mercoledì 12 maggio 2010

Genova per noi due - 3. I consigli del capitano

Cremona, 6/4/2010
Come se i nostri concittadini si fossero dati appuntamento a Genova in questi giorni, mi arriva la telefonata di mio zio Franco. Lui e Gabriella sono in coda per entrare all’Acquario: hanno deciso di regalare una gita ai bambini. Visto che la coda oggi è di lunghezza accettabile, finiamo con l’unirci a loro, anche se la vasca dei delfini è stata appena chiusa per lavori di manutenzione. Un po’ come, che so, se il derby di domenica prossima tra Genoa e Samp si giocasse senza Cassano. Ci consoliamo con le evoluzioni di foche e pinguini, gli unici animali con un po’ di brio in tutto l’Acquario. Non posso biasimare gli altri; non deve essere particolarmente eccitante stare chiusi in una vasca con tutta questa gente che li guarda e gli spara i flash negli occhi (anche se non si potrebbe) anziché nel posto dove dovrebbero essere, cioè in mare.
Salutiamo Franco e Gabriella al Porto Antico, proprio davanti alle celebri o
pere commissionate a Renzo Piano per riqualificare la zona; la loro giornata proseguirà, da bravi genitori, tra la Città dei Bambini, il Galeone e il Museo del Mare. Noi invece ci dirigiamo verso un luogo che non poteva rimanere escluso dal nostro itinerario: Via del Campo. Percorro con una certa emozione la strada resa immortale da Fabrizio De André, che l’ha resa il simbolo dell’umanità emarginata di Genova. La stessa umanità raccontata nel recente film “La bocca del lupo” e con la quale abbiamo avuto qualche incontro in questi giorni.
Genova è una città ricca di stimoli, soprattutto musicali. Nelle vetrine delle librerie non mancano mai volumi che parlano di Fabrizio De André, Luigi Tenco e più in generale della cosiddetta “scuola genovese” (anche se gli unici due genovesi di nascita sono De André e Bindi).
Ma Genova è anche città di esploratori. Oltre a Cristoforo
Colombo, cui la città si vanta di avere dato i natali, non possiamo scordare il Capitano Enrico Alberto D’Albertis, che si fece costruire un castello neogotico su un’altura del quartiere di Castelletto, proprio sopra la stazione di Porta Principe. Qui dimorò e raccolse svariati oggetti provenienti dai suoi viaggi; dopo la sua morte il castello fu trasformato in Museo Etnografico. Per raggiungerlo da Via Balbi si può prendere un ascensore molto particolare; che si muove cioè sia in senso orizzontale che in senso verticale. L’arrivo è proprio di fronte all’ingresso del castello, dal quale si gode una vista panoramica su Genova. Riusciamo così a vedere finalmente anche la Lanterna, simbolo della città che finora abbiamo ignorato.
All’uscita del museo vor
remmo fare una passeggiata proprio fino alla Lanterna, ma tra meno di due ore partirà il treno che ci riporterà verso casa, e dobbiamo ancora tornare in Via della Maddalena a prendere i nostri bagagli. Scendiamo quindi in Via Balbi per un gelato e passeggiando verso Via di Pré passiamo per Piazza Truogoli di Santa Brigida, dove entriamo nella libreria Finis Terrae.
Mi sembra questo il luogo ideale dove chiudere il nostro racconto, per due motivi. Per prima cosa perché i gestori sono tra gli animatori del Comitato Vivi Santa Brigida, che si sta battendo contro il degrado che
negli ultimi anni ha caratterizzato questa zona. Piazza Truogoli di Santa Brigida è davvero un angolo molto grazioso. Mi auguro di tornare presto a Genova e di vedere valorizzato l’intero quartiere.
E poi Finis Terrae è ricca di libri di viaggio, e siamo già qui che, anziché intristirci per l’imminente rientro, già pensiamo alla prossima partenza. Mi tornano alla mente i consigli del Capitano D’Albertis, che raccomandava ai giovani italiani di viaggiare finchè si è in tempo, prima che la pigrizia prenda il sopravvento. Cercher
emo di non deluderlo.

lunedì 10 maggio 2010

Genova per noi due - 2. La Città Vecchia e oltre

Genova, 5/4/2010
Colazione a tema pasquale con fette di colomba e “La buona novella” in sottofondo. Mi ero ripromesso di non abusare di riferimenti a De André, ma camminando per le strade di Genova lo incontriamo in continuazione, nella musica che si diffonde nell’aria, nelle scritte sui muri, nelle fotografie alle pareti e sui libri appoggiati a ripiani e tavoli di bar e osterie. E la Città Vecchia, che in questi giorni stiamo girando in lungo e in largo, per molti versi è davvero quella dell’omonima canzone. Aveva ragione Laura: Genova è senz’altro il mio tipo di città, centro di mare ma arrampicato al tempo stesso sulle montagne retrostanti, con i vicoli intricati che scendono verso i moli. Forse non è un caso che “Città Vecchia” sia anche il titolo di una delle più belle poesie di Umberto Saba. Nel suo caso ovviamente si tratta della Cità Vecia di Trieste, cui sono particolarmente legato. Credo che la canzone di De André debba qualcosa anche a Saba.
In Piazza Verdi domandiamo quale autobus dobb
iamo prendere per andare a Boccadasse. Ne nasce una discussione tra le signore che attendono alla fermata, che prodighe di consigli si contraddicono a vicenda. Abbiamo notato che è una costante genovese; lo stesso ci è accaduto ieri con i nostri padroni di casa. Un altro luogo comune sui genovesi viene invece smentito pochi minuti più tardi, quando una delle signore ci regala il biglietto dell’autobus, alla faccia della proverbiale tirchieria.
Arriviamo fino a Sturla e ci godiamo il panorama in una gior
nata finalmente luminosa. A Levante lo sguardo arriva fino al Promontorio di Portofino, a Ponente il Mar Ligure è invece incorniciato dalle cime ancora innevate degli Appennini. Sembra davvero tutto perfetto, forse perché siamo un po’ in controluce e non vediamo i segni della deturpazione del territorio di cui la Liguria è stata vittima negli ultimi decenni, sia a Levante (dove il fenomeno ha addirittura portato a coniare il neologismo “rapallizzazione”), sia a Ponente (e il grande scrittore e appassionato di urbanistica Italo Calvino, sanremese di origine, ha pure scritto un libro intitolato “La speculazione edilizia”).
La giornata è caratterizzata da un vento fresco e a nessuno salta in testa di tuffarsi in acqua. Il costume rimane nello zaino, ed il primo bagno stagionale un sogno destinato ad essere rimandato di un mesetto, più o meno.

Percorriamo la passeggiata a ritroso ritornando a Boccadasse, pittoresco borgo marinaro dove hanno vissuto anche Gino Paoli e Ornella Vanoni, oltre alla famosa gatta (quella con una macchia nera sul muso, in una soffitta vicino al mare).
Tra A
lbaro e la Foce altri esempi di verticalità. Il nostro sguardo percorre un edificio in tutta la sua altezza: al piano terra si vendono serramenti e parquet, dal primo al terzo piano ci sono appartamenti, ai piani superiori c’è una chiesa moderna con l’ingresso su una strada che scorre a una quindicina di metri sopra le nostre teste. Poche centinaia di metri più avanti parte la Sopraelevata, una sorta di lungomare a una dozzina di metri d’altezza che si sono inventati per passare da un capo all’altro del centro storico.
Nella zona intorno a Piazza della Vittoria tutta la desolazione di un quartiere residenziale nel lunedì di Pasquetta: vialoni a tre corsie deserti, bar e uffici chiusi, parchi popolati solo da qualche sparuta presenza, palazzoni addormentati. Gli abitanti sono tutti altrove.
La passeggiata è lunga e siamo un po’ stanchi, ma è il modo migliore per cogli
ere i vari aspetti di Genova. In Via XX Settembre rimaniamo incantati dai grandiosi palazzi che si susseguono uno dopo l’altro, prima di rituffarci nella Cità Vegia. E sono di nuovo vicoli bui, persiane socchiuse e panni stesi ad asciugare, quei panni che sono diventati il simbolo dell’ultima forma di ribellione creativa e irriverente di cui questo paese è stato capace. Mi riferisco all’episodio citato da Francesco Guccini in “Piazza Alimonda”; Berlusconi, prima del summit del G8 del 2001 (una ferita ancora aperta per la città) chiese ai genovesi di non stendere le mutande sulla strada ad asciugare in quanto irriguardoso nei confronti dei suoi illustri ospiti. Naturalmente la maggior parte dei genovesi “disobbedì”.
Altre istantanee dalla Città Vecchia. A Santa Maria Assunta
veniamo catturati da una “guida” che ci delizia coi suoi toni ironici e vagamente dissacranti. Dietro San Donato assistiamo a una partita di calcio multietnica tra ragazzini con panorama sulla città. A Campo Pisano scopriamo un angolo tranquillo e delizioso. In Vico della Lepre ci mangiamo una pasta al sugo di noci e un piatto di pesce spada alla ligure.
“Non ne posso più” ci dice scuotendo la testa la moglie del gestore. Ce l’ha con i marocchini seduti nell’altra stanza; riesco a percepire il loro tono che mi sembra vagamente indisponente, ma non distinguo i loro discorsi. Le chiedo se teme che facciano scappare i turisti. “N
on tanto i turisti, quanto i genovesi, quelli che qua ci stanno tutto l’anno. Abbiamo già chiesto alle ragazze che battono di spostarsi almeno di qualche metro. Se no non entra più nessuno”. Le dico che ho sempre sentito raccontare cose simili di Genova, ma che nonostante certe situazioni siano lampanti, qui ho avuto meno l’impressione di trovarmi in un ghetto rispetto ad altri quartieri di altre città, quasi la commistione di tutte queste differenti tipologie umane sia una cosa connaturata con questi vicoli. Le domando se è cambiato molto negli ultimi anni. “I marocchini stanno aprendo pizzerie e kebab, ma non sono questi che mi preoccupano, perché almeno lavorano. Il problema è che basta che quattro come quelli ti prendano di mira ed hai chiuso”. Usciamo. Poco più avanti un ragazzo sulla trentina parla con un prete di strada. “Io sono nato cristiano. Ora devi dirmi tu, padre, perché sbaglio tutto nella vita”. Saranno i vicoli stretti, saranno i palazzi così alti, ma davvero per molti qui “il sole del buon Dio” continua a non dare i suoi raggi.

venerdì 7 maggio 2010

Genova per noi due - 1. Con quella faccia un po' così

Genova, 4/4/2010
Con quella faccia un po’ così, saliamo alla stazione di Piacenza sul treno delle 8:17 per Genova. Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, che abbiamo noi che saremmo stati volentieri a letto per un’altra oretta. Ma abbiamo deciso di sfruttare al meglio la prima delle tre giornate dedicate alla “Superba”. Di prendere l’auto non se ne parla nemmeno: mi hanno sempre terrorizzato gli “svincoli micidiali” cantati da De Gregori in “Viaggi e miraggi”.
Oggi vengo a Genova per colmare una lacuna. Ho visto bene o male tutta la Riviera di Ponente da Savona in giù, e tutta quella di Levante da Deiva in poi. Durante la mia infanzia sono stato molte volte nella casa di Monterosso di mia “zia” Sandra, e negli ul
timi anni ho ripreso i contatti con quella zona. Ho trascorso una vacanza di fine anno a Santa Margherita Ligure, un po’ di tempo fa. Eppure non sono mai stato a Genova, l’unica delle grandi città del nord Italia che ancora mi manca, a nemmeno tre ore di strada da casa nostra.
Il treno scollina e si butta a capofitto sul capoluogo ligure, riversando nella stazione di Porta Principe gli immigrati e le coppiette in gita in questa strana mattina di Pasqua. Genova, città di contrasti: più volte ne ho sentito parlare in questo modo. In Via Balbi scatto la prima foto: una bandiera del Genova Pride sventola da una finestra poco sopra la “Casa della Bibbia”.
Appuntamento davanti al Palazzo della Meridiana con Riccardo, che ci
accompagna in Via della Maddalena, dove pernotteremo in un edificio che da fuori sembra fatiscente, ma dentro si rivela un antico palazzo signorile. Una delle sorprese di Genova. Sistemiamo le nostre cose e lasciamo lui e la moglie a discutere su quale sia il programma migliore per la nostra giornata. Per non far torto a nessuno decideremo da noi.
Negli stretti e omb
rosi vicoli che da Via della Maddalena tagliano verso Via San Luca stanno parecchie ragazze sudamericane (una delle etnie più presenti) in atteggiamento eloquente, mentre nell’aria si diffondono le note di “Volta la carta”. Fabrizio De André sarà una presenza costante in questi giorni, e la prima impressione è che la città da lui cantata dalla fine degli anni ’60 in poi non sia cambiata di molto.
Arrivati al Porto Vecchio rimaniamo sconvolti dal serpentone umano in attesa di poter entrare all’Acquario. Deviamo nella zona della Cattedrale di San Lorenzo e della chiesa di San Matteo, per poi mangiarci un’ottima focaccia di Recco in Piazza De Ferrari. Nella cornice degli spettacolari palazzi che si affacciano sulla piazza e col sottofondo scrosciante della celebre fontana, chiamiamo Laura, amica cremonese di origini genovesi. E’ stata lei a dirmi “devi andare a Genova. A te piacerà”. Pensiamo che forse è qui anche lei, ma ci risponde da Sanremo. E’ in bici e sta pedalando verso Levante. La vedremo forse arrivare al terzo giorno, sudata e stravolta?
Andiamo a Palazzo Ducale, anche se siamo in anticipo di un paio di settimane sulla mostra dedicata alla storia delle nazioni di cui ci ha parlato La
ura. In compenso c’è un’esposizione di artisti contemporanei sul tema “Isole non trovate”. Nei saloni al piano di sotto invece c’è una mostra fotografica sulle donne operaie del ‘900. Dalle locandine che vediamo in giro, la città sembra essere piuttosto vivace dal punto di vista culturale.
Ritorniamo a perderci nei carruggi finché la pioggia, che il cielo nuvoloso minacciava da stamattina, non comincia a cadere. Ci rifugiamo allora nei tre palazzi-museo della monumentale Via Garibaldi: Palazzo Tursi (sede del Municipio), Palazzo Bianco e Palazzo Rosso. E proprio all’ultimo piano di Palazzo Rosso si trova una piccola chicca: l’appartamento dell’ex-curatrice del museo, un’insegnante di liceo morta qualche decennio fa. Per un’appassionata d’arte deve essere un sogno vivere qui dentro; come se non bastasse, il panorama è suggestivo. Dalle vetrate appare chiaramente la verticalità di Genova, una caratteristica cui i liguri sono stati costretti dalla mancanza di spazio. Case di almeno sei o sette piani si affacciano su vicoli strettissimi, che da quassù non si riescono nemmeno a vedere. Ma emergono anche le tante sfaccettature della città, negli aggettivi che da questa altezza mi vengono in mente per definirne i palazzi: signorili, fatiscenti, imponenti e, più verso la periferia, moderni, avveneristici. I tetti poi sono un aggrovigliato ammasso di mansarde, abbaini, minuscoli casotti, terrazze ben tenute, lamiere sbilenche, piante, antenne, comignoli.
Troppa cultura ci ha affaticato: una volta rientrati nella nostra stanza, riusciamo a malapena a raccogliere le forze giusto per un piatto di testaroli al pesto genovese nella trattoria “sotto casa”, poi a letto. Non avevo mai dormito sotto un soffitto affrescato.

domenica 2 maggio 2010

Tra schermo e realta'

Nei primi mesi dell'anno ci siamo concessi solo un paio di giorni a Vezza d'Oglio, in Val Camonica, nella casa di montagna dei genitori di Sara. In questi periodi di vacche magre non rimane altro da fare che risistemare i ricordi e preparare i prossimi viaggi.
Proprio riguardando le immagini del Delta del Po qualche mese fa ci è capitata tra le mani la foto di un palazzone di Porto Levante, una costruzione così singolare che anche il cinema non ha potuto ignorarla. Con grande sorpresa infatti, giusto il giorno dopo ce lo siamo ritrovati sullo schermo del cinema Chaplin, mentre assistevamo alla proiezione di "La prima linea", film ambientato in buona parte tra Venezia, Chioggia, il Delta del Po e Rovigo.
Ed è un altro film, "Agata e la tempesta" (già citato in precedenza), che per le location utilizzate si presta come trait d'union tra il flashback del Delta ed il rientro al tempo reale. Dopo ben sette mesi infatti abbiamo rivisto il mare, questa volta però varcando gli Appennini. Destinazione: Genova.