sabato 14 maggio 2011

Al tempo di Pasqua in Occitania - 5. Sogni eretici

Cremona, 28/4/2011

Apriamo le imposte del nostro appartamento: la vista è ancora quella che ieri ammiravamo da sotto il pergolato e copre la parte finale della valle del Nervia, da Dolceacqua fino al mare, solo un triangolo azzurro là in fondo. Il cielo però è coperto e scende una pioggia insistente. Poco male: il clima è quello giusto per visitare Triora, il paese delle streghe.
Lungo la strada facciamo una breve deviazione per visitare Apricale. Il nome del paese deriva da apricus, luogo soleggiato, anche se oggi non si direbbe. Accanto al Duomo sorgono i resti del Castello della Lucertola, dall’animale simbolo del paese. Apricale in effetti somiglia davvero ad un lucertolone di case addossate l’una all’altra che si inerpica lungo la dorsale del monte. Gli stretti carruggi rendono più tollerabile la pioggia, che ora scende a momenti alterni.









Riprendiamo il nostro percorso lungo le stra
de su cui si allena il padrone dell’appartamento dove abbiamo pernottato, un milanese trapiantato a Dolceacqua con la passione per il ciclismo. Stamattina ci ha mostrato i percorsi delle prossime gare cui parteciperà, mentre alla TV scorrevano le immagini di repertorio di Pantani. “A Pigna ci sono delle terme, già presenti in epoca romana” ci ha detto poche ore fa, illustrandoci i dintorni. “Hanno anche costruito un grosso albergo, una cosa pazzesca”. Già sento puzza di ecomostro, ma in realtà a prima vista l’hotel sembra costruito con più criterio dei tanti palazzoni incontrati ieri lungo il litorale. A noi però di Pigna interessano i vicoli, le case e gli orti ricavati in spazi che solo la tenacia ligure ha saputo adattare a tale scopo.

Superata Pigna la strada prende a salire, stretta e piena di curve, tra i fitti b
oschi e le montagne rocciose. Dopo quasi un’ora, in cima al monte avvolto da nuvole basse, là dove la strada finisce, ci appare Triora.
Le sciamane di Triora della coppia cremonese Elisabetta Piccolo - Paolo Boldori è il libro che ci sta accompagnando in questi giorni. Si tratta di una raccolta di fotografie, poesie e ricerche storiche sulla stregoneria, con particolare riferimento ai fatti accaduti a Triora all’epoca dell’Inquisizione, quando numerose donne dei dintorni furono processate proprio per stregoneria. Le streghe in realtà erano spesso depositarie di antichi saperi relativi alle proprietà delle erbe officinali, donne dedite a pratiche a cavallo tra la medicina popolare e la magia (quando le accuse non erano solamente dettate dalle tendenze repressive della Chiesa Cattolica).
Triora dal vivo è ancora più di quanto si possa immaginare. Vicoli oscuri e contorti, archi e voltoni, anfratti, nicchie, case abbandonate, ruderi e vecchie porticine in legno…ogni angolo riserva delle sorprese. Ci fermiamo solo per una bruschetta col caratteristico pane rustico di Triora, cosparsa di pomodoro, basilico e bruzzo (una sorta di ricotta spalmabile piccante). Nel bar ritorna la lingua occitana (anche se l’appartenenza linguistica di questa zona è oggetto di dibattito). “E se volessi altro?” chiede l’avventore davanti alle brioches. “Lo trovi a Sanremo”, risponde la barista. La città del Festival e del Casinò è a una trentina di chilometri ma sembra lontanissima.
A Triora merita una visita anche il Museo Etnografico, con al proprio interno un’ampia sezione dedicata alla stregoneria. Non ne usciremmo più, così come non lasceremmo Triora, ma ormai il tempo a nostra disposizione è scaduto.





































Di nuovo il Mar Ligure. Arma di Taggia, Savona, Genova. Poi gli Appennini da attraversare. Dopo i Valdesi in Piemonte e le streghe di Triora, forse gli ultimi eretici li incrociamo tra Langhe e Monferrato, se è vero che da queste parti è stato girato il documentario
Langhe DOC - Storie di eretici nell’Italia dei capannoni.
Già, ma chi sono i protagonisti dei sogni eretici, per parafrasare l’ultimo album di Caparezza? Chi sono oggi gli eretici, i partigiani, i passeurs, le streghe? Forse chi contesta la megalomania del potere convinto che invece di una grande opera è meglio realizzarne cento piccole. Chi rifiuta il meccanismo di delega e vuole prendere in mano il proprio destino. Chi crede in un’unità che possa rafforzare le singole identità. Chi si occupa dei bambini extracomunitari nonostante le politiche razziste del governo. Chi lotta contro la privatizzazione dei beni comuni, nonostante la propaganda bipartisan continui a ripeterci l’equazione privato uguale efficiente. Chi valuta l’uomo che si trova di fronte senza chiedergli il passaporto. Chi si ribella all’arroganza del potere perché lo trova giusto, senza pensare alle conseguenze. Chi in tempi di precarizzazione del lavoro riscopre antichi saperi. Chi si ristruttura una vecchia abitazione, chi si dedica al proprio orto, chi pianta alberi nell’Italia della cementificazione selvaggia e dell’abusivismo edilizio.
L’ultimo pensiero di questo viaggio, mentre ormai intorno a noi l’orizzonte è tornato quello pianeggiante a noi consueto, lo dedichiamo a loro.

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