lunedì 8 marzo 2010

L'approdo del Delta - 4. Ansia di mare

Porto Viro, 14/4/2009
Il Delta è la nostra Camargue, si dice. E abbiamo pure i fenicotteri. Si vedono tra le valli dalla strada per Albarella, isola privata che al viaggiatore appare come un ghetto per ricchi con tanto di campo da golf e dogana all’ingresso con sbarre e gabbiotto di controllo. Purtroppo non abbiamo con noi un binocolo e ci limitiamo a riprendere e fotografare da lontano.
E’ la giornata ideale per riposarsi un po’ in spiaggia; a nord di Albarella ci sono le località turistiche di Rosolina Mare e Sottomarina di Chioggia, mentre a sud bisogna raggiungere la spiaggia di Boccasette, una delle poche zone del Delta che si affaccia sul mare aperto raggiungibile via terra. Optiamo per quest’ultima ipotesi. Riesco anche a prendere coraggio e farmi il primo bagno stagionale. A qualche decina di metri da me un ragazzo mi vede e prova a seguire il mio esempio. Procede per qualche metro da lontano poi mi guarda. Io lo incoraggio e lui si butta. E’ solo l’una e mezza ma sento di avere già dato un significato alla mia giornata.
Il Delta del Po merita di essere visitato in barca, ma a Pila e
Porto Tolle non troviamo la persona che ci è stata indicata per accompagnarci. Ci inoltriamo allora nella zona a sud del Po di Venezia, iniziando il giro dell’Isola della Donzella. Dopo l’abitato di Bonelli si entra nella Sacca degli Scardovari, territorio di pescatori di vongole. Qui il paesaggio è differente rispetto alla zona visitata due giorni fa; ci sono meno valli interne, ma la Sacca è una grande laguna separata dal Mare Adriatico da un isolotto più al largo. La percezione della vicinanza del mare è più forte, ma l’interno conserva un carattere prettamente agricolo. Costeggiamo le casette dei pescatori, che si diradano spostandosi verso il lato di ponente della Sacca. Rarissime le auto; incontriamo qualche camper ed alcune bici. Di tanto in tanto ci fermiamo; nell’aria solo le diverse grida degli uccelli e il brusio lontano di qualche barca a motore. Sembra quasi di essere in qualche isoletta croata, tanto arrivano attutiti i clamori del mondo. Fino a Bonelli si vedevano ancora uomini al lavoro nel porto o a preparare i baracchini sulle poche spiagge in vista della stagione estiva (di cui i giorni di Pasqua devono essere stati una sorta di rodaggio); adesso ci troviamo nel territorio dei pescatori.
Il ponte di barche esercita un fascino strano; da noi sono quasi del tutto spariti. Ne percorriamo uno all’altezza di Santa Giulia per attraversare il Po di Gnocca ed entrare in un paese con un nome dal fascino antico: Gorino Sullam. Da qui proseguiamo verso sud fino alla Bocca del Po di Goro. Qui il contrasto tra i due paesaggi è ancora più evidente. Siamo su un argine sopraelevato rispetto alla strada; per novanta gradi la campagna potrebbe tranquillamente essere quella cremonese, mentre negli altri duecentosettanta si aprono davanti a noi le Bocche del Po di Goro, cinte da un fitto canneto. Dall’altro lato del fiume il faro a segnalare l’immediata vicinanza dell’Adriatico. Solo ora mi spiego appieno la sensazione che provo ogni volta che arrivo al fiume, dopo aver percorso chilometri di strada in golena, in mezzo alla campagna cremonese; quel senso di lieve insoddisfazione, come ci fosse qualcosa di incompleto. Un’ansia di mare, come una promessa nella lenta corrente delle acque del Grande Fiume. La comprendo solo ora che siamo arrivati a destinazione.
Rientriamo attraversando Goro ed il suggestivo Bosco della Mesola. Dopo la doccia decidiamo che siamo stanchi di stare in auto, così ceniamo a Porto Viro. Sara individua un ristorante - pizzeria.
I dipinti alle pareti ed i piatti proposti dal menù sono piuttosto eloquenti; infatti, come abbiamo modo di leggere dalla lista, Nicola e Sandra dopo averci ringraziato per averli scelti ci informano che la cucina della casa è un omaggio alla terra di origine di Sandra. Un ristorante tipico altoatesino nel cuore del Polesine! Sara ordina un piatto di spatzle (ottimi) mentre io, per dare una parvenza di tipicità alla mia cena, preferisco una pizza polesana. Sulle pareti, oltre alla mucca proprio al mio fianco che osserva la nostra cena, riconosco il profilo del Sassolungo, del Sassopiatto e del Vajolet. Chiedo a Nicola – che è venuto di persona a servirci – le origine esatte di Sandra. “E’ altoatesina, dell’Alpe di Siusi”. Gli dico che conosco la zona. Un bel cambiamento, dice lui, dalle montagne a tutta questa pianura. “Beh…si è ambientata, alla fine?” gli chiedo. “Mai”.Penso all’angoscia che da una pianura infinita, per usare le parole di Guccini. Credo di conoscerla, e di sapere cosa significa vivere in provincia. La voglia di fuga ha mille volti. Il desiderio di stordirsi e perdersi in strade affollate e piene di luci nella notte di qualche città. Il rimpianto per un orizzonte non irrimediabilmente piatto ma frastagliato. O l’ansia di mare.

Nessun commento:

Posta un commento