mercoledì 11 gennaio 2012

Stessi borghi, stessi colli - 2. Pane e companatico

Torniella, 30/12/2011

Quando usciamo di casa la vita per le strade di Torniella è quella di tutti i giorni: l’altoparlante del circolo Arci diffonde la musica per la piazza del paese e la forneria poco distante è aperta – ma la luce a dire il vero è accesa ad ogni ora del giorno e della notte – e la signora che vende il pane e i cavallucci mi riporta alla mente i racconti di mio zio Mariano quando parla della panetteria di famiglia, racconti che ha raccolto in un libro che leggevo poco fa sul divano-letto.

Arrivati a Monterotondo Marittimo parcheggiamo nei pressi della torre di raffreddamento della centrale geotermica e facciamo una passeggiata tra lagoni e fumarole. Le pietraie bianche e le rocce nere sembrano cumuli di cenere che si ergono in mezzo alla terra rossa. Intorno il verde della vegetazione maremmana, che anche d’inverno non perde del tutto il suo colore: querce da sughero, lecci, castagni. Le colonne di fumo a tratti nascondono e a tratti svelano il profilo dei colli che si perdono all’orizzonte, mentre il sole che va e viene gioca a creare riflessi sul Tirreno in lontananza, specchio di luce da cui emergono le isole di Montecristo e d’Elba.
Pranziamo con torte salate preparate da noi, cinghiale sott’olio della zia di Fausto e cantucci della zia di Leonardo, pure lei fornaia; un esempio di riconversione dell’artigianato pratese a seguito della crisi del settore tessile, fagocitato dai cinesi. Ce ne andiamo solo quando l’odore sulfureo delle fumarole comincia a venirci a noia.
Al rientro rimaniamo rapiti da Rocca Tederighi, che ci attende appollaiata su uno sperone roccioso. Entriamo nella bottega di ceramiche della signora Anna, tedesca trapiantata in Toscana. La osserviamo incantati mentre lavora al tornio dopo aver manipolato l’argilla. I suoi movimenti mi ricordano quelli del fornaio che impasta il pane, mani da artigiano che agiscono con sapienza tenendo viva una tradizione antica e, con essa, il borgo e la comunità che vi gravita intorno. Un borgo caratteristico che non manchiamo di visitare, salendo fino alla roccia che domina il paese.

Ci rendiamo conto che i quattro giorni che abbiamo a disposizione non basteranno per consumare la spropositata quantità di cibo che abbiamo in dispensa. La zia di Fausto oltre ad ospitarci ci ha preparato molte cose buone, tra cui il ragù di cinghiale con cui condiamo le penne. Prepariamo poi una zuppa di cavolo nero e del crostino toscano. Mi siedo per la cena non sapendo quando riuscirò ad alzarmi, scherzando e discutendo coi compagni di tavolata. Compagni; dal latino cum panis, coloro con cui si condivide il pane. E va bene pure se è sciapo, cioè non salato, come si usa in Toscana, perché il companatico è saporito; in questi giorni infatti non ci stiamo facendo mancare nulla.

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