Aria di neve. Una sensazione difficilmente
descrivibile, eppure inconfondibile. Potrebbe arrivare anche stasera. E pensare
che solo ieri ho inforcato la bicicletta per fare un giro fuori città,
invogliato dal cielo terso che mi ha spinto a sfidare l’aria gelida per
raggiungere la cascina-castello di Terra Amata, poco dopo il Migliaro. Invece forse
domani ci risveglieremo con la città imbiancata, ed i ragazzini faranno a palle
di neve sul sagrato di San Luca, di fianco al tempietto.
La chiesa di San Facio, detta anche del Foppone, è
il biglietto da visita per il centro di Cremona per chi arriva dal Giardino del
Vecchio Passeggio. La grossa cupola svela dietro di sé il Torrazzo, simbolo
della città. Le vie del centro brulicano di vita, e sarà così fino all’ormai
vicina Vigilia di Natale, quando i ritardatari andranno a caccia degli ultimi
regali o di quello che manca per il Cenone. Allora tutto si fermerà. Le campane
richiameranno i fedeli – e non solo loro
– alla Messa di Mezzanotte. Il giorno seguente negli androni dei palazzi signorili
del centro e di quelli popolari della periferia si diffonderà l’odore del
lesso, da accompagnare rigorosamente con la mostarda. Persino il campionato di
calcio tra qualche giorno verrà sospeso, e lo stadio Zini rimarrà vuoto.
Nessuno intonerà cori a supporto dell’U.S. Cremonese, nella speranza che
ritornino, prima o poi, tempi come quelli della vittoria del Trofeo
Anglo-Italiano a Wembley o delle tre stagioni consecutive in Serie A.
Mi piace camminare per le strade secondarie del
centro, specialmente in primavera, quando dalle finestre aperte giunge il suono
dei violini di qualche musicista che si tiene in esercizio. Oggi invece le
finestre illuminate sono ben chiuse, ma se guardo in alto riesco ad intravedere
mobili Ikea, lampade etniche, antiche pareti affrescate, soffitti in legno. I
suoni dall’interno delle abitazioni arrivano più attutiti, compresa la voce di
Mina che canta Bugiardo e incosciente e
che sembra una trovata promozionale per la città, anche se lei, la Tigre, ormai
si fa vedere da queste parti solo occasionalmente.
Lo sguardo corre ancora più su, tra tetti,
comignoli, terrazze ed altane, alla ricerca di dettagli buoni per fotografie in
bianco e nero. La strana torretta di vicolo Chiesa. Le vecchie insegne di
osterie ormai scomparse, come quella dell’Ortaglia (con giuoco delle bocce), dalle parti di Sant’Imerio. Via Porta
Marzia, uno degli angoli più immortalati del centro, il cui nome romantico
deriverebbe però dal poco nobile appellativo di Porta Marcia, dovuto al fatto che un tempo vi venivano buttati gli
scarti del mercato di frutta e verdure. Il Minareto, che compare d’improvviso
negli angoli più svariati della città, della cui esistenza mi sono accorto solamente
in occasione della mia prima salita del Torrazzo. Non è l’unica torre che porta
questo appellativo a Cremona: c’è anche quella della cascina Roncacesina,
vicino a Picenengo. In questo caso non si tratta però di architetture
neogotiche ma di inusuali forme arabeggianti accostate alla tipologia edilizia
rurale cremonese più classica.
Ritorno nelle vie più trafficate. La mia città,
come dice qualcuno, è in realtà un grosso paese: incontrerò senz’altro qualcuno
con cui fermarmi a bere un caffè. Sotto Natale infatti torna a riempirsi di
tutti quelli che sono andati a lavorare o a studiare altrove e che rientrano in
occasione delle Feste. Già, perché anche Cremona, nel suo piccolo, è terra di
emigrazione, specialmente per i giovani laureati. Da qui, nel ricco Nord, si
deve spesso partire, per trovare un lavoro, fosse anche per le città più grandi
che si trovano nelle vicinanze, che a raggiungerle con i malridotti treni dei
pendolari non sembrano più così vicine.
Dunque verrà presto il tempo dei brindisi con gli
amici ritrovati. Di cene e pranzi coi parenti che magari vedi una volta l’anno,
del bisèt, della gallina ripiena e
del torrone. Dei preparativi per l’Ultimo dell’Anno. Ma anche del primo lunedì
dopo l’Epifania, quando già cominci a desiderarla, quell’ancora lontana, nuova
primavera.