L’Aquila, 6/8/2013
L’Aquila stamattina è piuttosto trafficata,
complici anche le recenti modifiche alla viabilità. La vita quotidiana si è
spostata al di fuori del centro storico, nei quartieri periferici, nei centri
commerciali e nelle abitazioni del progetto C.A.S.E., realizzate, secondo
quanto denunciato dal collettivo 3:32 (l’ora del sisma che ha scosso la città
il 6 Aprile 2009), senza preventivamente adottare un criterio preciso per
stabilirne la localizzazione. Alcuni urbanisti hanno anche fatto notare che
sono stati creati dei “vuoti” tra il tessuto urbano esistente e le nuove
abitazioni, possibile presupposto per ulteriori future urbanizzazioni. Si ha l’impressione
che si sia approfittato del terremoto per spingere L’Aquila in una condizione
estrema, verso la quale però si stanno orientando, più lentamente, tutte le
nostre città: lo svuotamento dei centri storici a favore di periferie
spersonalizzanti ed imperniate sul consumismo. Impressione in parte confermata
dalle intercettazioni dei loschi personaggi che se la ridevano alle spalle dei
terremotati, pensando agli affari derivanti dalla ricostruzione. A tutto ciò si
è aggiunto, nel periodo della tendopoli, un esagerato controllo da parte delle
autorità, ben raccontato in documentari come Comando e controllo.
Dall’Aquila raggiungiamo il lago di Campotosto,
attraversando paesaggi sempre più aspri e selvaggi nei quali greggi di ovini e
mandrie bovine pascolano tranquillamente. La vegetazione torna più rigogliosa
lungo le sponde del lago, che percorriamo quasi per intero, tra spiazzi erbosi
pieni di tende, caravan e camper ed il suono di un organetto che improvviso
interrompe il silenzio. Ci fermiamo a Campotosto, in una gradevole commistione
tra turisti ed abitanti. Partiamo per un trekking ma dopo mezzoretta di cammino
sbagliamo strada. Ci fermiamo a riposare nei pressi di una cascatella e
riprendiamo il cammino, ricongiungendoci con il sentiero segnalato. Ma non è
una giornata fortunata, almeno dal punto di vista climatico: la luminosa vista
sul Gran Sasso dura poco, poi la pioggia improvvisa ci induce al rientro.
Stasera ci sono ospiti a cena: una coppia di amici
napoletani trapiantati all’Aquila e Sergio, che come noi ha approfittato di
qualche giorno di vacanza per venire a trovare Mario ed Elena. Vive a Pisa ed
ha conosciuto gli altri amici nei mesi successivi al terremoto, quando è venuto
qui come volontario. L’atmosfera è davvero gradevole, ma di tanto in tanto
riemergono i ricordi di quell’evento che, nella vita della città, ha segnato un
“prima” e un “dopo”. Per qualche istante si gela il sangue, poi si fa spazio la
rabbia, nel sentire del trattamento che troppo spesso è stato riservato ai
terremotati nelle tendopoli. Ma è l’ironia a salvare gli aquilani, almeno
quelli che siedono alla nostra tavolata, e alla fine ci scappa sempre una
risata. E’ strano, penso, come la tragedia abbia creato una concatenazione di
eventi che ci ha portato tutti qui, seduti su questa terrazza. Respiro i legami
che si sono creati – o rafforzati – alla faccia del terremoto. E’ il calore di
serate come queste a fare di un edificio una casa.
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