Il
buio mi coglie di sorpresa, mentre sto camminando per via Ermelinda Tinti. E’
un buio strano, quello che mi trovo di fronte appena uscito dal doppio fornice,
diverso da quello punteggiato di luci intorno alla città, da quello rischiarato
dal bagliore dei lampioni delle vie del centro, da quello assoluto della
campagna nelle notti senza luna. Il buio che cade tra le braccia della nebbia,
che si è diradata un poco giusto all’ora di pranzo ma è prontamente ridiscesa
in tempo per attenderlo, è un buio irreale, forse malato, luminoso a suo modo.
L’umidità mi penetra nelle ossa, i capelli si fanno crespi e bagnati. Con lo
sguardo cerco qualcosa che mi dia un’idea di calore; mi accontento della
radiale – denominazione prettamente cremonese dell’autobus urbano – parentesi
arancione nel grigio-blu. Colgo qualche sguardo dai finestrini del mezzo
semivuoto: anziane sole con la borsa della spesa, ragazze africane che si
accarezzano le treccine, un paio di adolescenti diretti forse in qualche
quartiere periferico dove i palazzi finiscono nei campi divorati dalla nebbia:
Cambonino, Maristella, Zaist…
E’ dura abituarsi al
ritorno dell’ora solare, ma è pur sempre sabato pomeriggio. In autunno i fine
settimana ricordano quelli dell’adolescenza. D’estate è diverso, si esce quasi
tutte le sere e si tira tardi anche se il giorno dopo si va a lavorare. Negli
altri mesi dell’anno non è così, ed il sabato sera rimane sempre carico di
aspettative, anche se non c’è più la dirompente carica dei sedici anni che
sicuramente sta spingendo i due ragazzini sulla radiale a discutere del
programma della serata, delle amichette con cui provarci o delle feste in cui
imbucarsi per prendersi una sbronza colossale. Così, se ieri sera mi portavo
addosso ancora un po’ della stanchezza della settimana, oggi me ne sono stato
in casa a riposare, ed ora sono nel pieno delle mie forze.
E’ bello sentirsi
protetti dalla coltre di nebbia, avvolti dal riverbero del torpore autunnale.
Il fatto di non vedere nulla oltre questi pochi metri davanti a me rende tutto
più intimo. Le vie del centro non sono ancora state invase dalle luminarie
natalizie, che ogni anno cercano di anticipare sempre di più le feste, e la
Festa del Torrone slitta indietro di qualche giorno, nell’illusione che dalle
tasche sempre più vuote dei cremonesi escano sempre più denari da immolare
all’altare del Consumo. Il Natale è la nostra prossima meta, ma ogni cosa a suo
tempo, e questo è il tempo della malinconia autunnale, del tappeto di foglie
gialle e rosse nel giardinetto di Largo Paolo Sarpi e della nebbia che fa si
che mi renda conto di essere arrivato in via Aselli solo perché è terminato
l’asfalto e comincia il pavimento lastricato.
In questa atmosfera
raccolta viene voglia di infilarsi in una delle tante chiese di Cremona, che
sono solo una piccola parte di quelle presenti un tempo, elencate nel libro di
Luciano Dacquati intitolato 101 altari
scomparsi: il compianto studioso racconta che gli edifici religiosi erano
moltissimi (anche se i bordelli non erano da meno; noi italiani siamo così). La
maggior parte dei turisti in visita a Cremona si limita ad entrare in Duomo e a
scattare qualche foto, ma varrebbe la pena di fare un bel tour delle chiese
cremonesi, a partire da San Sigismondo, una perla incastonata nell’omonimo
borgo, quartiere periferico dell’estremità est della città, in una zona
paesaggisticamente molto bella ma deturpata dalla sciagurata pianificazione
territoriale cremonese che l’ha chiusa tra la discarica e l’inceneritore da un
lato e l’Ospedale Maggiore e il carcere di Ca’ del Ferro dall’altro. La
presenza delle monache di clausura ha limitato la visitabilità del chiostro ad
occasioni particolari, ma la chiesa è sempre accessibile ed è considerata la
seconda della città in ordine di importanza al pari di San Michele, a due passi
da Porta Romana. Ma nel centro cittadino ce ne sono in abbondanza, di chiese
degne di nota: Sant’Agostino, che risulta ancora più imponente nella piccola
piazza acciottolata, San Pietro a Po, che deve il suo nome alle acque del
Grande Fiume che un tempo ne lambivano il sagrato, Sant’Abbondio, “una delle
sette chiese” (come si legge sulla facciata). Cremona, città della musica, tra
qualche settimana aprirà le porte delle sue chiese ai concerti natalizi: Santa
Lucia, nei pressi di Porta Po, la graziosa San Bassano, nei quartieri della
Leggera raccontata da Danilo Montaldi, Santa Maria Maddalena, riaperta da
qualche anno grazie ai volontari del Touring Club Italiano.
Finisco proprio in
Piazza Sant’Agostino mentre tre ragazzi entrano al Fico. Si è fatta ormai l’ora
dell’aperitivo. In questo momento Piazza della Pace inizierà a riempirsi, anche
se si sta fuori giusto il tempo di una sigaretta, poi subito dentro la
Tisaneria o in uno degli altri locali. Ho voglia di fare una serata come non mi
accade da molto tempo: entrare al Chocolat a bere un aperitivo, raccogliere
qualche amico ed andare a cena da qualche parte. All’osteria Garibaldi, per
esempio, a provare gli esperimenti culinari del cuoco Paolo, tra tradizioni
locali e sapori del resto del mondo. O da Mellini, il cui ingresso, quasi nascosto
tra le abitazioni, ne fa già pregustare la cucina casalinga. Oppure da Cerri,
per assaggiare il rinomato stinco ed altre tipicità cremonesi. Oppure ancora al
Bissone, la storica osteria del centro, che ancora offre un’ottima cucina.
Certo la Cremona di Ugo Tognazzi non esiste più, e nelle osterie non si va più
per suonare la chitarra e tirare tardi davanti a qualche bottiglia di vino.
Bisognerà inventarsi qualcos’altro per il dopo cena: magari si può fare un
salto dagli amici del circolo Arci di via Speciano e ascoltare della buona
musica. E’ sabato sera, anche in mezzo alla nebbia. Anche d’autunno. Anche
nella nostra tranquilla città.
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