lunedì 26 novembre 2012

La mia città in quattro stagioni - Autunno



Il buio mi coglie di sorpresa, mentre sto camminando per via Ermelinda Tinti. E’ un buio strano, quello che mi trovo di fronte appena uscito dal doppio fornice, diverso da quello punteggiato di luci intorno alla città, da quello rischiarato dal bagliore dei lampioni delle vie del centro, da quello assoluto della campagna nelle notti senza luna. Il buio che cade tra le braccia della nebbia, che si è diradata un poco giusto all’ora di pranzo ma è prontamente ridiscesa in tempo per attenderlo, è un buio irreale, forse malato, luminoso a suo modo. L’umidità mi penetra nelle ossa, i capelli si fanno crespi e bagnati. Con lo sguardo cerco qualcosa che mi dia un’idea di calore; mi accontento della radiale – denominazione prettamente cremonese dell’autobus urbano – parentesi arancione nel grigio-blu. Colgo qualche sguardo dai finestrini del mezzo semivuoto: anziane sole con la borsa della spesa, ragazze africane che si accarezzano le treccine, un paio di adolescenti diretti forse in qualche quartiere periferico dove i palazzi finiscono nei campi divorati dalla nebbia: Cambonino, Maristella, Zaist…
E’ dura abituarsi al ritorno dell’ora solare, ma è pur sempre sabato pomeriggio. In autunno i fine settimana ricordano quelli dell’adolescenza. D’estate è diverso, si esce quasi tutte le sere e si tira tardi anche se il giorno dopo si va a lavorare. Negli altri mesi dell’anno non è così, ed il sabato sera rimane sempre carico di aspettative, anche se non c’è più la dirompente carica dei sedici anni che sicuramente sta spingendo i due ragazzini sulla radiale a discutere del programma della serata, delle amichette con cui provarci o delle feste in cui imbucarsi per prendersi una sbronza colossale. Così, se ieri sera mi portavo addosso ancora un po’ della stanchezza della settimana, oggi me ne sono stato in casa a riposare, ed ora sono nel pieno delle mie forze.
E’ bello sentirsi protetti dalla coltre di nebbia, avvolti dal riverbero del torpore autunnale. Il fatto di non vedere nulla oltre questi pochi metri davanti a me rende tutto più intimo. Le vie del centro non sono ancora state invase dalle luminarie natalizie, che ogni anno cercano di anticipare sempre di più le feste, e la Festa del Torrone slitta indietro di qualche giorno, nell’illusione che dalle tasche sempre più vuote dei cremonesi escano sempre più denari da immolare all’altare del Consumo. Il Natale è la nostra prossima meta, ma ogni cosa a suo tempo, e questo è il tempo della malinconia autunnale, del tappeto di foglie gialle e rosse nel giardinetto di Largo Paolo Sarpi e della nebbia che fa si che mi renda conto di essere arrivato in via Aselli solo perché è terminato l’asfalto e comincia il pavimento lastricato.
In questa atmosfera raccolta viene voglia di infilarsi in una delle tante chiese di Cremona, che sono solo una piccola parte di quelle presenti un tempo, elencate nel libro di Luciano Dacquati intitolato 101 altari scomparsi: il compianto studioso racconta che gli edifici religiosi erano moltissimi (anche se i bordelli non erano da meno; noi italiani siamo così). La maggior parte dei turisti in visita a Cremona si limita ad entrare in Duomo e a scattare qualche foto, ma varrebbe la pena di fare un bel tour delle chiese cremonesi, a partire da San Sigismondo, una perla incastonata nell’omonimo borgo, quartiere periferico dell’estremità est della città, in una zona paesaggisticamente molto bella ma deturpata dalla sciagurata pianificazione territoriale cremonese che l’ha chiusa tra la discarica e l’inceneritore da un lato e l’Ospedale Maggiore e il carcere di Ca’ del Ferro dall’altro. La presenza delle monache di clausura ha limitato la visitabilità del chiostro ad occasioni particolari, ma la chiesa è sempre accessibile ed è considerata la seconda della città in ordine di importanza al pari di San Michele, a due passi da Porta Romana. Ma nel centro cittadino ce ne sono in abbondanza, di chiese degne di nota: Sant’Agostino, che risulta ancora più imponente nella piccola piazza acciottolata, San Pietro a Po, che deve il suo nome alle acque del Grande Fiume che un tempo ne lambivano il sagrato, Sant’Abbondio, “una delle sette chiese” (come si legge sulla facciata). Cremona, città della musica, tra qualche settimana aprirà le porte delle sue chiese ai concerti natalizi: Santa Lucia, nei pressi di Porta Po, la graziosa San Bassano, nei quartieri della Leggera raccontata da Danilo Montaldi, Santa Maria Maddalena, riaperta da qualche anno grazie ai volontari del Touring Club Italiano.
Finisco proprio in Piazza Sant’Agostino mentre tre ragazzi entrano al Fico. Si è fatta ormai l’ora dell’aperitivo. In questo momento Piazza della Pace inizierà a riempirsi, anche se si sta fuori giusto il tempo di una sigaretta, poi subito dentro la Tisaneria o in uno degli altri locali. Ho voglia di fare una serata come non mi accade da molto tempo: entrare al Chocolat a bere un aperitivo, raccogliere qualche amico ed andare a cena da qualche parte. All’osteria Garibaldi, per esempio, a provare gli esperimenti culinari del cuoco Paolo, tra tradizioni locali e sapori del resto del mondo. O da Mellini, il cui ingresso, quasi nascosto tra le abitazioni, ne fa già pregustare la cucina casalinga. Oppure da Cerri, per assaggiare il rinomato stinco ed altre tipicità cremonesi. Oppure ancora al Bissone, la storica osteria del centro, che ancora offre un’ottima cucina. Certo la Cremona di Ugo Tognazzi non esiste più, e nelle osterie non si va più per suonare la chitarra e tirare tardi davanti a qualche bottiglia di vino. Bisognerà inventarsi qualcos’altro per il dopo cena: magari si può fare un salto dagli amici del circolo Arci di via Speciano e ascoltare della buona musica. E’ sabato sera, anche in mezzo alla nebbia. Anche d’autunno. Anche nella nostra tranquilla città.

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