giovedì 22 ottobre 2009

Per le isole Ionie seguendo solo una traccia - 3. Grecia vera

Kavos, 18/08/09
Kavos si è rivelato una specie di luna-park studiato per i turisti stranieri, soprattutto inglesi. Purtroppo la Grecia, in agosto, è anche questo. Per i prossimi due giorni useremo la nostra camera come punto di partenza per perlustrare la zona ma cercheremo di passare a Kavos meno tempo possibile. Infatti partiamo di buon ora, quando i negozi hanno aperto da poco e i gestori, scuotendo la testa, ripuliscono i marciapiedi dai residui della sera precedente.
“I drive only cars”, dico all’uomo che ci noleggia i motorini e che ci guarda un po’ sorpreso mentre Sara si mette alla guida dello scooter (in realtà dopo pochi chilometri ci
daremo il cambio; nonostante la mia scarsa dimestichezza col mezzo torneremo a casa sani e salvi). Ci rassicura: a Corfù i motorini non li hanno mai rubati. “The only danger is the vandalism”, continua, il vandalismo ad opera degli “english drunk”.
I greci e gli stranieri. Un punto a favore del popolo ellenico è la dimestichezza co
n le lingue estere. Anche gli anziani e le persone che non lavorano nel turismo stanno dimostrando una buona padronanza non solo dell’inglese ma anche dell’italiano, del tedesco, talvolta persino dello spagnolo o del francese, come l’impiegato dell’agenzia di viaggi con cui ci siamo fermati a parlare questa mattina. Per motivi storici prima e turistici poi, i greci sono entrati in contatto soprattutto con inglesi, tedeschi e italiani, spesso trovandoseli in casa come ospiti non proprio desiderati. Oggi gli stranieri portano soldi all’economia greca, specialmente quella delle isole, anche se un certo tipo di turismo assume talvolta i connotati di un neo-colonialismo.

Ci sono persone che ha
nno un istinto innato, come se perdersi facesse parte di un gioco che conoscono perfettamente e, per loro, le strade non finiscono mai. Questa bella frase non è mia ma di Alan Zamboni, amico scrittore e cantautore bresciano. “Grecia, solo ritorno” è il libro che mi accompagna durante il viaggio. Sara non è da meno; anche lei porta con se un libro a tema, “Il colosso di Marussi” di Henry Miller.
Come i personaggi del libro di Alan ci perdiamo anche noi, tra vecchietti seduti all’ombra di verdi pergolati, ragazzini che accompagnano asini con le bisacce ricolme, anziane signore dai volti grinzosi avvolte in scialli neri; finalmente si comincia a respirare aria d
i Grecia vera! Facciamo pausa in una taverna per un frappè (qui solitamente è preparato con caffè, latte, zucchero e ghiaccio) e soprattutto per cercare di capire dove siamo. Scopriamo così che ci troviamo a pochi chilometri dal Lago di Korissa, specchio di acqua salmastra separato dal mare da una sottile striscia di terreno. All’estremità settentrionale del lago è situata la spiaggia di Aloniki, la prima degna di nota che incontriamo: l’idea di un bel bagno è troppo invitante. Mi sono alzato con un forte mal di testa, ma una bella nuotata è meglio di cento Moment.
I resti del vicino castello di Gardiki sono circondati da un paesaggio suggestivo dominato da contorti ulivi secolari; era però il caso di ripulire la zona dopo l’ultimo concerto. All’interno troviamo il palco ancora montato, sedie di plastica accatastate qua e là, un generatore di corrente, un distributore di bibite scassato ed un frigo per i gelati con i vetri sfondati.
Altra spiaggia degna di nota è quell
a di Prassoudi, dove ci fermiamo per un piatto di calamari sotto una terrazza con vista spettacolare sugli scogli che fronteggiano la baia. Ce la prendiamo comoda, in sintonia con i tempi di chi ci sta intorno. Per la maggior parte si tratta di greci; tra questi ci colpisce in particolar modo un anziano signore con indosso un copricapo tipico intento nella siesta pomeridiana. Dopo una mezz’oretta dal nostro arrivo questi si alza, ci impiega un po’ a capire dove si trova, poi raggiunge i compagni di tavolata e riprende a mangiare.
Terminato il pranzo ci rimettiamo in viaggio attraversando l’isola e percorrendo la costa
orientale da Messoggi a Boukari, in un susseguirsi di minuscoli porticcioli, casette e taverne affacciate sul mare. Raggiungiamo Alikes, dove l’isola di Corfù termina con una lunga lingua di terra che la nostra mappa segnala come area marina protetta ma che sembra in stato di degrado, tra sterpaglie e relitti di barche arenati sulla spiaggia. Ci fermiamo qualche centinaio di metri prima per toglierci il piacere di un bagno al tramonto.
La sera ritorniamo a Lefkimmi, pittoresca cittadina dell’interno (così come pittoresco è anche il vicino villaggio di Perivoli), dove ci siamo già fermati ieri a pranzo. Scegliamo una taverna affacciata sul canale
che attraversa il centro e consumiamo una cena tipicamente greca. Tsatsiki e moussaka, per me. Sara ordina un ouzo ma non apprezza particolarmente. Io lo mando giù volentieri, pur non essendo un amante del sapore dell’anice (il che mi preclude la passione per Sambuca, pastis e, appunto, ouzo).

Il pensierino della sera è per l’eroe mitologico Ettore. Lo scrivo perché entrando nel corridoio che conduce alla nostra camera ho appena notato il quadro con la famosa rappresentazione (presente un po’ ovunque, almeno da queste parti) in cui Achille trascina il corpo del nemico appena sconfitto legato ad un carro. Non esattamente un gesto di fair-play. Ettore era di tutt’altra pasta; andò incontro al proprio destino a testa alta, pur sapendo che sarebbe stato sconfitto. Ettore non l’avrebbe fatto, di questo ne sono certo. E se qualcuno si sta chiedendo “che cazzo c’entra”, be’ ecco; è il terzo capitolo in cui parlo di Grecia, potevo continuare ad eludere la mitologia?

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