domenica 24 marzo 2013

Sotto il cielo di Torino - 2. L'araba fenice



Torino, 18/11/2012
Domenica mattina. Per trovare la vita torinese raggiungiamo il Parco del Valentino, che si sviluppa lungo il Po nel tratto immediatamente a monte dei Murazzi. Entriamo nel Borgo Medievale, costruito in occasione dell'Esposizione Universale del 1884 ad imitazione di alcuni borghi piemontesi e valdostani. Ci fermiamo in uno dei tanti banchetti a comprare nocciole, facciamo una foto di gruppo e ritorniamo sui nostri passi. Intanto i bambini giocano nel parco, i ciclisti pedalano sugli itinerari ciclopedonali, i canoisti scivolano lungo il Po. Per vedere i podisti invece bisogna ritornare verso il centro: oggi infatti si corre la Maratona di Torino.
Lo scenografico Viale Po collega il fiume con Palazzo Reale e la chiesa di San Lorenzo. Aggiriamo i giardini reali, purtroppo chiusi e parzialmente abbandonati, e raggiungiamo “Il Quadrilatero”, il nucleo più antico della città. Anche qui la pianta è rigorosamente ortogonale, ma le vie sono più strette ed hanno un aspetto intimo. Torino è famosa anche per le sue gelaterie: in una di queste stradine mi prendo un gelato al gianduia, e mi sembra di rendere un doppio omaggio alle tipicità del luogo.



Tutti giù per terra è il titolo del libro d'esordio di uno dei più famosi scrittori torinesi, Giuseppe Culicchia (la trasposizione cinematografica, neanche a farlo apposta, è sempre di Davide Ferrario). E sotto terra, che c'è? Per scoprirlo bisognerebbe seguire uno degli itinerari che si sviluppano attraverso i cunicoli sotterranei di questa città, per la quale si sono sprecati gli aggettivi: esoterica, misteriosa, occulta... Peccato non averne il tempo, visto che tra meno di un'ora parte il treno che ci riporterà verso casa. Per la cronaca, pare che una delle porte per l'inferno si trovi in Piazza Statuto, ma io ho temuto di trovarla scendendo le ripide scale a chiocciola per raggiungere i fatiscenti bagni del locale dove ci siamo fermati a mangiare una pizza alle acciughe.
Risalito in superficie sano e salvo non mi resta che ringraziare Leonardo e Miriam per questo fine settimana. Le nostre guide - un pratese ed una cremonese - sono state all'altezza della situazione, raccontandoci la città con lo sguardo esterno di chi non è nato qui ma con gli occhi partecipi di chi ci vive. D'altra parte, mi spiega Leonardo, i torinesi doc ormai è difficile trovarli: questa è stata a lungo una città di immigrazione (in particolar modo calabresi e siciliani) ed in parte lo è tuttora, anche se in maniera diversa, come testimonia la loro storia. Torino, più volte decaduta (ex capitale, ex città industriale), sembra si stia riprendendo ancora una volta. Ma un'altra minaccia incombe sul cielo di Torino: quella dell'indebitamento del Comune, che secondo alcuni sarebbe dovuto in buona parte proprio a quella che doveva essere la principale occasione di rilancio, ovvero le Olimpiadi invernali del 2008. Non possiamo che augurarci l'ennesima ripresa: Torino ci ha dimostrato di saper risorgere dalle proprie ceneri, come quell'araba fenice che ci riporta alla prima visita nel capoluogo piemontese, sperduti in una scolaresca in gita al Museo Egizio.

martedì 12 marzo 2013

Sotto il cielo di Torino - 1. Dissolvenze

Torino, 17/11/2012

La figura familiare di Leonardo emerge gradualmente in mezzo alla folla all'arrivo dei binari della stazione di Porta Nuova: saluti e abbracci, dopodiché ci infiliamo sotto i portici di via Sacchi. In nemmeno un quarto d'ora raggiungiamo l'appartamento che da qualche mese condivide con Miriam, che ci accoglie con grembiule da cucina e cucchiaio di legno in mano. Siamo a San Secondo, “quartiere residenziale fin troppo tranquillo”, come ci raccontano. Se non altro si dormirà bene, ci diciamo, anche se non è certo questa la ragione della nostra presenza qui: vogliamo invece approfittare dell'ospitalità fornitaci per visitare Torino, dove non veniamo da molto tempo.

Un po' di riposo dopo l'ottimo pranzo, poi altri portici che ci portano verso il centro e ci fanno sentire un po' come Stefano Accorsi e Libero De Rienzo in Santa Maradona, divertente film girato da Marco Ponti nel 2001 nella città sabauda. Presto ci troviamo nel cuore della vita torinese, ben differente dalla quiete di San Secondo. Leonardo mi racconta che dopo la crisi della Fiat Torino ha cercato di ricostruirsi un'identità puntando molto sulla cultura e sulla “movida”.
Passiamo davanti a due dei più celebri musei torinesi: quello egizio in via Accademia delle Scienze e quello del Risorgimento in Palazzo Carignano, sede del primo parlamento del Regno d'Italia. Raggiungiamo Piazza Castello, piena di giovani, la cui presenza sembra quasi stemperare l'aspetto austero del capoluogo piemontese, conferito dai palazzi imponenti e severi, dalle lunghe vie rettilinee, dalle piazze con i loro monumenti equestri.

I numeri di Fibonacci che si rincorrono sulla Mole Antonelliana ci ricordano Dopo mezzanotte. La seconda citazione cinematografica nel giro di poche righe non è solo un omaggio al nostro conterraneo Davide Ferrario, ma ci aiuta ad introdurre la nostra meta: il Museo del Cinema, grazie al quale il monumento simbolo di Torino ha ritrovato una sua funzionalità. Ci aggiriamo in quello che fu il set principale del film girato dal regista nato a Casalmaggiore: molto interessanti i reperti da archeologia del cinema, ma il museo è soprattutto un'esperienza sensoriale, così come l'ascensore dalle pareti vetrate che porta in cima alla Mole. Peccato solo che la serata non sia meteorologicamente delle migliori. Superga ci appare lontana ed il suo profilo è tutt'altro che nitido. Il cielo su Torino cantato dai Subsonica si conferma fosco: meglio guardare di sotto. Il reticolo delle vie cittadine visto dall'alto è un bel colpo d'occhio e le Luci d'artista danno un tocco in più al panorama serale.
Un piatto di tajarin, una bottiglia di barbera ed un bonet, poi di nuovo nella vita torinese. E' presto però per i Murazzi, la zona della movida notturna che si sviluppa lungo il Po. Ci dirigiamo verso Piazza San Carlo, dove è stato organizzato dal quotidiano locale La Stampa un concerto che vede la partecipazione di alcuni tra i nomi più importanti della vivace scena musicale di Torino, Giuliano Palma & the Bluebeaters e Motel Connection su tutti. Quando arriviamo l'ultima band è appena scesa dal palco. Troppo presto o troppo tardi, in questa serata torinese siamo fuori tempo. Meglio tornare nell'appartamento di Miriam e Leonardo per un bicchiere di San Simone, amaro tipico locale, per chiudere la giornata nel modo più consono. Il finale, per restare in ambito cinematografico, è in dissolvenza.
 

lunedì 4 marzo 2013

Sulle orma dei grandi - 2. Un pomeriggio sull'Altopiano



Treschè Conca (VI), 14/10/2012

E’ già ora di lasciare il caldo e protettivo legno che avvolge la nostra camera e di salutare Isa ed Eugenio. La loro storia la racconta un articolo di giornale appeso nel salotto. Lui viene dai dintorni di Venezia ed ha svolto diversi lavori prima di finire qui, tra cui il produttore discografico (Pitura Freska) e l’allestitore di stand fieristici. L’hobby per la recitazione l’ha messo in contatto con un attore che vive nella valle a fianco e questo l’ha portato a Valmorel. Lei invece è nata ad Urbino ed ha lavorato a lungo nel sociale a Modena. Ora, insieme ad Eugenio, sta cercando di convincere altri abitanti della zona a realizzare un albergo diffuso. Nel frattempo si dedicano alla loro azienda agricola biologica, rifornendo anche alcuni Gruppi di Acquisto Solidale della zona. Da loro acquistiamo un pacchetto di fagioli gialèt (tipicità della zona nonché presidio Slow Food) prima di salutare i gatti che sonnecchiano tra le zucche e rimetterci in moto.

Così come Belluno, anche Feltre è una di quelle realtà italiane a noi sconosciute, di cui finora abbiamo sentito parlare solamente grazie ai racconti di amici e conoscenti nati e cresciuti da queste parti. Raggiungiamo il luogo che un tempo ospitava il mercato del bestiame, come si può vedere dagli anelli ancora attaccati alle mura del nucleo antico della cittadina. Saliamo al centro storico, aggrappato sul Colle delle Capre, tramite la scalinata che si sviluppa attraverso la cinta muraria. La scarsa fama di Feltre non rende giustizia ai suoi bei palazzi, alle loro facciate dipinte con eleganti decorazioni e soprattutto a Piazza Vittorio Emanuele, autentico gioiello. Il Duomo è invece situato appena al di fuori delle mura e ci passiamo davanti mentre andiamo a recuperare la macchina.

Il cartello stradale ci dà il benvenuto nella Spettabile Reggenza dei Sette Comuni. Guardiamo all’insù, in cima all’imponente parete rocciosa, il campanile di Enego, il primo dei sette comuni (che oggi in realtà sono otto). La visuale è eccezionale, ma purtroppo finiamo presto inghiottiti dalle nubi.
Ci fermiamo a Foza. Nella chiesa principale, ricostruita dopo la devastazione della Prima Guerra Mondiale, si trova un dipinto di cui si parla in una delle interessantissime pubblicazioni gastronomiche della collana I mangiari. Nella penombra dell’interno riusciamo a riconoscere l’angelo con lo scoiattolo al guinzaglio e le nocciole sul pavimento, una presenza piuttosto singolare nell’arte sacra. Entriamo in un bar nei pressi della chiesa per uno spuntino. All’interno, un sunto dell’immaginario legato all’Altopiano di Asiago: un gruppo di cacciatori seduto al tavolo accanto a noi che scherza e bestemmia e la cameriera che ci spiega con una punta d’orgoglio che Vűsche – il nome della bruschetta che ho ordinato – è la denominazione di Foza nella lingua cimbra, antico idioma tuttora utilizzato da queste parti.
Riprendiamo la strada, seguendo le orme dei grandi del passato: dopo i sentieri di Dino Buzzati è il turno di quelli di Emilio Lussu, che qui combatté la Grande Guerra, ma soprattutto di Mario Rigoni Stern, che sull’Altopiano ci ha passato non un pomeriggio come noi, non un anno come Lussu, ma praticamente tutta una vita. Il nome dell’Altopiano dei Sette Comuni è indissolubilmente legato alla Prima Guerra Mondiale, tema portante dell’ecomuseo che si sviluppa in tutto il suo territorio. E proprio ad Asiago si trova un grande sacrario, davvero impressionante per l’interminabile elenco di nomi di soldati uccisi nella grande carneficina. Il primo conflitto mondiale ha distrutto non solo tantissime vite umane, ma anche buona parte degli insediamenti dell’Altopiano. Asiago, il più importante dei sette comuni, è stato uno dei centri più colpiti. La ricostruzione ha prodotto risultati tutto sommato apprezzabili, ed oggi ci troviamo in una cittadina turistica di un certo richiamo e caratterizzata dalla presenza di numerosi negozi, tra i quali i gitanti domenicali passeggiano tranquilli.
L’ultima tappa è a Treschè Conca, dove compriamo il celebre formaggio locale e la birra prodotta nella fabbrica di Pedavena, poco distante da Feltre, prima di scendere verso Schio, Valdagno, Montecchio. Ultimi pascoli, ultimi boschi gestiti in maniera comunitaria dagli abitanti dell’altopiano (solo una piccola parte dei terreni infatti è di proprietà privata). Una bella storia da riportare in pianura, in tempi in cui si ricomincia a parlare (finalmente!) di beni comuni.

domenica 3 marzo 2013

Sulle orme dei grandi - 1. Vince chi va piano



Valmorel (BL), 13/10/2012

E’ solo quando al mattino apriamo le imposte che ci rendiamo bene conto di dove siamo. Qui termina la strada: una piccola veranda, il forno a legna, l’orto. Più in là si apre la vallata, interamente ricoperta di boschi, fatta eccezione per qualche casa sparsa in mezzo al verde.
Ieri sera siamo arrivati a Vicenza che era già buio. Incerti sulla strada da prendere, abbiamo seguito le indicazioni stradali: Cittadella, Bassano del Grappa, Feltre… I capannoni a lato della strada, le luci sparse appese alle prime montagne, una pizza con l’Asiago per iniziare ad assaporare il Veneto, l’arrivo a Valmorel a sera inoltrata. Trovare il bed and breakfast nel buio della vallata non è stata un’impresa semplice.
La padrona Isa ci attende per la colazione insieme ad uno dei ragazzi del WWOOF (associazione internazionale che gestisce esperienze temporanee di vita in campagna in cambio di vitto ed alloggio) attualmente presenti nel bed and breakfast. Ci facciamo dare qualche consiglio sulla zona e ci mettiamo in cammino.
Se qualcuno, al di fuori della Val Belluna, ha sentito parlare di Valmorel, è certamente per merito di Dino Buzzati. Lo scrittore bellunese ha pubblicato nel ’73 una serie di illustrazioni, ispirate agli ex-voto che avrebbe visto anni prima nei pressi di una minuscola santella nei pressi della frazione di Limana, nella quale sarebbe giunto seguendo le indicazioni di un quaderno di appunti appartenuto al padre. In questo quaderno, secondo l’immaginazione dell’autore, si narra di improbabili miracoli attribuiti a Santa Rita. Il tratto delle illustrazioni richiama la semplicità e l’ingenuità di certe forme di devozione, dalle sfumature talvolta grottesche. Come sempre accade nella narrativa di Buzzati, realtà e fantasia si confondono: la santella oggi esiste davvero ed è stata realizzata in cima al sentiero dedicato allo scrittore, ispirandosi al suo libro (e con la sua collaborazione).
Il clima fiabesco ci accompagna anche lungo la strada, dove tra noccioli e abeti compaiono di tanto in tanto delle sculture lignee, che rappresentano soprattutto gnomi e animali del bosco. I caprioli incontrati ieri sera da queste parti invece erano in carne ed ossa, ma ora se ne staranno rintanati chissà dove. Vorremmo completare il giro delle malghe ma inizia a piovigginare: rientriamo con le nubi che coprono le vette dolomitiche ma non ci precludono la bella visuale tra boschi, pascoli e case sparse.











Mele a Mel non è solo una manifestazione dedicata alle antiche varietà di mele coltivate in questo tratto della Val Belluna, ma costituisce anche l’occasione per visitare i cortili, le terrazze e gli interni dei bei palazzi di questo borgo situato lungo la sponda sinistra del Piave. Incontriamo anche un artigiano locale che ha ideato una sua versione del gioco dell’oca: vince chi arriva ultimo, o meglio, chi va più lentamente. Non abbiamo dubbi: andremmo forte a questo gioco. E con la nostra calma, guardandoci intorno, lasciamo Mel e ci dirigiamo a Belluno.







Il capoluogo di provincia – ruolo a rischio per via dell’ipotesi di riassetto degli enti locali – si staglia alto sopra la confluenza tra il torrente Adra ed il fiume Piave, le cui acque paiono particolarmente trasparenti. Belluno è linda ed elegante come sanno essere certe città di stampo veneziano. I principali valori artistici sono concentrati in Piazza Duomo, ma vale la pena girare per vicoli e portici, tra palazzi e fontanelle, con lo sguardo rivolto all’insù, tra mansarde, abbaini e bifore.
Il cofanetto che le colleghe hanno regalato a Sara per il suo dottorato comprende anche una cena, che consumiamo in un rifugio ad una manciata di chilometri da Valmorel. Tortelli, polenta, funghi e pastin (una sorta di hamburger speziato) accompagnati da Cabernet. Rientrando tra i boschi riusciamo a vedere distintamente una volpe, che non pare particolarmente turbata dal nostro passaggio, motorizzato ma lento e discreto. In vacanza, vince chi va piano.