sabato 13 agosto 2011

C'è da fare

Cammino tra orto e giardino. C'è da raccogliere ancora un po' di zucchine e cetrioli; quest'anno sono quelli che mi hanno dato più soddisfazione. E poi ancora un po' di fichi prima della partenza. Il fico non mi delude mai, e la marmellata preparata con una ricetta salentina trovata in rete si è rivelata un esperimento ben riuscito.
Ci sarà da finire di liberare la mia vecchia casa, ora che devo lasciare definitivamente Grumello. D'altra parte lo diceva anche Cesare Pavese che un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Da quasi tre anni ormai si vive in uno stato di trasloco permanente, da quando ci siamo spostati nel nostro primo indirizzo comune di Via Volturno 37 (cha ha dato nome al blog che ora state leggendo nel suo restyling estivo).
Ci sarà da trovare un pezzo di terra, perchè anche un'orto ci vuole. Ci sarà da trovare un posto dove vivere e pensare che potrebbe essere per sempre. Ci sarà da continuare a sbarcare il lunario, tra lavori e lavoretti.
C'è da fare, c'è da fare, c'è sempre qualcosa da fare, come cantava Giorgia. Ma questo è il tempo del viaggio estivo. Tra pochi giorni partiremo per un viaggio tra Quarnaro ed Istria, attraverso le isole più settentrionali della Croazia. Dopo quattro anni, i Balcani ci chiamano di nuovo. Allora un augurio estivo che mi viene in mente al pensiero del mare croato, con le parole di Sandro Penna:

Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo
di gioia. E tutto è calmo.

venerdì 12 agosto 2011

Comune

Nelle ultime settimane il blog si è occupato del territorio cremonese; niente paura, torneremo molto presto a varcare i confini provinciali. Per oggi però rimaniamo in ambito locale, con Duemilaventuno, il pezzo che VG ha pubblicato sull'ultimo numero di Lapisvedese intitolato Comune. Chissà, forse il racconto, se fosse stato scritto dopo il 13 giugno, avrebbe avuto tenore diverso... Ora invece l'esito del recente referendum ci fa essere un po' più ottimisti per le prossime battaglie. Già, perchè la lotta in difesa dei beni comuni è appena iniziata... Dopo l'acqua, la terra!

domenica 7 agosto 2011

Grumello Cremonese - Vorrei scrivere qualcosa






Luglio 2011



Vorrei scrivere qualcosa su Grumello, ma non è mica facile. Dopo pagine scritte sui vari paesi del Cremonese, mi trovo in difficoltà proprio su quello in cui sono cresciuto. Possibile? Ma non mi viene niente di senso compiuto, solo immagini, flashback e ricordi.
Potrei raccontare per esempio delle prime escursioni in bici insieme ai miei amici d’infanzia. Della Strada del Bosco, che però quando ero bambino io il bosco non c’era già più, era solo un richiamo della toponomastica rurale e tutt’al più uno dei rioni creati negli anni ’80 per dar vita al Palio. La rappresentativa calcistica del Bosco vestiva ovviamente la caratteristica casacca verde. Io abitavo invece nel Rione San Giuseppe; i nostri calciatori bianco-verdi formavano uno squadrone come il Real Madrid degli anni ’70, il Milan degli ’80-’90 o il Barcellona di adesso e si aggiudicarono il titolo per ben quattro edizioni sulle cinque giocate. Il Palio dei Rioni non è più stato riproposto dopo gli anni ’80 ma quando i grumellesi parlano di quell’epoca lo fanno con nostalgia, e pure io, quando incontro qualche compaesano con la casacca rossa della Loggia o quella gialla della Torre, magari un po’ infeltrita ma che ha resistito allo scorrere del tempo, ho un attimo di commozione.
Potrei parlare degli sterrati sui quali scorrazzavamo; la strada per la Madonnina del Deserto, ormai malmessa (il Santuario della Speranza, questo è il suo vero nome, è accessibile di fatto solo dalla frazione di Zanengo), quella che porta alle suggestive costruzioni della cascina Breda, arroccate al di sopra di una sinuosa scarpata morfologica, o quella della Fornace. Quest’ultima è un esempio di archeologia industriale (la cosiddetta fornace Hoffmann) ormai fatiscente. Il camino pende da anni in maniera sempre più spaventosa. Il signore che abita lì vicino, un uomo molto cortese che conosco piuttosto bene, mi ha detto, indicando la propria casa, di essere tranquillo perché “il camino pende dall’altra parte”. Io spero comunque che si riesca ad intervenire in tempo per salvare qualcosa della vecchia struttura.
Potrei parlare di calcio; le partite giocate – o più che altro viste dalla panchina – con la maglia azzurra e bianca dei pulcini dell’ormai scomparsa A.C. Grumellese, sul campo del Mulinello. Ora il nome calcistico di Grumello è tenuto in piedi dall’U.S. Grumulus, così chiamata riprendendo l’antica denominazione del paese, che sorgeva infatti su una sorta di promontorio rialzato rispetto alle paludi circostanti. Si trattava dell’estremità meridionale del mitico Lago Gerundo, probabilmente un ramo abbandonato del Serio Morto; fino a fine ‘800 le carte indicano, nelle parti basse del territorio intorno al paese, la presenza di risaie, e ancora oggi è presente qualche fenomeno sorgentizio.
Potrei parlare dei calci al pallone contro un portone nel mio primo cortile (da cui mi sono trasferito a quattro anni per spostarmi di una cinquantina di metri), di quelli tirati nel campo dell’oratorio (tappa obbligata per i giovani di paese), o delle sfide davanti alla suggestiva cornice di Villa Stanga, nell’altra frazione di Farfengo. Quest’ultimo è un agglomerato di belle cascine a corte chiusa, purtroppo in condizioni di conservazione mediocri. Ci sono passato l’ultima volta qualche mese fa; il bar del paese è diventato un ristorante tipico argentino, e nel prato dove tiravamo calci al pallone c’era un gruppo di giovani cingalesi che giocavano a cricket, unici e quasi increduli padroni del paese. Qualcuno forse storcerà il naso, ma nelle attuali condizioni questo è l’unico modo per mantenere in vita questi minuscoli centri.
Potrei parlare di Grumello com’era nell’epoca della mia infanzia, negli anni ’80. Le feste estive all’aperto sul Mulinello, con la balera improvvisata sul vecchio campo da tennis in cemento rosso, con le buche per terra e le linee del campo ormai cancellate, dove ora sorge il nuovo asilo. Le botteghe ormai chiuse: la calzoleria e la ferramenta in Via Mazzini, la lattaia di Via Cavour, il ciabattino di Via Magenta; su questa strada c’era anche un negozio di formaggi gestito da un signore detto Surech (che in dialetto cremonese significa topo, nomignolo azzeccato vista la sua professione). L’oratorio maschile (quello ancora attivo, di fianco alla chiesa di San Bartolomeo) e quello femminile, gestito dalle suore, di fianco alla chiesa di San Defendente. Qui la scarpata in cima alla quale sorge Grumello forma una sorta di anfiteatro naturale, e la vista spazia dagli orti del paese alla cascina Boffalora, passando per la sottostante cappella dei murtìin (bambini morti di peste).
Potrei parlare di ciò che è conosciuto anche al di fuori di Grumello. La Cascina Nuova, conosciuta anche come Cascina San Martino, che oggi ospita un noto agriturismo ma dove un tempo abitava una famiglia di bosniaci cui sono particolarmente legato; ricordo ancora come erano ridotte le vecchie stalle quando le abbiamo ripulite per renderle presentabili in occasione di una festa di Capodanno organizzata dai ragazzi del paese. O la Villa Affaitati, di proprietà della famiglia Vialli; qui hanno abitato per molti anni degli zii di mia madre. Andavamo a trovarli nelle domenica passate “in costina”, ovvero sulla piccola scarpata che circonda il Castello. Qui c’era un piccolo stagno intorno al quale si mangiava tutti insieme. Lo zio ci teneva anche le arnie con le sue api, e lì vicino c’era parcheggiato il carro usato per anni da un saltimbanco che aveva infine deciso di sistemarsi a Grumello una volta terminata la sua carriera.
Potrei parlare degli angoli del territorio comunale che ho scoperto solo di recente, come il casino di caccia dei nobili Guida alla cascina Battaina o il Chioso, che sorge in cima a una piccola collinetta vicino a Zanengo.
Potrei parlare delle vie di fuga dal paese. Della strada bassa per Pizzighettone, che con i suoi ben settemila abitanti quando ci arrivi da Grumello ti sembra di stare a Londra. O del pullman per la città, che prendevamo ogni mattina per andare a scuola, e di quella volta che uno di quei bastardini che girano liberi per le strade del paese, vedendo l’autobus fermarsi e le porte aprirsi, decise di salire ignorando l’autista ed andando a sedersi sui posti in fondo, finché una ragazzina che aveva assistito alla scena non lo prese di peso e non lo riportò giù.
Volevo scrivere qualcosa su Grumello, e alla fine, in qualche modo, l’ho fatto. Ma non è facile parlare col giusto distacco del posto dove ho vissuto per trent’anni, anche se ora non abito più qui. Così non cerco di dare un senso compiuto a quanto ho scritto, né di dare organicità a queste poche righe piene di ricordi. Anzi, non le rileggo nemmeno; ripongo carta e penna ed esco a farmi un giro…