Luglio 2011
Tra i comuni della
provincia, Malagnino, a causa principalmente della vicinanza del capoluogo, è
uno di quelli che ha maggiormente risentito dell’urbanizzazione degli ultimi
decenni. Arrivo da Cremona percorrendo la Via Postumia: il fenomeno non si è
ancora arrestato. Nuove villette a schiera sono state quasi ultimate, in
continuità con le lottizzazioni precedenti. Lo sviluppo del paese è ordinato,
non vi sono edifici particolarmente impattanti e nel corso degli anni si sono
consolidati alcuni servizi di base che fanno si che Malagnino non sia un
semplice dormitorio, anche se la stragrande maggioranza degli abitanti continua
a gravitare sulla città di Cremona.
E’ metà mattina, ed è
una giornata di sole. Eppure sento un vago senso di insoddisfazione. Cosa c’è
che non va?
C’è che non trovo le
strade contorte, le case diroccate, le santelle. Non trovo la storia. Il nucleo
antico di Malagnino consiste in qualche sparuta cascina. Manca persino la
chiesa, e questo, anche in un “laicaccio” come me, causa un inaspettato
disorientamento. Provo allora nella frazione di San Giacomo Lovara.
Qui la chiesetta c’è,
e ci sono un paio di cascine. Il resto sono villette, e una zona artigianale
lungo la Via Giuseppina. Imbocco la provinciale verso l’altra frazione, San
Michele, che mi si presenta sulla sinistra poco dopo la grossa bottiglia di
acqua minerale Sant’Andrea, una presenza pubblicitaria che mi ha sempre colpito
fin dall’infanzia, tanto che nella mia mente la Giuseppina era “la Strada della
Bottiglia Gigante”.
Anche a San Michele
le testimonianze del passato non sono molte; ricorderei giusto la chiesa
parrocchiale. Per ritrovare la storia del territorio di Malagnino occorre
inoltrarsi nel paesaggio agricolo e andare per cascine. Lo faccio con una
collega che abita da queste parti, fatto che mi consente di intrufolarmi nelle
aie e curiosare qua e là.
A Casalmalombra non
troviamo nessuno ma riesco a dare un’occhiata da fuori alla chiesetta e alla
casa padronale. A Sette Pozzi invece il padrone c’è, e ci mostra un’antica
ghiacciaia in mattoni a pianta circolare di fianco al portico della sua
abitazione. La corte adiacente è stata recentemente oggetto di un intervento di
recupero; gli ultimi appartamenti devono ancora essere venduti, come dice il
cartello di fianco al portone.
A Santa Lucia Lama
fotografo il bell’affresco sopra il portale, mentre di Visnadello purtoppo non
rimane molto. La Malongola colpisce per la forma inusuale della pianta, ma
soprattutto per un particolare porticato con archi a sesto acuto. Poco distante
si trova Villa Cavalcabò, con il bel giardino cinto da un muro in mattoni che
fa da cornice al palazzo padronale; una presenza architettonica di pregio e ben
conservata, anche se purtroppo la retrostante Ca’ de Marozzi è in condizioni
ben peggiori.
Malagnino è un paese
impeccabile; consuma suolo ma con garbo, e persino la discarica riesce ad
essere una presenza quasi discreta. Ci si arriva da Ca’ de Marozzi, proseguendo
fino al Cassinetto, una piccola corte ormai disabitata ed inglobata nell’area
della discarica. Le tapparelle abbassate per sempre mettono una certa
tristezza, così come i gabbiani che volteggiano intorno. Questi uccelli sono
più malinconici di quelli che volteggiano sul mare d’inverno nel famoso pezzo
di Enrico Ruggeri.
Dopo la visita alla
discarica ho bisogno di qualcosa che mi riconcili con il territorio e che mi
dia un’idea di natura. Ca’ de Alemanni, azienda biologica e fattoria didattica,
può essere il luogo che fa al caso mio. Entro con l’intento di comprare qualche
formaggio, poi rimango incantato dai bambini di una scolaresca che strillano
guardando gli animali. Resto a guardarli per un po’, finché non raggiungo la
giusta sintonia con l’ambiente. Poi riparto; i formaggi di Ca’ de Alemanni li
vendono anche al negozio dove vado a fare la spesa di solito, e siccome devo
stare in giro ancora un po’ e fa piuttosto caldo è meglio non acquistare adesso.
Dalla cascina Ronco
Grasselli ero già passato un paio di anni fa, quando i lavori di
ristrutturazione erano appena iniziati; vedo che siamo ormai in dirittura
finale. L’intervento esternamente sembra stato realizzato con un certo gusto.
Il giardino interno è un po’ pretenzioso, ma se non altro la corte interna non
è stata smembrata in tante piccole proprietà ed ha mantenuto la funzione di
luogo di socialità. Peccato però per i quattro ulivi agli angoli del giardino,
decisamente poco padani, che oltretutto dal diametro del tronco non sembrano
certo provenire da un vivaio; temo invece che siano stati espiantati da qualche
uliveto pugliese.
Passo tra le
interessanti cascine Vigolo e Vigoletto e arrivo alla cascina Cervellara, dove trovo
i proprietari che mi fanno entrare e mi mostrano l’interno di quello che fu il
set di diverse scene del film La febbre,
l’omaggio che il regista Francesco d’Alatri ha fatto alla città di Cremona. Qui
Fabio Volo trovava rifugio dopo aver mollato tutto. Mi raccontano qualche
aneddoto delle riprese. Ci sono anche i cani, gli stessi del film.
Quello realizzato da
Fabio Volo ne La febbre è qualcosa di
simile a quello che sognano parecchie persone che conosco. Alcuni episodi di
recupero abitativo di cascine storiche qui a Malagnino sono già stati
effettuati, anche se in maniera differente rispetto a quello che vorrebbero
loro. Gli interventi realizzati tendono ad inseguire la tipologia della
villetta a schiera; credo sia quasi inevitabile. Il mondo contadino delle
cascine cremonesi non esiste più, ma se non altro in questo modo si evita altro
consumo di suolo. Ipotesi alternative di recupero, già realizzate da altre
parti, sono orientate sulle funzioni sociali. Più difficile al momento il
recupero da parte di gruppi di privati cittadini nell’ottica di un ritorno alla vita
comunitaria ancora allo stato embrionale nella coscienza collettiva.
Malagnino è questo:
ciò a cui tanti cremonesi ambiscono. La villetta a schiera con giardino e
l’idea di vivere in campagna. La cascina ristrutturata nel nome di una vita più
a contatto con la terra. E la città lì a portata di mano, col Torrazzo ben
stagliato all’orizzonte, rassicurante.
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