sabato 8 novembre 2014

Luna di miele in Dodecaneso - 3. La storia di Rodi



Lindos (Grecia), 18/8/2014

 Eccoci nel porto di Rodi, di fronte al punto in cui si presume fosse collocato il famoso Colosso, una delle sette meraviglie del mondo antico. La statua, secondo le ricostruzioni, era alta almeno 28 metri e crollò a seguito di un terremoto. Le sue rovine rimasero sul fondale marino per circa otto secoli, finché gli arabi, nel 672 d.C., non le rimossero.
Noi non siamo a Rodi sulle tracce del Colosso ma dell’agenzia viaggi dove prenderemo indicazioni per pianificare la restante parte della nostra vacanza, tutt’ora avvolta nel mistero. Cerchiamo l’indirizzo esatto tra le vie di lato al Mandraki Harbour, caratterizzate dalle presenza di diversi edifici di epoca fascista. Come cinque anni fa nelle isole Ionie, ci troviamo in terre che furono italiane. Ho letto al riguardo, pochi giorni fa, che la Grecia – spinta nella direzione della dismissione di buona parte del patrimonio pubblico dalle sempre più pressanti richieste dell’Unione Europea – ha messo in vendita la villa progettata per ospitare Mussolini, situata proprio sull’isola di Rodi.

Ma per ricostruire la storia di Rodi bisogna andare ben più indietro nel tempo rispetto alla dominazione italiana: ci saranno d’aiuto le tantissime tracce che si incontrano nella città, a partire da Odòs Ippotòn (la via dei Cavalieri). 
Questa strada acciottolata in lieve pendenza è caratterizzata dal susseguirsi dei palazzi dei cavalieri di San Giovanni, dove venivano ospitati i pellegrini provenienti dalle varie zone dell’Europa e diretti a Gerusalemme. L’ordine oggi conosciuto come “Cavalieri di Malta”  ebbe sede a Rodi tra il 1309 ed il 1523. In cima alla salita ecco il bellissimo Castello del Gran Maestro, situato al limite della città vecchia (delimitata da un’imponente cinta muraria, integralmente conservata).




La Hòra è il quartiere ottomano della città, con le sue moschee e le piazzette con le fontane ed i tavolini di bar e ristoranti, situati all’ombra di maestosi alberi. In contrasto con una certa mondanità della Hòra, il quartiere ebraico è fatto di vie tranquille sulle quali si affacciano piccole casette in pietra, parte delle quali in stato di abbandono. In ogni caso, anche nel quartiere ebraico, a Rodi l’ultimo dei problemi è trovare un posto dove fermarsi per mangiare una moussaka o una taramosalata.
Di rientro verso Lindos, superato Kolymbia, seguiamo le indicazioni per Monì Tsambikis. Abbiamo letto che il santuario è meta di pellegrinaggio da parte di molte donne con problemi di fertilità, che si trascinano fin quassù sulle ginocchia e senza proferire parola, con l’intento di chiedere di concepire un figlio. Il resto della storia ce la raccontano due italiani incontrati lungo il cammino. “All’epoca della dominazione italiana le donne del posto portarono quassù la moglie del maresciallo, che non riusciva ad avere bambini. Ciò avvenne all’insaputa del marito, che era scettico al riguardo. Lei rimase incinta. Anche quando ci fummo liberati e Rodi tornò alla Grecia, i due tornarono più volte, come forma di ringraziamento”. A Monì Tsambikis c’è tutta una ritualità, che ci viene spiegata nei dettagli: affascinante, ma al tempo stesso talvolta caratterizzata da un senso di disperata ossessione (incontriamo anche donne che piangono sommessamente di fronte ad un cumulo di bambolotti con le fattezze di neonati).
Chi non crede a tutto ciò può comunque godersi il panorama e dall’alto puntare la prossima spiaggia, per esempio la sabbiosa Agàthi.

 

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