giovedì 2 gennaio 2014

Amici vicini e lontani - 5. Old town / New town



L’Aquila, 5/8/2013

Il nucleo storico dell’Aquila ci appare come una selva di gru in fondo alla strada che attraversa il quartiere dove ci troviamo, una zona semiperiferica “che però è diventata centro”, come ci racconta Elena. “Il centro, quello vero, è un posto dove nessuno torna più volentieri”. Lei L’Aquila se la ricorda, ci era stata nell’estate del 2007, due anni prima del sisma e quattro anni prima di trasferirsi qui.
Il nostro itinerario parte dalla fontana delle 99 cannelle, uno dei simboli della città, ristrutturata grazie al lavoro del FAI, mirabile come sempre. Saliamo da qui attraverso il pittoresco Borgo Rivera, e già le ferite del terremoto appaiono in tutta la loro crudezza. Attraversiamo via XX Settembre e ci troviamo nel centro della città fantasma. Su questa strada si affaccia la Casa dello Studente, parzialmente crollata in occasione del sisma, simbolo di una città universitaria messa in ginocchio. La sensazione più immediata mi riporta indietro nel tempo: ho provato qualcosa di simile solamente dieci anni fa, nella Sarajevo post-bellica. Ma se ai tempi la capitale bosniaca stava riprendendo a vivere, nel capoluogo abruzzese tutto sembra fermo… o quasi. “La maggior parte dei cantieri sono stati aperti da poche settimane”, ci dicono quando facciamo notare che gli operai, oltre a qualche turista, sono le uniche presenze del centro storico.
Non è un caso che Antonella Tarpino dedichi ampio spazio all’Aquila nel libro Spaesati, inserendola nel suo tour dei luoghi abbandonati d’Italia (al pari, tra l’altro, delle cascine cremonesi). Dopo quattro anni in giro si trovano ancora cumuli di macerie ed ampie porzioni del centro storico sono rimaste “zona rossa”, con tanto di posti di blocco dei militari. Un contrasto paradossale con le “new town” attraversate ieri, prive di centri di aggregazione, nelle quali gli abitanti si aggiravano come smarriti.
Tutto nel centro dell’Aquila ci appare surreale. I due operai Enel al lavoro vicino alla chiesa di Santa Maria Paganica con Fischia il vento come sottofondo. Le pareti piastrellate di quelli che furono bagni e cucine, che mostrano sfacciatamente l’intimità domestica di un tempo attraverso i muri crollati. La musica a tutto volume dei pochi locali che hanno riaperto, a cercare di soffocare il rumore dei martelli pneumatici. Le vetrine dei tanti esercizi commerciali, chiuse forse per sempre. La scritta del calendario nella bacheca della chiesa di fronte al teatro San Filippo, fermo alla data del 6 Aprile 2009: “Non abbattetevi, l’Eterno è con voi”. Lo scroscio della fontanella di Porta Bazzano, unico rumore paradossalmente quasi allegro, in mezzo all’abbandono totale: da qui alla scalinata della basilica di San Bernardino non incontriamo anima viva.
Tra i vicoli deserti si intuisce l’antica ricchezza artistica della città, ma le chiese principali, a partire dal Duomo, non sono visitabili. Riusciamo invece ad entrare nella Basilica di Collemaggio. L’abside è parzialmente crollato, ma guardando la singolare facciata dal prato antistante si direbbe che non sia successo niente. Nel parco di fianco alla basilica c’è pieno di ragazzini: allo stesso modo, intorno al Forte Spagnolo abbiamo incontrato numerose mamme con bambini ed anziani a passeggio. Si legge in queste nuove abitudini degli aquilani quella voglia di riappropriarsi della propria città, del suo cuore pulsante che è stato loro precluso.

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