lunedì 19 ottobre 2009

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 2. Kalinifta

Kavos, 17/08/09
La Grecia mi dà il buongiorno non appena, dal ponte della nave, apro gli occhi ancora velati dal sonno. La brulla costa orientale dello Ionio scorre placida davanti a me nella luce morbida dei minuti immediatamente precedenti all’alba. Ci stiamo avvicinando alle montagne intraviste all’orizzonte giusto un anno fa, in Salento, in una giornata particolarmente serena.
Il viaggio è passato più velocemente del previsto, tra il primo gyros della vacanza e la lettura della Lonely Planet, che per ora rimane la mia preferita tra le guide turistiche. Apprezzo in particolare i capitoli dedicati agli usi e costumi locali e i flash sui “libri da non perdere”, sui “dieci film da vedere assolutamente” e cose di questo genere. Al proposito la guida indica il nostro “Mediterraneo”, che ho visto parecchi anni fa, così come “Z – L’orgia del potere”, la bella pellicola di Costa Gavras sul colpo di stato che ha portato al regime dei colonnelli; mentre ho visto solo qualche spezzone di “Il mio grosso grasso matrimonio greco” ed ammetto la grave mancanza commessa nel non avere ancora visto “Zorba il greco”.

Sbarchiamo ad Igoumenitsa alle otto del mattino e riusciamo a salire al volo sul primo traghetto per Corfù. “Pamen”, ci dice l’uomo sul molo strappandoci i biglietti con fare concitato. Le mie pur scarse nozioni di greco cominciano a dare i primi frutti.
Sbarcati a Corfù Città abbiamo qualche
difficoltà ad ottenere informazioni sugli orari degli autobus, ma solo perché siamo convinti che sia domenica mentre invece è già lunedì; segno inequivocabile che ormai ci sentiamo davvero in vacanza. Risolto l’equivoco prendiamo l’autobus per Kavos, estremità sud dell’isola. Per i primi quaranta minuti di viaggio attraversiamo le varie località turistiche situate lungo la costa sud di Corfù Città, in un susseguirsi di Hotel Miramare, Marbella, Maremonti. Ad una fermata sale un giovane inglese; cappellino da pescatore a fiori, torso nudo, bottiglia di birra in mano e rosa tatuata con scritta “England” in bella vista sul bicipite. Ecco il prototipo di umanità che preferirei evitare durante il nostro viaggio. In alcune località della Grecia una certa tipologia di turismo anglosassone rappresenta un serio problema, tanto che qualche anno fa era stata lanciata la provocatoria proposta di installare delle gabbie per contenere i più agitati tra gli inglesi ubriachi.
Ci interessa invece osservare la popolazione locale, anche se non capiamo nulla di quello che dicono; il greco è uno strano insieme di suoni aspri e musicali nello stesso tempo, che al nostro orecchio risultano incomprensibili. Ma mi diverte ugualmente assistere allo scambio di battute tra il corpulento e mite controllore ed il canuto vecchietto con i baffi, che di fianco a lui sembra ancora più piccoletto ma che è molto più agitato nell’eloquio. Anche nello stile i due presentano un contrasto degno delle migliori coppie di comici: il controllore con i lunghi capelli che gli scendono sul viso lievemente imperlato di sudore, il vecchietto a suo modo impeccabile nella camicia bianca a righe verticali che lascia intravedere la canottiera di sotto.
Decido che, se pure in queste due settimane non imparerò che una manciata di parole in greco, voglio almeno imparare a leggere l’alfabeto. Come primo risultato riesc
o a leggere psistaria (ovvero un locale dove si serve della carne alla griglia) su un’insegna nel centro di Lefkimmi, bianca cittadina dell'entroterra. Ci fermiamo a mangiare un horatiki (la classica insalata greca con pomodori, cetrioli, peperoni, feta, cipolle e olive) e una souvlaki pita, concludendo il pranzo col primo caffè greco. Chiediamo informazioni al gentilissimo cameriere che mobilita tutto il locale ma alla fine non riesce ad indicarci un posto dove si affittano motorini. Ci indica la poco lontana e più turistica Kavos, dove troviamo una camera e ci concediamo un po’ di ozio in spiaggia e il primo bagno nelle acque greche.

Pochi giorni prima della partenza su Radio 3 ho sentito un intervista ad Eugenio Finardi, che stava preparando alcuni pezzi in vista della sua partecipazione alla Notte della Taranta, accompagnando il suo lavoro con uno studio sul grico e sui dialetti salentini. Raccontava di come stando in un luogo si possa venire catturati dalle sonorità di lingue e dialetti fino ad assorbirli almeno in parte. “Pensate, c’è una canzone che si chiama Kalinifta. Lo sentite il suono meraviglioso di questa parola? Kalinifta. Ce lo portiamo dentro da sempre.”.
Dal balcone della nostra camera arriva l’eco del ritmo martellante delle discoteche affollate di turisti, ma nonostante questo riesco a sentire le cicale. Per la prima volta sotto il cielo di Grecia, provo anch’io in qualche modo a dire Kalinifta.

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