sabato 19 novembre 2011

Tra Quarnaro ed Istria via terra e via mare - 15. Al posto di guida

Sales, 1/9/2011

Ultima spesa a Torre. Una bottiglia di Terrano, vino rosso tipico del Carso. Dell’olio d’oliva prodotto in loco, piuttosto rinomato. E una scorta di ajvar per le nostre serate balcaniche in terra cremonese.


Riprendiamo la via del ritorno: Verteneglio, Buie, la frontiera slovena. Rimaniamo bloccati nel traffico della periferia di Capodistria, dove il verde delle colline slovene lascia il posto a capannoni e centri commerciali. E’ il primo settembre, giorno feriale. Anche nella cittadina istriana è ripreso il tran tran quotidiano.


Anche Trieste, tappa fissa quando capitiamo da queste parti, ci accoglie col suo lato peggiore; la periferia a sud della città, con le sue strutture portuali e le sue aree industriali dismesse e certi orrendi edifici residenziali. Ma una volta parcheggiata l’auto e sfuggiti al delirante traffico veicolare che attanaglia il centro storico ci caliamo immediatamente nell’atmosfera di questa città, i cui caratteri peculiari sono troppo complessi per essere racchiusi in poche righe. Rimandiamo perciò ai tanti autori – giornalisti, poeti, scrittori – nati in questa terra, che hanno sapientemente raccontato Trieste e il Carso al grande pubblico; oltre ai già citati Rumiz e Pahor e al triestino d’adozione Tomizza, aggiungo tra gli altri (e in ordine sparso) Italo Svevo, Scipio Slataper, Umberto Saba, Claudio Magris, Mauro Covacich.



Ci concediamo due riti classici della città giuliana; la pasticceria ed il caffè. Questa volta però tralasciamo i rinomati caffè storici triestini e ci fermiamo da Zoe, una caffetteria dal taglio moderno con una certa attenzione alla qualità dei prodotti serviti.


Quello di oggi è solo un assaggio, giusto una passeggiata tra Via Cavana, Piazza della Borsa, Piazza Ponterosso, il Canal Grande, il Molo Audace. La città è piena di vita, e Piazza Unità d’Italia rimane una delle più belle del nostro paese; ogni volta ha la capacità di lasciarmi stupefatto.


Comincia a piovigginare. E’ proprio ora di ritornare. Ma prima di rientrare vogliamo concederci l’ultimo pranzo del nostro viaggio. Ci arrampichiamo sulle alture del Carso, tra villaggi fatti di strette e contorte stradine che si fanno spazio tra vecchie case in pietra a vista. Raggiungiamo Sales, dove ci siamo già fermati un paio di volte in passato. Una frasca sulla strada indica la presenza di un’osmizza; si tratta di un locale gestito da contadini dove vengono serviti affettati, formaggi, vino e prodotti locali. Il posto ideale per uno spuntino o una merenda. E per ricaricarsi prima di risalire sull’auto, mettere su i Maxmaber Orkestar (un gruppo folk triestino che con le sue influenze balcaniche è un po’ la sintesi del nostro viaggio) e tornare a casa.




Di nuovo, il rientro dalle vacanze, quello della mia infanzia. Quello che vivevo sul sedile posteriore dell’auto, piangendo a dirotto perché non volevo tornare a casa. Solo che oggi sono al posto di guida e ho l’età che aveva mio padre quando mi portava qui. Ed è sconveniente guidare con gli occhi lucidi.


Questo viaggio è stato anche un salto all’indietro. Nella storia recente di queste terre, che ha molto da insegnarci. Nella realtà di chi è rimasto legato ad una società rurale e a tutti quei saperi che mai come oggi dovremmo riscoprire. E nella mia storia individuale, che senza memoria non si va da nessuna parte.


E allora che la memoria ci assista, non fosse altro che per divincolarci tra la complessa segnaletica giuliana e ritrovare la via di casa.

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