sabato 20 ottobre 2012

E il viaggio continua - 7. Capriole

Pag, 19/8/2012

Di Pag mia madre conserva ancora una foto, appesa nel suo soggiorno da ormai trent’anni. Ritrae me, con indosso solo una di quelle canottiere a righine orizzontali bianche e blu che hanno avuto tutti i bambini cresciuti negli anni ’80, mentre mi accingo a fare una capriola su una spiaggia sabbiosa, mostrando le pudenda all’obiettivo. Avrò avuto un anno e mezzo o giù di lì. Sarebbe bello ritrovare oggi quella spiaggia. Chissà dov’è. Certo non è quella sotto il nostro appartamento, una sottile striscia di ciottoli ai piedi di un piccolo dirupo.
La vista da qui spazia sulla città di Pago, sulle pale eoliche situate sul crinale soprastante, sulle due lunghe e glabre lingue di terra che racchiudono il golfo, facendolo somigliare ad un lago. Il litorale dalmata da qui non si vede; si scorgono solo le vette del Velebit, che con la loro pur non fittissima vegetazione sono in netto contrasto con quelle dell’isola.

Faccio colazione con un Kornet di Ledo per addolcire un risveglio amaro, per la notte passata tra caldo e rumori, con la pljeskavica che si riproponeva (e che ancora adesso mi lascia in bocca un retrogusto di cipolla). Prendiamo poi la strada che da Pag porta al nostro appartamento, proseguendo oltre l’abitato di Božena. Lungo la via, in un profondo dirupo, una discarica a cielo aperto fa impudicamente mostra di sé. Non è propriamente l’ideale di bellezza che ricerchiamo per le isole croate, ma fortunatamente ci rifacciamo poco dopo scendendo alla spiaggia di Sv. Marija, ciottoli bianchi incastonati tra acqua cristallina, rocce levigate dal vento e dal sale e una stretta fascia di vegetazione ai piedi delle cime rocciose che incombono sul golfo.

Nel primo pomeriggio, anticipando il sopraggiungere dell’ombra, ci spostiamo sul versante opposto dell’isola. Da Pago in pochi minuti si sale e si conquista la vista sulla costa occidentale, con l’abitato di Košljun, la sua piana e la vicina baia. Il blu del mare si perde tra i profili lontani di un’infinità di isole ed isolotti di cui ignoriamo il nome. 
Ci fermiamo a Šimuni per procurarci dell’acqua – tanta acqua – per l’arsura dovuta al caldo ed al dalmatinski pršut, il caratteristico prosciutto dalmata dal sapore forte e affumicato. L’abitato, situato in fondo ad un’insenatura, è composto da un grosso campeggio, molte case per turisti, un porticciolo, qualche negozio e poco più.
Ci spostiamo di pochi chilometri seguendo le indicazioni per Lukar: altra spiaggia di ciottoli, rocce, sabbia ed acqua limpidissima, come tutte quelle incontrate sinora a Pag. In questo tratto però la costa scende più dolcemente al mare ed è più verde grazie alla presenza della macchia mediterranea. Rimaniamo fino al tramonto: il mare ci dà una gioia da bambini. Verrebbe voglia di mettersi a fare capriole, come feci un tempo qui sulle spiagge di Pag!

E come da bambino, la sera mi faccio una scorpacciata di dolcetti della Kraš…

giovedì 18 ottobre 2012

E il viaggio continua - 6. Pag, Yugoland



Pag, 18/8/2012

Poco dopo la spiaggia di Pudurica inevitabilmente si materializza la coda che ci aspettavamo. Le auto in fila in attesa iniziano ancor prima del cartello che segnala i due chilometri da Mišnjak, partenza dei traghetti per la terraferma. E’ il sabato dopo Ferragosto, ma con i giorni a nostra disposizione non avremmo potuto fare altrimenti. Per ingannare l’attesa guardo la nazionalità delle auto in coda. A Rab abbiamo incontrato soprattutto tedeschi ed austriaci, ma ci sono anche parecchi italiani e diversi francesi, oltre a turisti dei paesi balcanici e dell’Est Europa. Non mancano poi alcune auto con targa serba. Timidi segnali di disgelo, forse cenni di ricomposizione della “Jugosfera”, come la definisce Andrea Ragona, autore – insieme a Gabriele Gamberini – di Yugoland, appena uscito nelle librerie italiane. Il libro che mi accompagna quest’estate è perfetto per il nostro viaggio: una sorta di reportage contemporaneo dai paesi che componevano la Jugoslavia, con i linguaggi della fotografia e del fumetto a supporto delle suggestioni di viaggio, musicali e di costume.
Faccio zapping sull’autoradio, trovando soprattutto emittenti italiane. A turno passano gli artisti citati ieri sera dal figlio di Ante, che ci ha snocciolato i nomi di tutti i cantanti italiani che conosceva. Occupiamo così le due ore di attesa, poi dieci minuti di navigazione, poche decine di chilometri per raggiungere Pržena e un’altra ora di attesa per il traghetto che ci porterà a Pag. Ci consoliamo pensando che a chi sta percorrendo il tragitto nella direzione opposta va molto peggio: il lungo serpentone di auto in attesa dell’imbarco è visibile fin dalla terraferma, scintillante sotto al sole in mezzo al brullo e pietroso versante orientale dell’isola.
La navigazione è breve, più o meno quanto quella per raggiungere Rab. Ad attenderci, un paesaggio estremo e lunare; la vegetazione fa la sua timida comparsa solo dopo qualche chilometro, delimitata da una serie regolare di alti muretti a secco, dall’andamento sinusoidale a seguire i rilievi del terreno, come una specie di reticolo che copre questa zona dell’isola.
Il primo impatto con gli altri turisti non è dei migliori. Incontriamo in successione: un gruppetto di burini croati che gettano in mare mozziconi di sigarette e bottiglie di birra vuote, giustamente ripresi da Sara; due auto di ragazzotti italiani che interagiscono con le ragazze della pompa di benzina come se fossero le lucciole dell’Est Europa che sono abituati a vedere sui viali delle loro città; due neonazisti tedeschi, venuti forse in avanscoperta in vista della futura occupazione del Regno di Jugoslavia.

Novalja è il principale centro turistico dell’isola e punta molto sulla vivacità della vita notturna. Poco interessati dalle discoteche, scendiamo fino alla città di Pag, dove troviamo un minuscolo appartamento. I prezzi sembrano maggiori di quelli delle altre isole croate, anche se, utilizzando come termine di paragone quelli italiani, risultano accettabili.
Ad accompagnarci all’appartamento è Marta, che aiuta la madre nel lavoro all’agenzia turistica. Ha vissuto sei mesi a Siena e si lamenta anche lei del costo della vita in Italia. Ci lascia le chiavi e ci indirizza da Ivanka, la padrona di casa, che dopo essersi presentata ci indica il sentiero che in tre minuti porta al mare. Abbiamo così voglia di farci un bagno che ci mettiamo anche meno.
Prima di cena facciamo due passi a Pag, ma appena superato il ponte – illuminato in maniera suggestiva – ci ricordiamo di avere esaurito le scorte di cibo. Ci gettiamo quindi alla ricerca di una pljeskavica sa sirom, rimandando la visita alla città…
 



lunedì 1 ottobre 2012

E il viaggio continua - 5. Linea diretta Arbe-Veglia



Supetarska Draga, 17/8/2012

Stamattina abbiamo comunicato a Puče la nostra decisione: questa sarà la nostra ultima giornata a Rab. Lui l’ha accolta alla sua solita maniera: alzando le braccia ed esclamando “No panic!”. Mi sono risolto a ricorrere al mio scarso vocabolario croato per comunicare con lui, che parla solo qualche parola di tedesco oltre alla lingua madre.
Iniziamo la giornata con l’ascensione al Kamenjak, che con i sui 408 metri è la vetta più alta dell’isola. Si sale attraverso la macchia mediterranea, tra ginepro, cespugli di timo, rovi e qualche sparuto alberello. Qua e là, ripari ed abbeveratoi improvvisati per capre e pecore - la loro presenza è evidente, anche se noi ne incontriamo poche lungo il nostro cammino – e muretti a secco o recinzioni realizzate con materiale di recupero a delimitare i “pascoli” (si tratta più propriamente di pietraie tra le quali fa capolino qualche arbusto; ci chiediamo cosa mangino, questi animali). Per raggiungere la cima percorriamo una strada carrabile: ci sorpassano auto di turisti e mezzi locali, berline tirate a lucido e Zastava senza targa con il bagagliaio spalancato.
Dalla vetta la vista spazia sulla terraferma, sulla città di Rab, sulle isole di Pag, Krk, Cres e Lošinj. Proprio da Krk, pochi giorni fa, ci è arrivato un sms di Miriam, sconfortata per la ressa che ha trovato sull’isola. Probabilmente in questo momento lei e Leo stanno muovendo verso Cherso.
Questa linea diretta non è solo con loro, ma anche col nostro recente passato. L’anno scorso infatti guardavamo le isole di Arbe e Pago dalla spiaggia di Stara Baška o dall’abitato di Lussingrande. Oggi ci guardiamo alle spalle per qualche istante, poi decidiamo di ripartire, anche perché il continuo ronzio dei ripetitori telefonici sopra le nostre teste ci rammenta che probabilmente stiamo aumentando significativamente il rischio di contrarre patologie letali per il nostro cervello.
Scendiamo attraverso il sentiero, più ombreggiato ed interrotto continuamente da porte improvvisate in corrispondenza del confine tra i vari appezzamenti. Ogni porta ha un suo metodo di apertura e più volte siamo costretti ad ingegnarci alla ricerca della soluzione, in quella che sembra una via di mezzo tra un gioco di logica ed un videogame agreste. A farci compagnia c’è un bel gatto bianco e grigio, sbucato dal nulla nel bel mezzo del bosco. Sembra che ci segua, ma quando ci fermiamo titubanti davanti ad un bivio, incerti sulla strada da prendere, il nostro nuovo amico ci passa davanti precedendoci lungo il sentiero ed indicandoci la retta via che ci porterà a casa (la sua) e alla macchina (la nostra).

A Barbat facciamo un bagno e ci fermiamo a mangiare all’ombra, in un bar a due passi dal mare con vista sul fronteggiante e disabitato isolotto di Dolin: i pesciolini fritti sono deliziosi. Mi concedo anche una Rapska Torta (torta di Arbe), specialità locale a base di mandorle ed arancia.
Scendiamo la costa di un paio di chilometri, giusto per uscire dall’abitato di Barbat. Dopo aver parcheggiato, attraverso la macchia – interrotta solo da un paio di vigneti – raggiungiamo il mare, riposandoci all’ombra di un albero coi rami protesi verso l’acqua, cullati dalle onde. La pace è interrotta solo dalle barche a motore (il canale che divide Rab da Dolin è largo solo qualche centinaio di metri e molte piccole imbarcazioni dirette alla città di Rab passano di qui).

Ceniamo a base di pane e pašteta, paté tipico dei paesi della ex-Jugoslavia, dopodiché facciamo due passi a Rab per gustarci una kremšnita. La giornata si conclude poi con una Radler, il mix di birra e bibite alla frutta (solitamente aranciata o limonata) che negli ultimi anni va forte in Croazia: tutte le più popolari marche di birra balcaniche ormai propongono intrugli di questo genere. Sorseggio la mia Laško Orange dal terrazzo della nostra camera, guardando per l’ultima volta questo spicchio di mare.