mercoledì 30 novembre 2011

Io non sono qui

Distribuisco i cubetti di formaggio sul primo strato di impasto, già sistemato nella teglia, poi stendo il secondo strato premendo bene ai margini con le dita per chiudere la mia focaccia di Recco. Il tempo di completare l’opera sarà sufficiente per terminare la cottura della torta di mandorle nel forno. Intanto la salsa di noci per condire la pasta è già pronta. Stasera abbiamo ospiti, ed il menù sarà un omaggio a Lunigiana e Levante ligure, le terre devastate dall’alluvione delle settimane scorse. Le immagini dei fiumi di fango che invadono le vie di Vernazza e Monterosso sono state un colpo al cuore. Genova, le Cinque Terre, la Val di Vara, la Lunigiana… in questo blog abbiamo parlato in diverse occasioni di queste zone. Solo un paio di settimane prima le abbondanti piogge avevano causato un morto a Roma, mentre è di pochi giorni fa la notizia di tre morti nel messinese, travolti da fiumi di fango proprio come in Liguria e Toscana. Cambiamenti climatici, cementificazione selvaggia, abbandono del territorio… queste tragedie purtroppo hanno ben poco di naturale.

Ma torniamo in cucina. Che, come avrete capito, è una delle nostre passioni. Ed è anche un modo di viaggiare. Quando sono lontano da casa mi piace acquistare dei ricettari locali; così come mi piace, una volta tornato, cercare ricette tipiche in rete per riproporle agli amici. Così, quando il panorama dei palazzoni dalla porta-finestra del nostro appartamento di Via Antica Porta Tintoria inizia a farsi monotono o opprimente, mi ripeto: “io non sono qui”. Preparo un horatiki (la classica greek salad) e sono sotto il pergolato di una casa bianca in qualche villaggio di Cefalonia. Mangio un gattò aretino e sono in una trattoria del centro storico di Arezzo. Preparo l’impasto per una puccia e sono in un paese dell’entroterra salentino. Se voglio tornare a vivere l’atmosfera di quest’estate e sentirmi come nei Balcani mi gusto dei ćevapčići. Coerentemente con lo spirito di questo blog viaggiamo anche spostandoci di pochi chilometri, andando alla ricerca di vecchie ricette cremonesi; e chissà che ne sarà, di questa ricerca.

Ma prima della stagione delle grandi piogge che hanno sommerso l’Italia e delle tempeste finanziarie che si sono portate via (questa volta speriamo per sempre) il premier Berlusconi, abbiamo approfittato del clima mite e ci siamo concessi ancora qualche piccolo viaggio…

sabato 19 novembre 2011

Tra Quarnaro ed Istria via terra e via mare - 15. Al posto di guida

Sales, 1/9/2011

Ultima spesa a Torre. Una bottiglia di Terrano, vino rosso tipico del Carso. Dell’olio d’oliva prodotto in loco, piuttosto rinomato. E una scorta di ajvar per le nostre serate balcaniche in terra cremonese.


Riprendiamo la via del ritorno: Verteneglio, Buie, la frontiera slovena. Rimaniamo bloccati nel traffico della periferia di Capodistria, dove il verde delle colline slovene lascia il posto a capannoni e centri commerciali. E’ il primo settembre, giorno feriale. Anche nella cittadina istriana è ripreso il tran tran quotidiano.


Anche Trieste, tappa fissa quando capitiamo da queste parti, ci accoglie col suo lato peggiore; la periferia a sud della città, con le sue strutture portuali e le sue aree industriali dismesse e certi orrendi edifici residenziali. Ma una volta parcheggiata l’auto e sfuggiti al delirante traffico veicolare che attanaglia il centro storico ci caliamo immediatamente nell’atmosfera di questa città, i cui caratteri peculiari sono troppo complessi per essere racchiusi in poche righe. Rimandiamo perciò ai tanti autori – giornalisti, poeti, scrittori – nati in questa terra, che hanno sapientemente raccontato Trieste e il Carso al grande pubblico; oltre ai già citati Rumiz e Pahor e al triestino d’adozione Tomizza, aggiungo tra gli altri (e in ordine sparso) Italo Svevo, Scipio Slataper, Umberto Saba, Claudio Magris, Mauro Covacich.



Ci concediamo due riti classici della città giuliana; la pasticceria ed il caffè. Questa volta però tralasciamo i rinomati caffè storici triestini e ci fermiamo da Zoe, una caffetteria dal taglio moderno con una certa attenzione alla qualità dei prodotti serviti.


Quello di oggi è solo un assaggio, giusto una passeggiata tra Via Cavana, Piazza della Borsa, Piazza Ponterosso, il Canal Grande, il Molo Audace. La città è piena di vita, e Piazza Unità d’Italia rimane una delle più belle del nostro paese; ogni volta ha la capacità di lasciarmi stupefatto.


Comincia a piovigginare. E’ proprio ora di ritornare. Ma prima di rientrare vogliamo concederci l’ultimo pranzo del nostro viaggio. Ci arrampichiamo sulle alture del Carso, tra villaggi fatti di strette e contorte stradine che si fanno spazio tra vecchie case in pietra a vista. Raggiungiamo Sales, dove ci siamo già fermati un paio di volte in passato. Una frasca sulla strada indica la presenza di un’osmizza; si tratta di un locale gestito da contadini dove vengono serviti affettati, formaggi, vino e prodotti locali. Il posto ideale per uno spuntino o una merenda. E per ricaricarsi prima di risalire sull’auto, mettere su i Maxmaber Orkestar (un gruppo folk triestino che con le sue influenze balcaniche è un po’ la sintesi del nostro viaggio) e tornare a casa.




Di nuovo, il rientro dalle vacanze, quello della mia infanzia. Quello che vivevo sul sedile posteriore dell’auto, piangendo a dirotto perché non volevo tornare a casa. Solo che oggi sono al posto di guida e ho l’età che aveva mio padre quando mi portava qui. Ed è sconveniente guidare con gli occhi lucidi.


Questo viaggio è stato anche un salto all’indietro. Nella storia recente di queste terre, che ha molto da insegnarci. Nella realtà di chi è rimasto legato ad una società rurale e a tutti quei saperi che mai come oggi dovremmo riscoprire. E nella mia storia individuale, che senza memoria non si va da nessuna parte.


E allora che la memoria ci assista, non fosse altro che per divincolarci tra la complessa segnaletica giuliana e ritrovare la via di casa.

martedì 15 novembre 2011

Tra Quarnaro ed Istria via terra e via mare - 14. La grande e la piccola storia

Labinci, 31/8/2011



Ho letto da qualche parte che l’indole istriana è tendenzialmente pacifica, quasi passiva, e che su questa terra si è riversato più volte un clima di odio voluto altrove; a Roma, a Belgrado, a Zagabria. Eppure l’Istria ha le potenzialità per diventare una Bosnia in positivo, dove nonostante tutto la convivenza è ancora possibile; questo almeno sostiene Paolo Rumiz nella presentazione di Vento di terra, la cui prefazione è ad opera di Fulvio Tomizza. Proprio Tomizza, scrittore istriano esule a Trieste dagli anni ’50 e scomparso nel ’99, ha spesso parlato nei suoi libri dei drammi di questa terra. Ambientazione istriana anche per il libro che mi ha accompagnato in questi giorni, sempre ad opera di Tomizza; si tratta di Quando Dio uscì di chiesa, una ricostruzione storica dei processi per eresia tenutisi nel ‘500 nei confronti di diversi abitanti del bel borgo di Dignano. Le nostre strade, dall’Occitania in poi, continuano ad intrecciarsi con quelle degli eretici!



Riguardo alla storia di questa terra di confine un’interessante lettura è Nata in Istria di Anna Maria Mori, esule originaria di Pola; ma per rispetto della cronologia dei fatti narrati darei la precedenza alle opere di Boris Pahor, scrittore triestino di lingua slovena, novantasette anni ma ancora molto da raccontare.



Ma il miglior consiglio che posso dare è di venirla a visitare, questa terra stupenda. Per esempio gustandosi una gibanica (tipico dolce a base di semi di papavero e mele) e poi passeggiare per Parenzo – Poreč in croato - cittadina di origine romanica (come sta a testimoniare il nome della strada che attraversa il centro cittadino: Ulica Decumanus, con chiaro riferimento all’antico decumano). Camminando tra negozi di souvenir e gioiellerie, assistendo agli spettacoli improvvisati dei gelatai giocolieri che si lanciano le palline da un lato all’altro della piazzetta o che servono i coni ai bambini con dei giochi di prestigio, con un occhio in basso per non scivolare sulla lucida pavimentazione del decumano ed uno in alto per guardare i bei palazzi di gusto veneziano con le loro caratteristiche bifore. Visitando la magnifica Basilica Eufrasiana con i suoi mosaici e salire sul campanile per godersi il panorama.






Così trascorriamo la nostra mattinata, finché il caldo non ci induce a muoverci in direzione Cervar. Qui rimaniamo sino a quando il sole non inizia a calare spalmando i suoi riflessi dorati sul mare. Fa ancora caldo, ma non è quello torrido dei giorni scorsi. E c’è ancora in giro parecchia gente, decisamente più di quanto pensavamo. La signora Angela, impiegata nella sede centrale della holding che possiede i campeggi Lanterna e Solaris, ci ha detto che domenica scorsa il Lanterna ha registrato un migliaio di presenze in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. I turisti hanno comunque iniziato a calare. Anche per noi il rientro appare ormai prossimo ed inevitabile. Intanto i bambini giocano spensierati alla luce dell’ultimo sole ed i genitori vigilano rilassati. E’ bello fermarsi a guardarli.


A Torre sulla strada principale c’è una konoba che quando ero piccolo era diventata il ritrovo del gruppo di amici con cui trascorrevamo le estati. La gestiva un uomo che tutti chiamavano Dolo. “Ora è rimasto come padrone del locale, ma è gestito da un altro italiano. Non è più come una volta”. I locali ce lo sconsigliano, così decidiamo di fermarci a Labinci per un’ultima cena a base di ćevapčići e calamari fritti.



Mentre concludiamo la cena sorseggiando una grappa al miele il proprietario del locale si ferma a parlare con noi. E’ un ragazzo che avrà più o meno la nostra età, alto e dal fisico asciutto (alla parete alle mie spalle sono appese diverse foto che lo ritraggono impegnato in alcune maratone). Si finisce col parlare dell’ex-Jugoslavia. “Certo, molte cose erano da cambiare” ammette “ma per diversi aspetti in molti qui rimpiangono quell’epoca. Era una dimostrazione che un’alternativa al dominio degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica era possibile. E questo dava fastidio”. Un sentire a dire il vero piuttosto diffuso nell’area balcanica.In questa terra è inevitabile confrontarsi con la grande Storia, quella con la S maiuscola. Ma anche con la mia piccola storia, quello di un ragazzo cresciuto durante le estati istriane degli anni ’80. “Credo che quello sia stato il periodo migliore in Italia” prosegue Robi, il titolare. “Ci venivo spesso, anche se ero piccolo. C’era la sensazione che tutto fosse possibile, a quei tempi”. “Hai ragione” gli rispondo. “Solo ora ci rendiamo conto che non era così come ce la raccontava la TV”. I Balcani hanno già vissuto la loro disillusione. Ora tocca a noi.

sabato 12 novembre 2011

Tra Quarnaro ed Istria via terra e via mare - 13. Qualcosa che somiglia alla felicità

Labinci, 30/8/2011
Ripercorrendo in senso inverso la strada che attraversa longitudinalmente le isole di Lussino e Cherso ci sembra di riavvolgere il nastro, se non di tutto il nostro viaggio, quantomeno degli ultimi otto giorni. Alla radio Tamara Obrovać, cantante e musicista jazz-folk istriana, introduce la prossima meta.
Difficile trovare qualcuno che parli con cognizione di causa ed in maniera equilibrata di Istria. Da un lato c’è chi commemora con ostentata commozione le vittime delle foibe, scordandosi dell’italianizzazione forzata e delle violenze perpetrate ai danni delle popolazioni di lingua slava durante il fascismo, che hanno creato i presupposti storici perché ciò avvenisse. Dall’altro c’è chi arriva ad inneggiare alle foibe, ignorando che quanto è avvenuto in Istria dopo la Liberazione è andato al di là delle rappresaglie politiche sfociando in qualcosa che somiglia molto a una pulizia etnica; a pagare non furono solo italiani compromessi col fascismo.

Dal traghetto appena salpato dal porto di Porozine non vogliamo guardarci alle spalle, anche se Cres ci è rimasta nel cuore, ma guardiamo avanti, verso il profilo della costa istriana che si avvicina lentamente. Di fronte a tanta bellezza riescono incomprensibili la violenza e la cattiveria che hanno rotto l’equilibrio tra popolazioni che bene o male avevano vissuto a lungo fianco a fianco.

Ecco il porto di Brestova, ecco l’Istria, corteggiata a lungo durante questo viaggio ed ora terra sotto i nostri piedi. Percorriamo la costa fino al fiordo di Plomin, poi ci dirigiamo verso l’entroterra. Ci fermiamo a Beram, poco distante da Pazin (Pisino); ero già stato qui qualche anno fa con i miei genitori ed avevamo visitato una chiesetta in mezzo al bosco, caratterizzata dalla presenza di interessanti affreschi. Oggi invece lo scopo della nostra sosta è un pranzo a base di specialità istriane; ci sediamo sotto il portico di un ristorante, accolti da un intenso profumo di tartufi, ed ordiniamo due piatti di fuzi (tipica pasta locale) al ragù di cinghiale.


A Tar (Torre) chiediamo ad un uomo sulla sessantina dove possiamo trovare una camera. Questi, esprimendosi in anglo-croato e tracciando con gesti vigorosi una mappa sul piazzale ghiaioso ci indica dove andare. Si tratta di un’agenzia familiare che però apre tra mezz’ora. Ci fermiamo a riposare nei giardini pubblici. Dal bar di fronte arrivano i canti impastati di alcool di due avventori che si stanno intrattenendo con la procace e provocante barista.

All’agenzia ci procurano un appuntamento per le 19 con una signora di Labinci (Santa Domenica), un altro paese dell’entroterra a pochi chilometri da Tar. Abbiamo il tempo per arrivare a Santa Marina, tra il porticciolo di Vabriga (Abrega) ed il camping per naturisti Solaris, e starcene un po’ in spiaggia. Ho anche un flash-back della mia infanzia e riconosco il punto esatto in cui mia madre scattò una foto a me e mia sorella.


La signora Angela e la figlia Erika sono molto cordiali e dopo essersi fermate a parlare un po’ ci mostrano la nostra camera. Mi affaccio dal balcone; alla mia sinistra la tipica chiesetta istriana, con le campane in cima alla facciata. Di fronte un uliveto. Sulla destra, oltre il profilo di Torre, il sole che tramonta sull’Adriatico. Per me, è qualcosa che somiglia alla felicità.

La sera passeggiamo per Novigrad (Cittanova), tipica cittadina di origine romanica della costa istriana, visibilmente influenzata dal dominio veneziano, situata su un promontorio proteso verso il mare. Per strada c’è parecchia gente, e la serata è movimentata da alcune installazioni di arte contemporanea ed alcuni concerti.

Rientro da Cittanova. Ad Antenal, dopo la curva in fondo alla discesa, si svela il promontorio occupato dai campeggi Lanterna e Solaris e la strada si tuffa tra lo stagno di fianco alla foce della Mirna ed il mare. Ed un pensiero mi passa per la testa: la bellezza di questa terra ancora intatta, indipendentemente dai re, dai dittatori e dai presidenti che pretenderanno di comandarla, pronta ad ospitarmi ogni volta che vorrò tornare.

martedì 8 novembre 2011

Tra Quarnaro ed Istria via terra e via mare - 12. Italiani partiti, cornetti finiti

Lussinpiccolo, 29/8/2011

La mostra fotografica avente come tema portante l’acqua sul lungomare di Mali Lošinj ci fa venire ancora voglia di mare, nonostante il cielo oggi non sia limpidissimo e da qualche giorno il vento stia soffiando in continuazione sull’isola. Altri segnali di un agosto che sta per andarsene (“italiani partiti, cornetti finiti” si è sentita dire Sara dal cameriere di un locale dove voleva fermarsi a fare colazione).

Attraversiamo la penisola di Čikat, camminando dapprima in una zona di grosse strutture turistiche di fine ‘800 – inizio ‘900 in stato di abbandono, poi tra campi di calcio e di tennis di più recente realizzazione. Riprendiamo la camminata dove l’abbiamo interrotta ieri pomeriggio, tra le tante calette con vista sugli isolotti che circondano Lussino, meta delle gite in barca organizzate che quotidianamente partono da Mali Lošinj e Veli Lošinj.

Qui tutto sembra più dolce che a Cres: la vegetazione, i rilievi dell’entroterra, le stesse costruzioni (vedi ad esempio le palazzine liberty che caratterizzano questo tratto di costa). Ma confesso che mi manca l’aspetto selvaggio di Cherso, le sue pietraie, lo scampanio delle capre che si diffonde tra gli ulivi, le vecchie costruzioni in pietra, l’atmosfera più raccolta della città di Cres.

La camminata prosegue tra la pineta e gli scogli, dove non è infrequente imbattersi in uomini e donne che si aggirano come mamma li ha fatti, anche al di fuori dei numerosi campeggi e spiagge per naturisti. Quella del naturismo lungo le spiagge della ex-Jugoslavia è una lunga storia; una particolare influenza l’ebbe il re britannico Edoardo VIII, che insieme alla famiglia amava fare il bagno nudo in una spiaggia dell’isola di Rab. Fin dagli anni ’30 infatti le spiagge croate sono meta prediletta dei naturisti, in particolar modo tedeschi ed austriaci.

Con il vento che c’è, a noi di mostrare le pudenda non passa nemmeno per la testa; anzi, fatto l’ultimo bagno ci rivestiamo e attraverso la pineta rientriamo a Lussinpiccolo, dove acquistiamo una conchiglia dipinta a mano su una bancarella improvvisata lungo la strada da una bambinetta bionda, facciamo un aperitivo con malvasia istriana ed acquistiamo cornetti e savijača (strudel) per la colazione di domani.

Un coro folkloristico locale ravviva la serata nella centralissima Trg Republica Hrvatska, là dove si incontrano i lungomari che percorrono i due versanti della baia. In giro c’è meno gente rispetto alle serate scorse. Ma l’estate non è ancora finita e la vita a Mali Lošinj prosegue. Venerdì sera sono attesi i Psihomodo Pop, un celebre gruppo rock attivo fin dai tempi dell’ex-Jugoslavia. Ma noi non saremo più qui. Domani lasceremo Lussino. Anche per noi quelli di oggi erano gli ultimi cornetti.

martedì 1 novembre 2011

Tra Quarnaro ed Istria via terra e via mare - 11. Triathlon balcanico

Lussinpiccolo, 28/8/2011

La quiete dei vicoli interni di Lussinpiccolo è decisamente in contrasto con la vita del lungomare. Saliamo fino alla chiesa di Sv. Marija e alle rovine del castello (non visitabili), poi torniamo sul lungomare per noleggiare due biciclette. Anche intorno a Mali Lošinj ci sono parecchi itinerari ciclopedonali; seguiamo uno di questi ed arriviamo sulla penisola di Čikat, a sud della città. Qui verso fine ‘800 il botanico lussignano Ambroz Haračić piantumò un fitto bosco, che oggi ci offre riparo dal sole (anche se la giornata è ventilata ed il caldo è più accettabile rispetto ai giorni scorsi). La penisola offre numerose calette in cui fermarsi a nuotare; dopo la camminata di stamattina e la pedalata di poc’anzi, ecco completato il nostro triathlon balcanico.

Digressione sul burek (che poi sarebbe il mio pranzo di oggi). Si tratta di una pasta sfoglia ripiena di carne macinata e cipolle, oppure di formaggio o di spinaci, diffusa con differenti denominazioni (pita, lakror) un po’ in tutti i Balcani. Il cantante bosniaco Dino Merlin gli ha pure dedicato una canzone, rendendolo il simbolo della multiculturalità balcanica. Una multiculturalità che nemmeno la guerra è riuscita a eliminare completamente.

Attraversiamo la penisola di Čikat e percorriamo la strada che funge da circonvallazione di Mali Lošinj, tornando sulla costa orientale dell’isola. Da qui è possibile percorrere un altro itinerario ciclopedonale che, tra agavi e mirto, in un susseguirsi di pittoresche calette che chiamano bagni in continuazione, collega Mali Lošinj con Veli Lošinj, ovvero Lussinpiccolo con Lussingrande. Che, per complicare ulteriormente le cose, è in realtà più piccolo di Lussinpiccolo, così chiamato in iniziale contrapposizione con Lussingrande, che sorse antecedentemente. Così come Mali Lošinj, anche Veli Lošinj sorge in fondo ad una profonda insenatura, ma molto più piccola rispetto alla città principale dell’isola. Tutto qui è più raccolto, e l’atmosfera da villaggio, contrapposta a quella di una cittadina come Lussinpiccolo, ci affascina maggiormente, tanto che decidiamo di tornare per la cena.

L’agnello, specialità delle isole di Cherso e Lussino, è terminato; ripieghiamo su un classico maialino allo spiedo, accompagnato dal buon rosso della casa. Arrivati al termine della cena abbiamo proprio bisogno di una grappa al miele, un’altra delle specialità che si trovano frequentemente in vendita sui banchetti e tra gli scaffali dei negozi.

La serata a Lussingrande è ventosa, ed il mare, che si insinua nel cuore del centro lussignano, è agitato e scoraggia i turisti a sedersi ai tavolini esterni dei locali più prossimi all’acqua. Le onde si infrangono sugli scogli sotto la konoba e la slastičarnica dall’altra parte della baia, a poche decine di metri da noi. Rimangono le sedie vuote nel buio, come un salotto notturno dopo che gli ospiti se ne sono andati ed i padroni di casa hanno spento la luce e sono andati a dormire. E’ il mese di agosto ormai agli sgoccioli.

Oltre il mare, che stasera è un’agitata distesa nera, luci allineate all’orizzonte, radunate in piccoli gruppetti. Le località della terraferma. E poi, altre luci sparse. Cres, Pag, Rab… Più su, la notte stellata.

Le stelle, forse, non le avremo mai. Ma le luci all’orizzonte, quelle sono decisamente più raggiungibili. E già ci stanno chiamando.