Gennaio 2012
In quei giorni avevamo
girato la golena di Torricella del Pizzo in lungo e in largo, dalla Lanca di
Gerole alla località Bosco Piazza. Aree un tempo occupate da boschi molto
estesi (le cronache narrano che vi trovarono rifugio due briganti che
imperversavano tra Motta Baluffi e Torricella nella prima metà dell’800) oggi ormai
raggiunte dall’infinita distesa di monocoltura di mais; l’ultimo drastico
taglio di piante pare sia stato effettuato nella zona umida chiamata Cutarda, in prossimità della Lanca di
Gerole, poco prima che fosse istituita la riserva naturale.
Anche quell’afoso
giorno d’estate, giunti al centro di Torricella, seguimmo le indicazioni Fiume Po, inoltrandoci sempre più nella
golena. Quando la strada sterrata e polverosa si fece troppo sconnessa
parcheggiammo in prossimità dell’unico albero della zona, pregando senza troppe
speranze che l’anoressica ombra della mattinata inoltrata graziasse un poco
Naomi, la mia indimenticata Opel Corsa Swing No Logo.
Proseguimmo a piedi;
ben presto dovetti separarmi dalla mia collega, continuando da solo la
camminata fino a raggiungere un’immensa distesa sabbiosa. Tra lo spiaggione
facevano capolino qua e là arbusti riarsi. Un centinaio di metri alla mia
sinistra, prima del saliceto, tronchi morti di alberi trasportati fin qui
dall’ultima piena fluviale. Altri alberi, apparentemente morti anch’essi,
stavano ritti in piedi; probabilmente l’abbassamento della falda aveva
sottratto l’acqua alle loro radici. La sabbia era solcata da impronte di
volatili e da tracce del passaggio di un quad. Altri segni di gomme, queste più
grosse (probabilmente un trattore) scomparivano nella lanca nel punto dove
questa si faceva più stretta per poi riemergere al di là dello specchio
d’acqua. Tutta quella sabbia fine rifletteva il calore asfissiante e sembrava
si appiccicasse alla pelle, anche se non c’era un filo di vento.
Dire che quello è un
posto dimenticato da Dio e dagli uomini non sarebbe però corretto. La tesi del
passaggio del padreterno potrebbe essere suffragata dalla singolare
toponomastica di questi luoghi, che non si accontenta dei popolari santi
contadini annoverando addirittura la presenza della Isola Jesus. La presenza
umana invece l’ho constatata io stesso. Un anziano signore, che si materializzò
dal nulla ad una cinquantina di metri da me. Un camminatore, un pescatore,
forse il pazzo del paese. Sotto il sole dell’una del pomeriggio di una giornata
di luglio. D’altra parte chissà cos’avrà pensato lui a vedermi girare con
quella strana strumentazione a quell’orario improponibile. Magari che ero un
pazzo forestiero.
Continuai a camminare
fino a raggiungere il corso vivo del fiume Po, che mi svelò la sponda
parmigiana; al di là dei salici stava l’altra Torricella, frazione di Sissa,
quella che un’improbabile teoria vuole fosse un’unica entità con la Torricella
cremonese, separata poi dal mutato corso del Grande Fiume.
Ritornammo al paese
stremati. Cercammo vanamente una panchina e una fontanella all’ombra per
mangiare i nostri panini in pace e ricaricare le borracce con acqua fresca. La
cura nella progettazione delle aree verdi pubbliche lascia sempre più a
desiderare, forse perché le panchine sono viste come roba da extra-comunitari,
forse perché non bisogna bere alle fontanelle ma acquistare l’acqua Vera o San
Benedetto al bar. La cosa mi indispose parecchio, ma nei cinque minuti
successivi ebbi tre visioni che mi riconciliarono con la vita. Un cartello stradale
bianco cerchiato di rosso col triangolo rovesciato, anch’esso rosso, che
racchiudeva la scritta stop; non ne
vedevo da tantissimo tempo dalle mie parti. Un vecchio edificio abbandonato con
uno stretto spigolo alla confluenza tra due vie; sopra la porta la vecchia
insegna di una macelleria. Una cinquecento bianca sull’argine maestro, con a
bordo due vecchietti sulla settantina, uno con fini baffetti e maglia a righe
orizzontali, l’altro con occhiali da sole e camicia bianca sbottonata sul
petto. Fui subito proiettato in qualche posto fuori dal tempo.
Torricella del Pizzo
mi fa quest’effetto, tende a mettermi in un cattivo stato d’animo per poi sorprendermi
con qualche chicca. Come stasera, dopo aver guidato per mezz’ora in mezzo ad un
muro di nebbia che mi isolava dal paesaggio circostante per venire alla celebre
Festa dal Pipen (il piedino di maiale lessato), nello scoprire che il menù
della serata non prevede… il pipen!
Facciamo due passi per il paese, con l’umidità che ci entra nelle ossa,
nell’attesa che arrivi l’ora di cena, quand’ecco che nella nebbia si
materializza una combriccola di amici; è Villa Arzilla al gran completo! Ci
aggreghiamo a loro per una visita guidata ai due musei di Torricella. Si,
perché scopro che qui ci sono ben due musei “totalmente realizzati e gestiti da
privati appassionati”, come mi spiega Ettore, che abita nel vicino paese di
Motta. Il primo è un interessante museo di storia naturale, con una suggestiva
collezione di fossili. Il secondo è un museo di strumenti musicali meccanici.
Vado matto per organetti a manovella e marchingegni simili, ma purtroppo si è
fatto troppo tardi ed il gestore ha appena chiuso. Vorrà dire che adesso avrò
una ragione per tornare a Torricella. In ogni caso ci aspetta la ricompensa;
una cena che si rivela ottima e la comparsa inaspettata di un vassoio di pipen, procurato sottobanco grazie alla
strenua opera di convincimento operata dagli amici di Villa Arzilla!