Rocca
d’Ajello (MC), 22/4/2018
Poggiamo i piedi nudi sui ciottoli
fini della spiaggia di Fano. Rieccolo di fronte a noi, il mare. Ben
ritrovato Adriatico, con i gitanti domenicali sparsi qua e là che
pranzano al sacco o si appisolano... come
succede a
Sara. Io sonnecchio un po’, poi faccio due passi sul lungomare
aspettando che si svegli. A dire il vero non vedo l’ora di risalire
in macchina e percorrere quelle poche centinaia di metri che ci
riporteranno oltre la ferrovia, parcheggiare al margine del centro
storico e fare un giro in questa città che, nel corso degli anni, mi
sono sempre lasciato
scorrere
davanti agli occhi in lontananza e di cui tanto
mi hanno parlato vari amici
che qui sono nati o vi hanno
vissuto (di loro parleremo nelle prossime puntate).
Rinunciamo
alla
moretta fanese, un caffè molto
zuccherato ed addizionato di anice, brandy e rum. Si
dice fosse nato per dare forza ai marinai del porto, ma
noi non siamo marinai, e poi è il
primo pomeriggio, e nel bar di via Taffi dove facciamo sosta ci
limitiamo ad un caffè normale.
Raggiungiamo la Rocca Malatestiana,
dove vengono spesso organizzate delle mostre (purtroppo
non oggi). Lo spazio
circostante ha delle potenzialità, ma non è particolarmente tenuto.
Ritorniamo sui nostri passi e deviamo per la Pinacoteca, la
Cattedrale e l’Arco di Augusto. Le tracce romaniche a Fano sono
molto presenti, ma per le vie del centro scopriamo anche una chiesa
ortodossa. “Non è cattolica quella… Dovete proseguire per altri
cento metri” ci dice il classico vecchietto marchigiano che si
improvvisa guida turistica, figura ricorrente in queste cittadine,
per quanto
generalmente non invadente. “A meno che non abbiate di meglio da
fare che andare per chiese, visto che siete giovani”. Siamo così
giovani che dopo la visita al chiostro di San Francesco ci fermiamo
nella centrale piazza XX Settembre a cimentarci con dei giochi
antichi. La piazza è teatro di una di quelle iniziative tipo “giochi
di una volta”. Dobbiamo
indirizzare verso un buco, situato all’estremità opposta di un
tavolino in legno, una pallina tenuta in equilibrio su due fili
convergenti. Terminata la
sfida con un mesto 0-0 torniamo alla macchina. Lasciamo
così Fano, città del Carnevale più antico d’Italia e della
fortuna. Speriamo sia di buon auspicio.
Ci affidiamo al navigatore, che col
senno di poi ci fa fare un percorso alquanto improbabile, ma
suggestivo, tra le colline marchigiane. Ci viene anche voglia di
fermarci a Cingoli, ma non c’è tempo. Ci aspettano a Rocca
d’Ajello, frazione di Camerino. Arriviamo verso le 19, accolti da
Diego e Beate. La scelta del posto è stata casuale: avevamo un buono
per un’iniziativa nei monti Sibillini, ma solo dopo aver prenotato
la camera ci siamo resi conto che il calendario della cooperativa di
guide che organizza le escursioni non prevedeva nulla di fattibile in
questi giorni. Ormai però ci eravamo messi in testa di tornare nelle
Marche: il nostro “buono solidale” (proposta per rilanciare
l’attività turistica nelle zone colpite dal sisma un anno e mezzo
fa) ce lo giocheremo in un altro momento.
Inizialmente avevamo preventivato di
pernottare più
a sud, da alcune “conoscenze indirette” (giusto un paio di gradi
di separazione), ma era un
po’ troppo
lontano, così anche in
questo caso i programmi sono stati modificati. Avremo
fatto la scelta giusta? A tavola mi rispondo subito: sì. Lo
spezzatino di capriolo con le pere si scioglie in bocca, il vino di
Matelica è buono e i tozzetti (biscotti simili ai cantucci ma
aromatizzati all’anice, da intingere nel vino o nel vincotto) sono
degna conclusione.
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