Supetarska Draga, 17/8/2012
Stamattina abbiamo comunicato a Puče la nostra
decisione: questa sarà la nostra ultima giornata a Rab. Lui l’ha accolta alla
sua solita maniera: alzando le braccia ed esclamando “No panic!”. Mi sono
risolto a ricorrere al mio scarso vocabolario croato per comunicare con lui,
che parla solo qualche parola di tedesco oltre alla lingua madre.
Iniziamo la giornata con l’ascensione al Kamenjak,
che con i sui 408 metri è la vetta più alta dell’isola. Si sale attraverso la
macchia mediterranea, tra ginepro, cespugli di timo, rovi e qualche sparuto
alberello. Qua e là, ripari ed abbeveratoi improvvisati per capre e pecore - la
loro presenza è evidente, anche se noi ne incontriamo poche lungo il nostro
cammino – e muretti a secco o recinzioni realizzate con materiale di recupero a
delimitare i “pascoli” (si tratta più propriamente di pietraie tra le quali fa
capolino qualche arbusto; ci chiediamo cosa mangino, questi animali). Per
raggiungere la cima percorriamo una strada carrabile: ci sorpassano auto di
turisti e mezzi locali, berline tirate a lucido e Zastava senza targa con il
bagagliaio spalancato.
Dalla vetta la vista spazia sulla terraferma,
sulla città di Rab, sulle isole di Pag, Krk, Cres e Lošinj. Proprio da Krk,
pochi giorni fa, ci è arrivato un sms di Miriam, sconfortata per la ressa che
ha trovato sull’isola. Probabilmente in questo momento lei e Leo stanno
muovendo verso Cherso.
Questa linea diretta non è solo con loro, ma anche
col nostro recente passato. L’anno scorso infatti guardavamo le isole di Arbe e
Pago dalla spiaggia di Stara Baška o dall’abitato di Lussingrande. Oggi ci
guardiamo alle spalle per qualche istante, poi decidiamo di ripartire, anche
perché il continuo ronzio dei ripetitori telefonici sopra le nostre teste ci
rammenta che probabilmente stiamo aumentando significativamente il rischio di
contrarre patologie letali per il nostro cervello.
Scendiamo attraverso il sentiero, più ombreggiato
ed interrotto continuamente da porte improvvisate in corrispondenza del confine
tra i vari appezzamenti. Ogni porta ha un suo metodo di apertura e più volte
siamo costretti ad ingegnarci alla ricerca della soluzione, in quella che
sembra una via di mezzo tra un gioco di logica ed un videogame agreste. A farci
compagnia c’è un bel gatto bianco e grigio, sbucato dal nulla nel bel mezzo del
bosco. Sembra che ci segua, ma quando ci fermiamo titubanti davanti ad un
bivio, incerti sulla strada da prendere, il nostro nuovo amico ci passa davanti
precedendoci lungo il sentiero ed indicandoci la retta via che ci porterà a
casa (la sua) e alla macchina (la nostra).
A Barbat facciamo un bagno e ci fermiamo a
mangiare all’ombra, in un bar a due passi dal mare con vista sul fronteggiante e
disabitato isolotto di Dolin: i pesciolini fritti sono deliziosi. Mi concedo
anche una Rapska Torta (torta di Arbe), specialità locale a base di mandorle ed
arancia.
Scendiamo la costa di un paio di chilometri,
giusto per uscire dall’abitato di Barbat. Dopo aver parcheggiato, attraverso la
macchia – interrotta solo da un paio di vigneti – raggiungiamo il mare,
riposandoci all’ombra di un albero coi rami protesi verso l’acqua, cullati
dalle onde. La pace è interrotta solo dalle barche a motore (il canale che
divide Rab da Dolin è largo solo qualche centinaio di metri e molte piccole
imbarcazioni dirette alla città di Rab passano di qui).
Ceniamo a base di pane e pašteta, paté tipico dei
paesi della ex-Jugoslavia, dopodiché facciamo due passi a Rab per gustarci una
kremšnita. La giornata si conclude poi con una Radler, il mix di birra e bibite
alla frutta (solitamente aranciata o limonata) che negli ultimi anni va forte
in Croazia: tutte le più popolari marche di birra balcaniche ormai propongono
intrugli di questo genere. Sorseggio la mia Laško Orange dal terrazzo della
nostra camera, guardando per l’ultima volta questo spicchio di mare.
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