Luglio 2011
Lo
stabilimento caseario abbandonato della Larc, in località Botteghe di
Longardore, ci dà il benvenuto nel territorio di Sospiro. Un nome che,
nell’immaginario locale, è sinonimo di “paese dei matti” per via della presenza
della Fondazione Sospiro, sorta a fine ‘800 con l’obiettivo di fornire cure
adeguate dapprima ai malati poveri e successivamente ai casi di demenza.
Camminando per il paese si incontrano frequentemente gli ospiti del centro,
intenti a passeggiare tra la chiesa di San Siro, quella più piccola di San
Giacinto e Villa Cattaneo, scenografica villa patrizia neoclassica situata di
fronte al Municipio, oggi sede della Fondazione. Una sorta di strano equilibrio
tra gli abitanti del paese e gli ospiti del centro regna su Sospiro. Oggi il
complesso dell’Istituto Ospedaliero Sospiro ospita più di 700 persone (numerosi
anziani e disabili sono alloggiati anche nei nuovi edifici poco distanti da Villa
Cattaneo); una presenza significativa rispetto alla popolazione del comune
(poco più di 3000 abitanti insediati tra Sospiro e le sue frazioni).
Da Villa
Cattaneo, proseguendo lungo via Garibaldi, si incontrano le indicazioni per
Tidolo. E’ però più pittoresco l’arrivo dalla Strada Provinciale Bassa di
Casalmaggiore: una vecchia schiera di case si para davanti al viaggiatore, e
proprio in fondo alla strada, sopra un androne che introduce in una corte, un
vecchio cartello riporta il nome del paese. Tidolo: una fila di case, la chiesa
di San Marco, il campetto da calcio con l’erba ormai alta, un’area attrezzata
per bambini piuttosto minimalista, il bar. Già, a Tidolo sopravvive un bar,
vintage quanto basta per non stonare con l’ambiente circostante: le perline
alla porta d’ingresso e le “arelle” alle finestre, l’insegna di rivendita sali
e tabacchi e quella di posto telefonico pubblico, la citazione mussoliniana in
parte ancora leggibile sulla facciata, la bacheca per gli avvisi, l’odore che
si respira nella penombra dell’interno, i boccioni in vetro per le caramelle,
l’attesa dell’arrivo dell’anziana signora dietro al bancone…
Fu proprio
dalle parti di Tidolo che un agricoltore di buon cuore venne in mio soccorso
trainando col suo trattore la mia automobile, finita in una cunetta sul ciglio
della strada nascosta dall’erba alta. Incidenti che possono capitare a chi gira
per il territorio frequentando le strade secondarie e gli sterrati. Chissà
perché, non mi venne in mente di chiamare i miei parenti agricoltori in quel di
Ca’ del Brolo, poco fuori Sospiro.
A Ca’ del
Brolo c’ero stato pochi giorni prima. “Vieni, entra da questa parte” mi disse
Olivana, cugina di mio padre, dopo avermi messo a fuoco: non si immaginava
certo di vedermi comparire tra la polvere dello sterrato a quell’ora del
mattino. “Tuo padre entrava sempre per di qua”, e mi fece strada. Mi fermai
giusto il tempo per scambiare due parole e bere un bicchiere d’acqua con lei e
il marito, che però era in un momento delicato. “E’ appena nato un vitellino”,
mi spiegò. Lo lasciai tornare alla stalla e percorsi a ritroso la strada
sterrata che porta alla via Giuseppina.
Le cascine del
territorio sospirese le ho girate tutte. Nei pressi di Tidolo, nella cascina
chiamata dalle vecchie carte Casa Emilia, ha sede l’azienda agricola biologica “Noi
e la Natura”, con il proprio allevamento avi-cunicolo: alla signora Pierangela
e ai suoi collaboratori va il merito di avermi fatto apprezzare la carne di
pollo, che avevo sempre snobbato avendo mangiato per lo più prodotti da
supermercato. Un’altra azienda biologica era situata poco distante, nella
cascina Orezoletta; è un po’ che non passo da quelle parti e non so se
l’agriturismo sia ancora attivo. Ogni tanto acquistavo il loro formaggio di
capra al mercatino biologico di Cremona del sabato mattina. Anche a Sospiro poi
sono presenti cascine ormai abitate solamente da una o due famiglie, ma che un
tempo ospitavano delle comunità pressoché autonome. Alcune di queste avevano
anche la chiesetta, come Casaletto Nadalino, raggiungibile tramite una stradina
poco battuta che collega Sospiro con la frazione di Longardore. Il premio per
il nome più poetico invece va alla cascina Bruciacuore, a lato della strada che
da Longardore porta a via Postumia (estremità settentrionale del territorio
comunale), in prossimità delle località Bicocca e Ca’ Turchetta.
Le cascine di
Sospiro sono la testimonianza della storica vocazione agricola di questo tratto
di pianura, una vocazione che qui come altrove si è tramutata in una rincorsa
alla massima produttività, con accorpamento dei piccoli poderi ed eliminazione
del reticolo di siepi e filari che ne costituiva la delimitazione. Da
segnalare, in questo contesto, l’attività di gruppi come El Muròon, attivo in
paese da circa una ventina d’anni, che si occupa anche di piantumare lembi di campagna
con essenze autoctone.
Il giro per il
territorio sospirese si conclude a San Salvatore. Oltre la zona produttiva di
via Giuseppina, dominata dall’insediamento dell’industria chimica SO.G.I.S., si
nasconde questo piccolo centro, che ha conosciuto lo spopolamento tipico di
queste realtà. Oggi la popolazione di San Salvatore conserva una consistenza
numerica tutto sommato discreta: i servizi essenziali però sono quasi tutti
scomparsi, anche a causa della vicinanza del capoluogo comunale.
L’ultima bottega
di San Salvatore ha definitivamente abbassato la saracinesca qualche tempo fa,
ma l’interno è rimasto come un tempo. Ce lo mostra Alvise Chiesa, l’ultimo
fornaio del paese, che ha proseguito l’attività per alcuni anni dopo la morte
del fratello Gino. Tutto è ancora al suo posto: i recipienti per i prodotti
sfusi dietro al bancone, la vetrina che ospitava salumi e formaggi, la
bilancia, l’affettatrice, il forno a carbone… Al primo piano ci sono ancora le
camere dove Alvise ha trascorso tutta una vita, affacciate da un lato sulla
centralissima via Mazzini e dall’altro sulla corte che è stata un po’ il cuore
pulsante del paese per lunghi anni. “Ci sono state anche cinque balere in
paese, e una proprio in questo cortile”, ci racconta Alvise. Il negozio di famiglia
fu non solo panetteria, ma anche tabaccheria e osteria. Nelle sere d’estate in
cortile si ballava e si giocava a quarantotto, un gioco simile a quello delle
bocce, di cui mi faccio spiegare il regolamento.
Ritorniamo nel
locale che ospita il forno: nel frattempo ci hanno raggiunto gli amici di
“Villa Arzilla”, come amano chiamarsi tra di loro. Alle pareti sono attaccati
gli articoli dei quotidiani locali che parlano della storia di San Salvatore,
raccontando di un inevitabile ed inarrestabile declino. Ma la malinconia dura
poco: una pastasciutta improvvisata, qualche bottiglia di Lambrusco e Fortana,
e Alvise e i suoi amici, quelli di sempre, si lasciano andare ai loro racconti
coloriti che rendono frizzante anche la rievocazione dei tempi andati. Questo è
il loro covo: qui si tengono cene memorabili, letture di poesia, lezioni
storiche e rappresentazioni teatrali. In occasione di una delle ultime serate,
alla quale ho avuto la fortuna di presenziare (insieme ad almeno un’altra
cinquantina di persone), lo spettacolo allestito da “Villa Arzilla” prevedeva
l’entrata in scena di un’ambulanza: quella sera, al suono della sirena, si
sparse per il paese la voce di un malore del nostro Alvise. Buon per lui: certe
cose si dice che allunghino la vita.
Nella notte
ripercorriamo idealmente le sex pilae,
probabile riferimento a sei colonnette militari che separavano Sospiro da
Cremona e che la tradizione vuole siano all’origine del toponimo del paese
cremonese. Per un attimo pensiamo ad Alvise, a come deve essere ritrovarsi
improvvisamente soli nel silenzio della corte, nel negozio vuoto, nelle camere
disabitate, dopo una serata trascorsa in allegria tra battute e risate. Ma è
solo un istante: quando si parla di Villa Arzilla, ripeto, la malinconia può
arrivare all’improvviso, ma dura pochi attimi, ed altrettanto improvvisamente
se ne va. Chissà, forse i proverbiali matti di Sospiro non sono a Villa
Cattaneo, ma a Villa Arzilla, nel cortile di Alvise, dove passano le serate
mangiando, scherzando ed organizzando i prossimi eventi goliardici. Se così
fosse, c’è da augurarsi di perdere totalmente la ragione anche noi, al più
presto.