martedì 15 novembre 2011

Tra Quarnaro ed Istria via terra e via mare - 14. La grande e la piccola storia

Labinci, 31/8/2011



Ho letto da qualche parte che l’indole istriana è tendenzialmente pacifica, quasi passiva, e che su questa terra si è riversato più volte un clima di odio voluto altrove; a Roma, a Belgrado, a Zagabria. Eppure l’Istria ha le potenzialità per diventare una Bosnia in positivo, dove nonostante tutto la convivenza è ancora possibile; questo almeno sostiene Paolo Rumiz nella presentazione di Vento di terra, la cui prefazione è ad opera di Fulvio Tomizza. Proprio Tomizza, scrittore istriano esule a Trieste dagli anni ’50 e scomparso nel ’99, ha spesso parlato nei suoi libri dei drammi di questa terra. Ambientazione istriana anche per il libro che mi ha accompagnato in questi giorni, sempre ad opera di Tomizza; si tratta di Quando Dio uscì di chiesa, una ricostruzione storica dei processi per eresia tenutisi nel ‘500 nei confronti di diversi abitanti del bel borgo di Dignano. Le nostre strade, dall’Occitania in poi, continuano ad intrecciarsi con quelle degli eretici!



Riguardo alla storia di questa terra di confine un’interessante lettura è Nata in Istria di Anna Maria Mori, esule originaria di Pola; ma per rispetto della cronologia dei fatti narrati darei la precedenza alle opere di Boris Pahor, scrittore triestino di lingua slovena, novantasette anni ma ancora molto da raccontare.



Ma il miglior consiglio che posso dare è di venirla a visitare, questa terra stupenda. Per esempio gustandosi una gibanica (tipico dolce a base di semi di papavero e mele) e poi passeggiare per Parenzo – Poreč in croato - cittadina di origine romanica (come sta a testimoniare il nome della strada che attraversa il centro cittadino: Ulica Decumanus, con chiaro riferimento all’antico decumano). Camminando tra negozi di souvenir e gioiellerie, assistendo agli spettacoli improvvisati dei gelatai giocolieri che si lanciano le palline da un lato all’altro della piazzetta o che servono i coni ai bambini con dei giochi di prestigio, con un occhio in basso per non scivolare sulla lucida pavimentazione del decumano ed uno in alto per guardare i bei palazzi di gusto veneziano con le loro caratteristiche bifore. Visitando la magnifica Basilica Eufrasiana con i suoi mosaici e salire sul campanile per godersi il panorama.






Così trascorriamo la nostra mattinata, finché il caldo non ci induce a muoverci in direzione Cervar. Qui rimaniamo sino a quando il sole non inizia a calare spalmando i suoi riflessi dorati sul mare. Fa ancora caldo, ma non è quello torrido dei giorni scorsi. E c’è ancora in giro parecchia gente, decisamente più di quanto pensavamo. La signora Angela, impiegata nella sede centrale della holding che possiede i campeggi Lanterna e Solaris, ci ha detto che domenica scorsa il Lanterna ha registrato un migliaio di presenze in più rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. I turisti hanno comunque iniziato a calare. Anche per noi il rientro appare ormai prossimo ed inevitabile. Intanto i bambini giocano spensierati alla luce dell’ultimo sole ed i genitori vigilano rilassati. E’ bello fermarsi a guardarli.


A Torre sulla strada principale c’è una konoba che quando ero piccolo era diventata il ritrovo del gruppo di amici con cui trascorrevamo le estati. La gestiva un uomo che tutti chiamavano Dolo. “Ora è rimasto come padrone del locale, ma è gestito da un altro italiano. Non è più come una volta”. I locali ce lo sconsigliano, così decidiamo di fermarci a Labinci per un’ultima cena a base di ćevapčići e calamari fritti.



Mentre concludiamo la cena sorseggiando una grappa al miele il proprietario del locale si ferma a parlare con noi. E’ un ragazzo che avrà più o meno la nostra età, alto e dal fisico asciutto (alla parete alle mie spalle sono appese diverse foto che lo ritraggono impegnato in alcune maratone). Si finisce col parlare dell’ex-Jugoslavia. “Certo, molte cose erano da cambiare” ammette “ma per diversi aspetti in molti qui rimpiangono quell’epoca. Era una dimostrazione che un’alternativa al dominio degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica era possibile. E questo dava fastidio”. Un sentire a dire il vero piuttosto diffuso nell’area balcanica.In questa terra è inevitabile confrontarsi con la grande Storia, quella con la S maiuscola. Ma anche con la mia piccola storia, quello di un ragazzo cresciuto durante le estati istriane degli anni ’80. “Credo che quello sia stato il periodo migliore in Italia” prosegue Robi, il titolare. “Ci venivo spesso, anche se ero piccolo. C’era la sensazione che tutto fosse possibile, a quei tempi”. “Hai ragione” gli rispondo. “Solo ora ci rendiamo conto che non era così come ce la raccontava la TV”. I Balcani hanno già vissuto la loro disillusione. Ora tocca a noi.

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