venerdì 5 marzo 2010

L'approdo del Delta - 3. Vecchie capitali e piccole Venezie

Porto Viro, 13/4/2009
Oggi ci aspetta una giornata dedicata alle città d’arte. Ci svegliamo, facciamo colazione, prepariamo le nostre cose ed imbocchiamo la Romea in direzione Ravenna. Passiamo davanti all’Abbazia di Pomposa senza fermarci per non arrivare troppo tardi nella città romagnola ma una volta entrati in tangenziale rimaniamo incolonnati nel flusso di auto dirette verso la Riviera Romagnola: è il Lunedì di Pasquetta. Decidiamo di saltare la visita a Sant’Appollinare in Classe e di puntare subito verso il centro.
Ravenna è una città di cui non si sente parlare così di frequente, in rapporto al suo importante passato. Il capoluogo romagnolo fu infatti per ben tre volte capitale; prima dell’Impero Romano d’Occidente, poi del Regno degli Ostrogoti ed infine dell’Esarcato Bizantino. Ad oggi è un’importante meta turistica; basta sedersi a mangiare una piadina in Piazza del Popolo per rendersene conto. Numerose sono le comitive scolastiche ed è frequente sentire parlare inglese, francese, tedesco. In realtà la città ha nel complesso l’aspetto di un sobrio centro padano, dal quale però affiorano beni monumentali di valore eccezionale; le chiese con i loro caratteristici campanili cilindrici (Sant’Appollinare Nuovo, il Duomo) e gli imperdibili mosaici del Mausoleo di Galla Placidia, della Basilica di San Vitale e del Battistero Neoniano. A proposito di campanili, se ne notano diversi con una leggera pendenza, e pare che ci sia una ragione precisa per tutto ciò: le estrazioni di gas dal sottosuolo, che sono proseguite per anni dando origine ad un abbassamento del terreno nell’ordine di alcuni centimetri. Non bisogna dimenticare che i terreni tutto intorno erano in origine delle paludi.
“Voi siete italiani vero? Si? Secondo voi, con un terremoto come quello ch
e c’è stato in questi giorni in Abruzzo, una struttura come questa avrebbe retto?”…Così ci avvicina un signore sulla cinquantina, a poche decine di metri da San Vitale. Indossa una giacca marrone e sta seduto su una bici interamente riverniciata in blu. “Certo che avrebbe retto”, prosegue, “perché un tempo si costruiva seguendo certi criteri. Ora abbiamo tutti i regolamenti antisismici, ma a L’Aquila molti degli edifici crollati sono stati costruiti dalla fine degli anni ’60 in poi”. Il signore, di cui non abbiamo nemmeno saputo il nome, è stato proprietario per anni di un albergo a Ravenna. Ora lavora in Svizzera. Ha una sorella che vive in un paese del Cremasco e pochi giorni fa, rientrando per le ferie pasquali, si è fermato a salutarla. Una volta ripartito ha deciso di passare da Cremona. Ci parla del Duomo e della chiesa di San Michele, poi riprende a parlare di Ravenna, della Basilica di San Vitale e dei diversi edifici che vi si sono ispirati. Si capisce che ha viaggiato parecchio e che ne sa di architettura. “Quindici - venti anni fa Ravenna era in testa nella classifica delle città italiane per quanto riguarda la qualità della vita” ci dice. Mi viene in mente Via Raul Gardini (protagonista assoluto della scena economica ravennate, morto suicida in un’epoca nemmeno troppo lontana in cui essere coinvolto in un caso di tangenti era considerato un disonore anziché un vanto), nella quale camminavamo giusto un’ora fa. “Ora in Via Cavour è un continuo avvicendarsi di negozi. Aprono, resistono due o tre anni, poi chiudono. Dopo qualche mese riapre qualcun altro”. Ma questa credo non sia solo una storia ravennate.
In ogni città italiana c’è una lapide sotto un balcone da cui si affacciò Garibaldi entusiasmando il popolo (l’ultima l’abbiamo vista in Corso del Popolo, l’arteria principale del centro di Chioggia). A Ravenna nel giro di pochi chilometri si trovano il capanno dove si rifugiò l’eroe dei due mondi inseguito dagli austriaci, la casa dove morì Anita Garibaldi ed il cippo a lei dedicato. Passando davanti al Mausoleo di Teodorico vediamo le indicazioni per il Capanno Garibaldi ed optiamo per una deviazione. E’ l’occasione per costeggiare l’enorme polo industriale che si estende nella zona del Porto, nel quale sono state girate numerose scene del film “Provincia meccanica” con Stefano Accorsi. Lasciati mosaici e chiese alle nostre spalle, tra baracche e reti di pescatori alla nostra sinistra e cisterne e ciminiere alla nostra destra, in un singolare contrasto tra i vari volti di Ravenna (quello storico, quello agreste e quello industriale) arriviamo al mare in località Porto Corsini. Proseguiamo fino a Casal Borsetti e tagliamo all’interno attraversando la suggestiva Pineta di San Vitale ed entrando nella Romea all’altezza delle Valli di Comacchio (sempre per restare in tema cinematografico, sono le zone in cui è stato girato “Agata e la tempesta” di Silvio Soldini).
Riusciamo a percorrere forse un chilometro e siamo già bloccati nel traffico del rientro dai lidi ravennati. Ci si muove di un centinaio di metri ogni dieci minuti. C’è
il tempo per finire di leggere “Vento forte tra Lacedonia e Candela” di Franco Arminio e di invidiare l’autore che se ne va in giro di paese in paese per strade secondarie. Qui siamo stretti tra l’Adriatico e le Valli di Comacchio. Nessuna deviazione di percorso è possibile. Riusciamo ad abbandonare la statale solo all’altezza dei primi lidi ferraresi.
Si fa tappa a Comacchio che – come Chioggia – si fregia del titolo di piccola Venezia. Ed è davvero una cittadina suggestiva; i canali, la singolare costruzione del Trepponti, il lunghissimo Portico dei Cappuccini sono motivi sufficienti per fermarsi a fare una visita. Nel caso ciò non bastasse aggiungiamo pure la coda infinita sulla
Romea. E l’anguilla.L’allevamento delle anguille era l’attività più redditizia per i signori di Comacchio. La signora che ci ospita ci ha raccontato come nelle notti nebbiose fosse facile per i popolani salire sulle barche a remi, raggiungere gli allevamenti e fare razzia, rientrando poi a casa attraverso i numerosi canali che attraversano il centro storico. Per rendere onore a questa bella storia mi sembra d’obbligo un bel piatto di polenta e anguilla ai ferri. Aspettando che si esaurisca il traffico del rientro.

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