domenica 19 febbraio 2012

Torricella del Pizzo - Sorprese tra l'afa e la nebbia


Gennaio 2012

In quei giorni avevamo girato la golena di Torricella del Pizzo in lungo e in largo, dalla Lanca di Gerole alla località Bosco Piazza. Aree un tempo occupate da boschi molto estesi (le cronache narrano che vi trovarono rifugio due briganti che imperversavano tra Motta Baluffi e Torricella nella prima metà dell’800) oggi ormai raggiunte dall’infinita distesa di monocoltura di mais; l’ultimo drastico taglio di piante pare sia stato effettuato nella zona umida chiamata Cutarda, in prossimità della Lanca di Gerole, poco prima che fosse istituita la riserva naturale.
Anche quell’afoso giorno d’estate, giunti al centro di Torricella, seguimmo le indicazioni Fiume Po, inoltrandoci sempre più nella golena. Quando la strada sterrata e polverosa si fece troppo sconnessa parcheggiammo in prossimità dell’unico albero della zona, pregando senza troppe speranze che l’anoressica ombra della mattinata inoltrata graziasse un poco Naomi, la mia indimenticata Opel Corsa Swing No Logo.
Proseguimmo a piedi; ben presto dovetti separarmi dalla mia collega, continuando da solo la camminata fino a raggiungere un’immensa distesa sabbiosa. Tra lo spiaggione facevano capolino qua e là arbusti riarsi. Un centinaio di metri alla mia sinistra, prima del saliceto, tronchi morti di alberi trasportati fin qui dall’ultima piena fluviale. Altri alberi, apparentemente morti anch’essi, stavano ritti in piedi; probabilmente l’abbassamento della falda aveva sottratto l’acqua alle loro radici. La sabbia era solcata da impronte di volatili e da tracce del passaggio di un quad. Altri segni di gomme, queste più grosse (probabilmente un trattore) scomparivano nella lanca nel punto dove questa si faceva più stretta per poi riemergere al di là dello specchio d’acqua. Tutta quella sabbia fine rifletteva il calore asfissiante e sembrava si appiccicasse alla pelle, anche se non c’era un filo di vento.
Dire che quello è un posto dimenticato da Dio e dagli uomini non sarebbe però corretto. La tesi del passaggio del padreterno potrebbe essere suffragata dalla singolare toponomastica di questi luoghi, che non si accontenta dei popolari santi contadini annoverando addirittura la presenza della Isola Jesus. La presenza umana invece l’ho constatata io stesso. Un anziano signore, che si materializzò dal nulla ad una cinquantina di metri da me. Un camminatore, un pescatore, forse il pazzo del paese. Sotto il sole dell’una del pomeriggio di una giornata di luglio. D’altra parte chissà cos’avrà pensato lui a vedermi girare con quella strana strumentazione a quell’orario improponibile. Magari che ero un pazzo forestiero.
Continuai a camminare fino a raggiungere il corso vivo del fiume Po, che mi svelò la sponda parmigiana; al di là dei salici stava l’altra Torricella, frazione di Sissa, quella che un’improbabile teoria vuole fosse un’unica entità con la Torricella cremonese, separata poi dal mutato corso del Grande Fiume.
Ritornammo al paese stremati. Cercammo vanamente una panchina e una fontanella all’ombra per mangiare i nostri panini in pace e ricaricare le borracce con acqua fresca. La cura nella progettazione delle aree verdi pubbliche lascia sempre più a desiderare, forse perché le panchine sono viste come roba da extra-comunitari, forse perché non bisogna bere alle fontanelle ma acquistare l’acqua Vera o San Benedetto al bar. La cosa mi indispose parecchio, ma nei cinque minuti successivi ebbi tre visioni che mi riconciliarono con la vita. Un cartello stradale bianco cerchiato di rosso col triangolo rovesciato, anch’esso rosso, che racchiudeva la scritta stop; non ne vedevo da tantissimo tempo dalle mie parti. Un vecchio edificio abbandonato con uno stretto spigolo alla confluenza tra due vie; sopra la porta la vecchia insegna di una macelleria. Una cinquecento bianca sull’argine maestro, con a bordo due vecchietti sulla settantina, uno con fini baffetti e maglia a righe orizzontali, l’altro con occhiali da sole e camicia bianca sbottonata sul petto. Fui subito proiettato in qualche posto fuori dal tempo.
Torricella del Pizzo mi fa quest’effetto, tende a mettermi in un cattivo stato d’animo per poi sorprendermi con qualche chicca. Come stasera, dopo aver guidato per mezz’ora in mezzo ad un muro di nebbia che mi isolava dal paesaggio circostante per venire alla celebre Festa dal Pipen (il piedino di maiale lessato), nello scoprire che il menù della serata non prevede… il pipen! Facciamo due passi per il paese, con l’umidità che ci entra nelle ossa, nell’attesa che arrivi l’ora di cena, quand’ecco che nella nebbia si materializza una combriccola di amici; è Villa Arzilla al gran completo! Ci aggreghiamo a loro per una visita guidata ai due musei di Torricella. Si, perché scopro che qui ci sono ben due musei “totalmente realizzati e gestiti da privati appassionati”, come mi spiega Ettore, che abita nel vicino paese di Motta. Il primo è un interessante museo di storia naturale, con una suggestiva collezione di fossili. Il secondo è un museo di strumenti musicali meccanici. Vado matto per organetti a manovella e marchingegni simili, ma purtroppo si è fatto troppo tardi ed il gestore ha appena chiuso. Vorrà dire che adesso avrò una ragione per tornare a Torricella. In ogni caso ci aspetta la ricompensa; una cena che si rivela ottima e la comparsa inaspettata di un vassoio di pipen, procurato sottobanco grazie alla strenua opera di convincimento operata dagli amici di Villa Arzilla!

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