martedì 30 novembre 2010

Coast al cubo - 14. Risalita tirrenica

Ravi, 11/8/2010
Lasciamo la Basilicata, e come al solito abbiamo già pronta una lista per la “prossima volta”: Dolomiti Lucane, Vulture, Guardia Perticara, Melfi…aree, borghi e città lucane che non siamo riusciti a visitare. La risalita tirrenica ci attende.
La segnaletica stradale campana è pessima. Dopo Ravello perdiamo le indicazioni per la Salerno - Reggio Calabria, che riusciamo ad imboccare solo dopo un’oretta di viaggio; percorriamo il tratto più decoroso di una delle vergogne nazionali, che pure ha più strisce gialle che bianche a delimitarne le malmesse corsie. Ma sappiamo bene che in Calabria è ancora peggio.
Non riusciamo a trovare l’autogrill dove quasi cinque anni fa, al rientro da una vacanza in Sicilia, ci baciammo per la prima volta; un postaccio infame, con i tir che sfrecciano a pochi metri di distanza e uno sfondo di capannoni e ciminiere. Può sembrare il posto meno adatto dopo due settimane trascorse in una delle regioni più belle al mondo, ma bisogna cogliere l’attimo. Vorremmo fare una sosta dal valore simbolico, ma guardando la carta scopriamo di avere fatto un percorso diverso: o abbiamo sbagliato strada stavolta, o sbagliammo cinque anni fa.
Poco importa, perché arriviamo in Ciociaria. Uscita di Ceprano: mi sarebbe piaciuto fare un saluto al già citato Luca Lottici, ma sono stati giorni intensi e vogliamo arrivare in Toscana entro sera per riposare un po’ e per non avere troppa strada da percorrere domani.
I Colli Romani, il Grande Raccordo Anulare, la Maremma…ed eccoci finalmente in Toscana. Pernotteremo a Ravi, frazione di Gavorrano, nella casa che fu del direttore della vicina miniera di pirite (in fase di recupero; si è voluto valorizzare la zona attraverso la creazione del Parco delle Colline Metallifere). Ceniamo con crostini, ravioli maremmani e pappardelle al cinghiale, mentre intorno a noi, ad eccezione del marcato accento toscano della proprietaria della trattoria e della cameriera, si sente parlare solo tedesco ed inglese. Ma basta uscire dal locale ed ecco di nuovo l’italianità vera: uomini che discutono davanti all’edicola, ragazzini che giocano a pallone in mezzo alla strada e anziani seduti davanti alla porta di casa a conversare. E’ quello che dalle nostre parti si chiama filoss (per i pochi che lo praticano ancora); nella sua versione più moderna, alle inflessioni dialettali degli anziani si mescola l’italiano imperfetto delle badanti rumene.
Le grida dei ragazzini, il rumore del pallone che rimbalza contro i muri, il tono imperioso degli uomini e quello più sommesso e corale degli anziani: tengo tutto a mente per annotarmelo al mio rientro in camera. E’ bellissimo, mi sento carico come se fosse la prima sera del viaggio.Ma purtroppo è l’ultima.

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