che raggiungere Castelverde e tornare verso casa, con il canto delle rane che accompagna il rientro.