giovedì 19 maggio 2011

Scandolara Ravara / Castelponzone - La rivincita degli ultimi


Aprile 2011



Scandolara Ravara è uno dei paesi con la più alta percentuale di stranieri del territorio provinciale; sono soprattutto kosovari e albanesi. Ci siamo stati la prima volta quasi per caso tre anni fa, in occasione di un incontro con la comunità di immigrati provenienti dai Balcani. Eravamo in una sala comunale nei pressi della chiesa di S. Maria Assunta (la Chiesa Nuova, da non confondere con la Chiesa Vecchia, un bell’esempio di romanico lombardo nel quale è stato ritrovato un importante reperto archeologico, l’Altare di Illuvio, oggi esposto nel Museo Archeologico di Milano). Sembrava davvero una festicciola di paese, con tanto di complessino che suonava melodie balcaniche e tavolata di prodotti cucinati in casa dalle donne immigrate. Fu una giornata piacevole, comunque. Ripenso a quel pomeriggio leggendo i quotidiani locali: è tempo di crisi, ed in questi giorni di Scandolara si parla in quanto anche la Bini, fabbrica di pannelli di legno del paese, è a rischio chiusura.

Ma Scandolara Ravara – anzi, per essere precisi Castelponzone, frazione del centro principale ma un tempo comune autonomo – compare in questo periodo sui giornali per altri motivi, certamente migliori: si è deciso di realizzare qui l’unico evento provinciale dell’ultima Giornata di Primavera del FAI, il Fondo Ambientale Italiano. Un appuntamento fisso per tanti italiani cui anche noi non abbiamo voluto mancare.

Non appena entrati dalla porta sud, sulla quale sono ancora visibili le tracce degli stipiti del vecchio ponte levatoio, abbiamo incrociato Antonio Leoni, fotografo e giornalista (oggi dirige il quotidiano cremonese on-line Il Vascello), che trentacinque anni fa realizzò una bella pubblicazione su Castelponzone, Il mondo degli ultimi. Un titolo evocativo, che rende bene l’idea di una comunità che tenta in qualche modo di resistere, ma che ha vissuto anch’essa lo spopolamento che caratterizza i centri minori più distanti dalla città.
E’ questo l’accesso più suggestivo al paese, che attraverso un fornice immette sulla strada maestra, con i suoi portici bassi e irregolari al riparo dei quali sono ancora presenti porte e vetrine delle antiche botteghe. Castelponzone era principalmente un borgo di artigiani, differenziandosi in questo dai paesi del circondario, prettamente agricoli.
La strada maestra porta diritti al sito dove sorgeva la rocca, anzi il castelletto della nobile famiglia dei Ponzoni che ha dato il nome al borgo, di cui però oggi non rimane traccia. Per consolarsi si può fare tappa al Calcante, l’osteria del paese che si trova proprio qui, di fronte alla chiesa, per un bicchiere di vino ed un tagliere di affettati. Oppure spostarsi di una trentina di metri e visitare il minuscolo museo dei cordai, l’attività artigiana che caratterizzava Catelponzone.
Nei campi intorno al paese infatti si coltivava la canapa, che veniva poi lavorata dai cordai attraverso i macchinari tuttora visibili nell’allestimento a loro dedicato. Quello dei cordai è un mondo ormai scomparso, insieme al loro gergo caratteristico, ma che pure rivive tra le suggestioni del borgo; non a caso ha ispirato anche il musicista cremonese Fabio Turchetti per il suo album Mangiafuoco (un pezzo si intitola, appunto, Curdèer).
I quartieri popolari, che si sviluppano ai lati della strada maestra, sono costituiti da abitazioni più umili ma pure dotate di un certo fascino, tanto che abbiamo passeggiato a lungo tra i vicoli silenziosi, finché non si è fatta l’ora del rientro.

Ripenso alla nostra visita di pochi giorni fa a Castelponzone leggendo le news sul Vascello: Castelponzone è stato inserito, terzo in provincia dopo Gradella (frazione di Pandino, nel Cremasco) e Soncino, nella lista dei borghi più belli d’Italia. Un riconoscimento che ci auguriamo possa dare un nuovo impulso al recupero del patrimonio edilizio esistente, anche nella prospettiva di una valorizzazione turistica. Certo è che la notizia suona come una sorta di…rivincita degli ultimi!

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