mercoledì 29 febbraio 2012

Paravento


Il freddo siberiano delle scorse settimane ha fatto si che non ci muovessimo dalla nostra vallata. Perché è pur sempre una valle, dopotutto, con Alpi e Appennini intorno a fare da paravento naturale. Ed è per questo che anche queste polveri sottili non si muovono e ammorbano l’aria.
Nonostante il clima vogliamo bene a questa terra, che sembra defilata ma si trova proprio nel cuore della Val Padana; ed infatti abbiamo ricominciato a raccontarla dalle pagine di questo blog, e continueremo a farlo, anche grazie al progetto lavorativo che mi consente di girare tutta la provincia, recentemente risorto dalle proprie ceneri come l’araba fenice.
Per raccontare la città dove viviamo invece un post sarebbe riduttivo… contiamo di dedicarci presto all’ardua impresa, suddividendola in più puntate.
Aspettando che il vento primaverile ci spinga fuori dalla vallata…

domenica 19 febbraio 2012

Torricella del Pizzo - Sorprese tra l'afa e la nebbia


Gennaio 2012

In quei giorni avevamo girato la golena di Torricella del Pizzo in lungo e in largo, dalla Lanca di Gerole alla località Bosco Piazza. Aree un tempo occupate da boschi molto estesi (le cronache narrano che vi trovarono rifugio due briganti che imperversavano tra Motta Baluffi e Torricella nella prima metà dell’800) oggi ormai raggiunte dall’infinita distesa di monocoltura di mais; l’ultimo drastico taglio di piante pare sia stato effettuato nella zona umida chiamata Cutarda, in prossimità della Lanca di Gerole, poco prima che fosse istituita la riserva naturale.
Anche quell’afoso giorno d’estate, giunti al centro di Torricella, seguimmo le indicazioni Fiume Po, inoltrandoci sempre più nella golena. Quando la strada sterrata e polverosa si fece troppo sconnessa parcheggiammo in prossimità dell’unico albero della zona, pregando senza troppe speranze che l’anoressica ombra della mattinata inoltrata graziasse un poco Naomi, la mia indimenticata Opel Corsa Swing No Logo.
Proseguimmo a piedi; ben presto dovetti separarmi dalla mia collega, continuando da solo la camminata fino a raggiungere un’immensa distesa sabbiosa. Tra lo spiaggione facevano capolino qua e là arbusti riarsi. Un centinaio di metri alla mia sinistra, prima del saliceto, tronchi morti di alberi trasportati fin qui dall’ultima piena fluviale. Altri alberi, apparentemente morti anch’essi, stavano ritti in piedi; probabilmente l’abbassamento della falda aveva sottratto l’acqua alle loro radici. La sabbia era solcata da impronte di volatili e da tracce del passaggio di un quad. Altri segni di gomme, queste più grosse (probabilmente un trattore) scomparivano nella lanca nel punto dove questa si faceva più stretta per poi riemergere al di là dello specchio d’acqua. Tutta quella sabbia fine rifletteva il calore asfissiante e sembrava si appiccicasse alla pelle, anche se non c’era un filo di vento.
Dire che quello è un posto dimenticato da Dio e dagli uomini non sarebbe però corretto. La tesi del passaggio del padreterno potrebbe essere suffragata dalla singolare toponomastica di questi luoghi, che non si accontenta dei popolari santi contadini annoverando addirittura la presenza della Isola Jesus. La presenza umana invece l’ho constatata io stesso. Un anziano signore, che si materializzò dal nulla ad una cinquantina di metri da me. Un camminatore, un pescatore, forse il pazzo del paese. Sotto il sole dell’una del pomeriggio di una giornata di luglio. D’altra parte chissà cos’avrà pensato lui a vedermi girare con quella strana strumentazione a quell’orario improponibile. Magari che ero un pazzo forestiero.
Continuai a camminare fino a raggiungere il corso vivo del fiume Po, che mi svelò la sponda parmigiana; al di là dei salici stava l’altra Torricella, frazione di Sissa, quella che un’improbabile teoria vuole fosse un’unica entità con la Torricella cremonese, separata poi dal mutato corso del Grande Fiume.
Ritornammo al paese stremati. Cercammo vanamente una panchina e una fontanella all’ombra per mangiare i nostri panini in pace e ricaricare le borracce con acqua fresca. La cura nella progettazione delle aree verdi pubbliche lascia sempre più a desiderare, forse perché le panchine sono viste come roba da extra-comunitari, forse perché non bisogna bere alle fontanelle ma acquistare l’acqua Vera o San Benedetto al bar. La cosa mi indispose parecchio, ma nei cinque minuti successivi ebbi tre visioni che mi riconciliarono con la vita. Un cartello stradale bianco cerchiato di rosso col triangolo rovesciato, anch’esso rosso, che racchiudeva la scritta stop; non ne vedevo da tantissimo tempo dalle mie parti. Un vecchio edificio abbandonato con uno stretto spigolo alla confluenza tra due vie; sopra la porta la vecchia insegna di una macelleria. Una cinquecento bianca sull’argine maestro, con a bordo due vecchietti sulla settantina, uno con fini baffetti e maglia a righe orizzontali, l’altro con occhiali da sole e camicia bianca sbottonata sul petto. Fui subito proiettato in qualche posto fuori dal tempo.
Torricella del Pizzo mi fa quest’effetto, tende a mettermi in un cattivo stato d’animo per poi sorprendermi con qualche chicca. Come stasera, dopo aver guidato per mezz’ora in mezzo ad un muro di nebbia che mi isolava dal paesaggio circostante per venire alla celebre Festa dal Pipen (il piedino di maiale lessato), nello scoprire che il menù della serata non prevede… il pipen! Facciamo due passi per il paese, con l’umidità che ci entra nelle ossa, nell’attesa che arrivi l’ora di cena, quand’ecco che nella nebbia si materializza una combriccola di amici; è Villa Arzilla al gran completo! Ci aggreghiamo a loro per una visita guidata ai due musei di Torricella. Si, perché scopro che qui ci sono ben due musei “totalmente realizzati e gestiti da privati appassionati”, come mi spiega Ettore, che abita nel vicino paese di Motta. Il primo è un interessante museo di storia naturale, con una suggestiva collezione di fossili. Il secondo è un museo di strumenti musicali meccanici. Vado matto per organetti a manovella e marchingegni simili, ma purtroppo si è fatto troppo tardi ed il gestore ha appena chiuso. Vorrà dire che adesso avrò una ragione per tornare a Torricella. In ogni caso ci aspetta la ricompensa; una cena che si rivela ottima e la comparsa inaspettata di un vassoio di pipen, procurato sottobanco grazie alla strenua opera di convincimento operata dagli amici di Villa Arzilla!

giovedì 2 febbraio 2012

Stessi borghi, stessi colli - 4. Ultimo passaggio a Roccastrada

Torniella, 1/1/2012

Lasciamo Torniella a mattinata inoltrata, mentre il borgo si ripopola di voci e presenze. Abbiamo ancora il tempo di fare un salto all’abbazia di San Galgano; tranne noi due, che nel 2008 abbiamo accompagnato Fausto nella prima trasferta maremmana di San Silvestro, gli altri amici non ci sono mai stati e rimangono colpiti dall’imponente struttura muraria e dal suo tetto e le sue finestre di cielo. Un gatto entra nell’abbazia e si struscia contro le statue del presepe, poi irriverente segna il territorio sul muschio e se ne va. Lo seguiamo verso il vicino eremo, in cima alla collina; qui, tra le mura che delimitano la pianta circolare, si trova la spada che San Galgano piantò simbolicamente nella roccia nel momento in cui decise di dedicarsi alla vita spirituale. In una saletta laterale invece sono custoditi gli avambracci che secondo la leggenda i lupi avrebbero sbranato ad uno sprovveduto che tentò di incendiare la capanna dove San Galgano si era ritirato a trascorrere la sua nuova vita da eremita.
Consegniamo le chiavi di casa alla zia di Fausto, una signora cordiale che ha ormai perso l’accento cremonese (ha trascorso l’infanzia ad Annicco e ce ne parla con piacere) ma non ha acquisito quello toscano; la sua parlata risente invece della sua lunga permanenza a Milano. Il marito è un toscano tutto d’un pezzo, più silenzioso della consorte e dallo sguardo bonario nonostante la tenuta da cacciatore con tanto di berretto che si ostina a tenere anche in casa.
Due passi per il bel centro di Roccastrada si fanno sempre volentieri: saliamo la ripida via che dalla casa della zia di Fausto porta verso il cuore del borgo, incrociando una signora sugli ottant’anni che intrepida affronta la proibitiva pendenza con passo cauto ma regolare. “Con calma, ma ce la fo’”, ci dice sorridendo. In Largo Garibaldi faccio da sponda ad un ragazzino per una triangolazione che si conclude col suo tiro di collo interno destro che va ad insaccarsi nella porta di un’agenzia immobiliare. Saliamo a goderci il panorama e a fare le ultime foto, tra le case in pietra del vecchio borgo e le colline maremmane. Mentre scendiamo per la ripida Via del Poggio un ragazzino in bicicletta ci schiva ed è quasi costretto a fermarsi, ma poi riesce a riprendere senza mettere il piede a terra.
Da queste parti si deve vivere bene, o quanto meno ci si tiene in forma. L’augurio che posso fare a questi ragazzini e che, se anche non vestiranno la maglia della Nazionale o non vinceranno una tappa al Giro d’Italia, arrivino a ottant’anni in grado di affrontare la discesa che porta a casa della zia di Fausto con lo stesso sguardo sereno della signora incontrata poco fa.
Sarà così, su questo non ho dubbi.

mercoledì 1 febbraio 2012

Stessi borghi, stessi colli - 3. Appunti di paesologia

Torniella, 31/12/2011
Il paese è la dimensione ideale per un bambino.Sono cresciuto anch’io in un villaggio della campagna cremonese, un natio borgoselvaggio che pure mi ha procurato una forte dose di disagio ed insofferenza adolescenziale. Insomma, ho vissuto (e credo che continuerò a farlo) diviso tra campagna e città.
Ad ogni modo l’atmosfera del paese mi ha sempre affascinato, e sarà per i tanti villaggi che ho girato per lavoro oltre che pe r diletto, ma ormai mi considero anch’io un paesologo, proprio come lo scrittore Franco Arminio, di cui mi hanno appena regalato l’ultimo lavoro Terracarne.
I minimarket InCoop, i cacciatori seduti davanti ai bar per il caffè do po pranzo, le negozianti chiacchierone, gli uomini che si salutano chiassosamente per la strada, i circoli Arci sono elementi che non mancano mai nei paesi che attraversiamo in questi giorni e che incontriamo, anche se in veste meno rustica rispetto ai borghi visitati in precedenza, pure a Montalcino. D’altra parte si tratta di una cittadina, e pure piuttosto rinomata; non solo per il vino ma anche per i valori storico-monumentali. Camminiamo nella rocca della più occidentale tra le città storicamente controllate dai senesi, poi passeggiamo tra vicoli, case e chiese, fino a raggiungere Piazza del Popolo. Qui la catasta di legna pronta per il falò di San Silvestro ci ricorda che oggi è l’Ultimo dell’Anno, ed è ora di rientrare a Torniella.







Ci fermiamo a Paganico, dove ci fermiamo a giocare con un mini-pallone insieme ad un locale nel parcheggio dell’InCoop mentre aspettiamo Barbara che è entrata a fare spesa. Non vediamo granché del paese; per le vie del centro un black-out parziale ha oscurato diversi lampioni.

Rispetto all’anno scorso gli italiani spenderanno il 12% in meno per il cenone di San Silvestro, dice la radio, rinunciando soprattutto ai cibi esotici. Non tutto il male vien per nuocere. Anche il nostro menù è a km 0 o quasi, a partire dai ravioli maremmani della zia di Fausto, passando per il cibo che ci siamo portati da Cremona, per arrivare al vino toscano portato da Leonardo.
La serata procede; tempestiamo Leonardo di domande sul suo portale Indie Up, mentre Laura ed Emilio come di consueto organizzano i giochi. La mezzanotte ci coglie di sorpresa. E’ già tempo degli auguri. L’ultimo lo faccio a Sara prima di andare a dormire; per la nostra vita futura, che abbiamo scelto di vivere in un paese. Perché come diceva Cesare Pavese, un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. E per tornare, alle volte, come il protagonista del suo capolavoro La luna e i falò.